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Le intercettazioni dell’imprenditore che accusano Armando Siri: “Ci è costato 30mila euro”

Il sottosegretario leghista Armando Siri è stato indagato per corruzione in seguito ad alcune intercettazioni in cui l’imprenditore Paolo Arata fa riferimento alla presunta mazzetta per far approvare una norma: “Questa operazione ci è costata 30mila euro”, dice al figlio, riferendosi, secondo i magistrati, proprio al sottosegretario.
A cura di Stefano Rizzuti
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L’indagine a carico del sottosegretario leghista Armando Siri rischia di spaccare il governo. Lo scontro tra Lega e Cinque Stelle si è inasprito ieri, tanto da portare in molti a parlare di fine del governo dopo le elezioni europee. L’accusa rivolta a Siri riguarda i suoi rapporti con Paolo Arata, imprenditore e socio in affari di Vico Nicastri, definito il “re dell’eolico” e arrestato a Palermo per aver finanziato, secondo l’accusa, la latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Come spiega il Corriere della Sera, il coinvolgimento di Siri viene scoperto tramite alcune intercettazioni. Una in particolare, in cui Arata dice al figlio: “Questa operazione ci è costata 30mila euro”. Il riferimento è al compenso a Siri. Ci sono anche altre intercettazioni della Dia usate come prove dai magistrati.

L’accusa a Siri è quella di aver “asservito a interessi privati la sua funzione di sottosegretario ai Trasporti e di senatore – tra l’altro proponendo e concordando con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il minieolico – e riceveva indebitamente la promesse e/o dazione di 30mila euro da parte di Paolo Arata, imprenditore che da tali provvedimenti avrebbe tratto benefici di carattere economico". Il primo tentativo sarebbe del 30 luglio: Siri propone al capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico di inserire una modifica a un decreto del giugno 2016, chiedendo di far rientrare anche chi “ha perso l’agevolazione” per i proprietari degli impianti Fer che “hanno trasmesso la documentazione tardivamente”. Ma il tentativo viene respinto dal ministero.

Poi il sottosegretario ci riprova con la legge di Bilancio, con un emendamento: il testo arriva al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro. Che lo boccia di nuovo. Secondo i giudici, però, Siri non si dà per vinto, anche perché “esiste uno stabile accordo tra Arata e Siri”. Tanto che Arata viene considerato “lo sponsor per la nomina proprio in ragione delle relazioni intrattenute”, con riferimento all'impegno profuso dall'imprenditore per portare Siri al governo, magari come sottosegretario al Mise (in realtà finirà ai Trasporti). Dalle indagini emergono gli incontri di Arata con alcuni leader della Lega, tra cui anche Matteo Salvini che nel 2017 lo invita come relatore a un convegno del Carroccio.

Anche Repubblica conferma le intercettazioni che inchioderebbero Siri: “Mi è costato 30mila euro”, dice due volte l’imprenditore Arata. Ma ciò che non si sa è se quella mazzetta sia stata pagata o meno, anche se questo non cambia l’accusa di corruzione. Ciò che conta per i giudici romani è che Siri si sia effettivamente impegnato per far passare quella norma, nonostante non ci sia riuscito.

Siri si difende: ‘M5s mi tratta come carne da macello’

Armando Siri si difende in due interviste. La prima al Corriere della Sera, in cui accusa i Cinque Stelle di usarlo “come carne da macello”. Il sottosegretario rifiuta l’idea di dimettersi: “E per che cosa? Non esiste, la Lega è compatta e io resto dove mi trovo. So di non aver fatto nulla, mai nella vita. Io non so nulla di questa storia. Mi sento come se mi avessero battuto un badile sulla faccia. Quello che so è che non ho mai preso un soldo da nessuno. Sono tranquillissimo”.

Su Arata, Siri afferma: “Pensavo che fosse uno specchiato docente. Cosa ne so io che questo è un faccendiere? La mafia, i mafiosi, addirittura. Ma che ne so io che c'è uno dietro che è un mafioso? Non sono mai stato a Palermo, mai stato a Trapani. Io lavoro. Certo, se mi chiamano dalle categorie… Tutti i giorni ce n'è uno che ti chiede cose”. In un’altra intervista, rilasciata al Messaggero, Siri parla della decisione del ministro Toninelli di ritirargli le deleghe: “Ci sono rimasto male. Sono da poco in politica ma sto imparando sulla mia pelle che ci vuole un pelo sullo stomaco grande così. Ci vuole una freddezza assoluta per evitare che i rapporti umani vengano spazzati via in pochi istanti. Non mi aspettavo questa reazione. È stato spezzato, ripeto, un rapporto umano”.

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