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Opinioni

Le caratteristiche della servitù ad uso pubblico

La Cassazione del 5.2.2015 n.2108 ha stabilito che in presenza di una servitù ad uso pubblico (dicatio ad patriam) è onere della parte che invoca l’esistenza di tale servitù provare la messa a disposizione del bene a favore della collettività e la legittimazione del soggetto che ha costituito tale servitù.
A cura di Paolo Giuliano
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La servitù è descritta nell'art. 1027 c.c. il quale prevede che "La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario".

Dal testo della norma si evince che la servitù richiede la specifica indicazione del fondo dominate (non è possibile una servitù nella quale è indeterminato il fondo dominate) e tramite l'individuazione del fondo dominate è individuato anche il soggetto che concretamente può dirsi titolare del diritto di servitù (di solito il proprietario del fondo dominante). Non è possibile una servitù nella quale il titolare del diritto di servitù (o il titolare del fondo dominate) non è determinato.

Ogni regola generale presenta delle eccezioni, infatti la servitù ad uso pubblico (o a favore del pubblico) o la c.d. servitù “dicatium a patrium si discosta sensibilmente dai principi individuati in precedenza.

La servitù ad uso pubblico si discosta dalle comuni servitù, perché non si si costituisce a favore di un fondo determinato e, di conseguenza, a favore di soggetti determinati, ma è costituita a favore di un fondo indeterminato e, di conseguenza, a favore di soggetti indeterminati. E' opportuno sottolineare che non si è in presenza di un soggetto (titolare del diritto di servitù) ignoto, ma di un soggetto difficilmente specificabile se non in senso lato. Infatti, altra caratteristica della servitù ad uso pubblico è quella di essere costituita a favore di una indistinta comunità di soggetti: la servitù “dicatium a patrium” o servitù a favore del pubblico. Detta servitù presuppone una comunità di persone che, seppure non organizzate in ente pubblico territoriale, si presenti, tuttavia, come una comunità indeterminata di individui, considerati non uti singuli, ma uti cives, e cioè come titolari di interessi generali (Cass. civ. sez. un. 08.10.1964 n. 2550).

Di conseguenza, quando manca una collettività indeterminata di persone non ci può essere una servitù ad uso pubblico, infatti,  “affinché  un'area privata possa ritenersi assoggettata  ad una servitù pubblica di passaggio è necessario, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico e generale interesse".

Quindi, altra caratteristica delle servitù ad uso pubblico è quella per la quale il bene immobile (fondo servente) è posto a disposizione della comunità per soddisfare esigenze comuni e pubbliche o per soddisfare esigenze della comunità. Quindi, la servitù di uso pubblico su un bene privato per effetto di dicatium a patriam postula un comportamento del proprietario che sia rivolto a mettere la cosa a disposizione di una comunità indeterminata di cittadini per soddisfare un’esigenza comune con carattere di continuità (Cass. civ.  10.12.1994 n.10574).

Quando ai mezzi per costituire tale servitù, in presenza delle caratteristiche sopra indicate, la Cassazione con sentenza del 10.12.1994 n.10574 ha stabilito che  ricorrendo i presupposti la servitù di uso pubblico deve intendersi costituita con l’inizio dell’uso stesso, senza che sia necessario il decorso del tempo o un atto negoziale o un procedimento di espropriazione.

In mancanza di atti scritti costitutivi della servitù, per poter provare l'esistenza della servitù di uso pubblico è necessario provare il comportamento del proprietario del fondo servente "univocamente rivolto a mettere a disposizione l’immobile, per il soddisfacimento della collettività di cittadini” (Cass. civ. sez. un. del 03.02.1988 n. 1072). Tale comportamento può essere attivo o positivo, ma, può essere anche negativo o omissivo, infatti, il comportamento del proprietario può consistere anche in una omissione (Cass. del 8.07.1998 n.6633).

Trattandosi di una situazione di fatto (la messa a disposizione del bene a favore della collettività) occorre anche identificare il proprietario che ha costituito tale servitù, per valutare la sua legittimazione ai fini di una valida costituzione della servitù, in quanto nessuno può imporre una servitù su un bene non proprio.

In una situazione così incerta, sorgono molto spesso, problemi in relazione ai poteri che il fondo dominante può esercitare, la Cassazione Sez. Un. n.6633 del 1998 ha osservato che per comprendere i poteri della amministrazione pubblica titolare del diritto di servitù pubblica occorre riferirsi al contratto, quando esiste, ma quando manca, occorre rifarsi all’atto costitutivo della servitù (che potrebbe anche consistere nella concreta  messa a disposizione del pubblico del suolo), messa a disposizione a favore della collettività che può consistere anche in un'omissione.

Cass., civ., sez. II, del 5 febbraio 2015, n. 2108 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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