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Opinioni

La guerra ideologica della destra sui genitori è il solito trucco per distrarci dai problemi reali

La nuova guerra ideologica del governo ha come terreno la genitorialità. Parlare di “diritti dei genitori” funziona perché si fa leva sulla sfera emotiva, sull’istinto di protezione e sulla vita privata delle persone. La destra lo sa benissimo. E continuerà a usarli per distrarci dai veri problemi.
A cura di Jennifer Guerra
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È ormai sempre più evidente che la nuova guerra ideologica del governo ha come terreno la genitorialità. Non si tratta di rendere la vita più facile a chi vuole mettere su famiglia, né tantomeno di agevolare chi ne ha già una. Questa battaglia si gioca e si giocherà tutta su un terreno effimero quanto efficace, quello dei “diritti dei genitori”. A fare cosa? Sostanzialmente, ad avere diritto di prelazione assoluta su tutto ciò che riguarda la crescita e l’educazione dei propri figli, senza che le istituzioni possano avere molta voce in capitolo.

I diritti dei genitori sono sempre stati un grande collettore del consenso per il centrodestra. Basta pensare a come è stato strumentalizzato in passato il “caso Bibbiano”, dove si è demonizzato l’intero sistema degli affidi perché “i bambini devono stare con i loro genitori”, indipendentemente dalla loro sicurezza o dal loro benessere. Oppure alle infinite e francamente surreali polemiche su quali termini la burocrazia debba usare per chiamare i membri di una famiglia, culminate nel 2019 con un decreto dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini che ripristinò la dicitura “padre” e “madre” sulle carte di identità dei minorenni, anziché “genitore” (senza quegli “1” e “2” che tanto piace ripetere agli esponenti della destra e persino a Putin, ma che non ci sono mai stati). Il Tribunale di Roma in una recente sentenza ha disapplicato il decreto, dando ragione a due madri che sostenevano che l’uso del termine “padre” fosse inesatto per indicare una madre.

Salvini è già pronto a dare battaglia sulle “parole più belle del mondo” che a suo dire non possono essere “discriminanti”. In realtà il giudice non ha parlato di discriminazione, ma anzi sono proprio gli avversari della dicitura “genitore” a ritenere che sia discriminatoria verso i… genitori. Questo è solo un esempio di tutta quella retorica che vede i genitori (e non i singoli individui) portatori di diritti inalienabili, che le istituzioni possono calpestare a suon di modulistica per la carta di identità elettronica. L’idea che lo Stato non debba mettere piede nella sfera personale del singolo e della sua famiglia, d’altronde, è perfettamente coerente con l’ideologia di destra. Da qui ad esempio la strenua difesa delle scuole private, che Salvini citò anche nel suo discorso al Congresso delle famiglie di Verona promettendo “guai a chi mette in discussione la libertà di scelta e la libertà di educazione”, e la vicinanza sempre più stretta della galassia della destra all’educazione parentale e all’homeschooling, dove il compito dell’educazione dei figli spetta ai genitori (o a insegnanti da loro scelti), lontano dal sistema scolastico tradizionale.

Sempre a proposito di scuola, un altro tema di cui sentiremo parlare molto in questi termini nei prossimi mesi è quello della carriera Alias. Si tratta di un protocollo che prevede che una persona transgender possa usare, a scuola o in università, documenti aggiornati che riportano il nome di elezione anche se non ha ancora completato la rettifica dei documenti anagrafici. Secondo l’elenco compilato dall’associazione Genderlens, sono 144 gli istituti superiori che hanno adottato la carriera alias, mentre per Universitrans gli atenei sono 64. Anche se le prime iniziative di questo genere risalgono al 2003, quando l’Università di Torino adottò il “doppio libretto”, il tema è diventato molto urgente soltanto nell’ultimo paio di anni. Salvini ne sta parlando sempre più di frequente, mentre le associazioni anti-gender hanno avviato una campagna dai toni decisamente allarmisti. La critica alla carriera Alias è che si tratterebbe di un’ingerenza della scuola sulla famiglia, che viola “il diritto di priorità educativa dei genitori”, aspetto che viene sottolineato quasi con maggiore insistenza di altri più “classici”, come la diffusione dell’ideologia gender.

Non che i due temi siano separati: da anni la scuola è nel mirino di questi movimenti, che hanno anche istituito sportelli anti-gender e comitati di genitori per sorvegliare possibili attività di “indottrinamento” nelle scuole. Negli Stati Uniti, l’ingerenza dei genitori nell’educazione sta diventando un problema sociale enorme e causando forti tensioni, come l’irruzione di militanti di estrema destra per interrompere letture di favole ai bambini da parte delle drag queen. In diversi stati i genitori sono riusciti a bandire libri che considerano arbitrariamente inappropriati per i bambini. Secondo l’associazione per la libertà di stampa PEN, nell’ultimo anno nelle scuole americane sono stati banditi 1.648 libri e la famosa legge del Florida “Don’t Say Gay” – il cui vero nome è “Diritti parentali nell’educazione” – è nata proprio su pressione delle associazioni di genitori impegnati a censurare (e persino bruciare) libri. Un esempio di questi pericolosissimi titoli? And Tango Makes Three, di Justin Richardson e Peter Parnell, un libro illustrato che parla della vera storia di due pinguini maschi dello zoo di Central Park che hanno adottato e cresciuto un pulcino. Ora che hanno il controllo del Congresso, i Repubblicani potrebbero riuscire a far passare a livello nazionale la “Carta dei diritti dei genitori”, una legge che consentirebbe loro di avere voce in capitolo sulla scelta dei testi scolastici, degli insegnanti e degli esperti esterni, nonché di fare visite a scuola durante l’orario di lezione.

Iniziative come queste sottintendono che le famiglie debbano intervenire su tutto, ed è curioso come una legge che intende “proteggere i bambini” sia intitolata ai loro genitori. Il concetto di diritti parentali è però un concetto fumoso e spesso abusato. Innanzitutto non è vero che i genitori hanno la precedenza su qualsiasi aspetto della vita dei figli. La legge impone che un bambino in auto venga fatto sedere sull’apposito seggiolino omologato e un genitore non può pensare che sia suo diritto, solo perché lo dice lui che “saprà cosa è meglio per suo figlio”, che il bambino possa stare seduto davanti e senza cintura. I genitori sono i custodi dei diritti dei figli finché essi non sono in grado di esercitarli autonomamente. Custodi, non proprietari: questo significa che i diritti dei genitori sono dei genitori e quelli dei bambini sono dei bambini e non vanno confusi.

Quando si parla di famiglia e quindi di scelte private – che in realtà sono anche politiche – sembra che si entri nel terreno dell’inviolabilità. Anche se esistono migliaia di leggi che decidono cosa sia una famiglia o da quali persone sia composta e cosa ciò comporti a livello normativo e fiscale, quello che una persona, e soprattutto un genitore, fa con i propri figli pertiene alla sfera dell’intimità, come anche la premier Meloni ha ribadito dopo aver portato con sé la figlia al G20 di Bali. Ma la convinzione che questa sfera di intimità garantisca una libertà insindacabile e incondizionata, che non tiene conto né dell’autonomia dei bambini, né del loro benessere né del non trascurabile fatto che viviamo in una società e non in un sistema di bolle che non comunicano fra di loro, è profondamente sbagliata. I “diritti dei genitori” funzionano perché fanno leva sulla sfera emotiva, sull’istinto di protezione e sulla vita privata delle persone. La destra lo sa benissimo. E continuerà a usarli per distrarci dai veri problemi.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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