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Transazione divisoria e divisione transattiva: Cassazione 03.08.2012 n.13942

Con molti contratti è possibile mettere fine alla comunione, quando si usa l’atto di transazione, questo è rescindibile se ha presupposto la corrispondenza della quota ideale alla quota di fatto (c.d. divisione transattiva), mentre non è rescindibile nell’ipotesi inversa (c.d. transazione divisoria) come disposto dall’art. 764 c.c.
A cura di Paolo Giuliano
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Le comunioni e i vari tentativi di sciogliere le stesse tramite le divisioni, costituiscono un mare infinito di questioni giuridiche complesse e di infiniti contenziosi, questo spiega perchè il legislatore vede con sfavore il persistere di uno stato di contitolarità indivisa e cerca con ogni mezzo di facilitare lo scioglimento della stessa con la divisione.

La divisione non è l'unico modo con cui si può mettere fine alla comunione, ma l'identico risultato può essere ottenuto in modo indiretto, basta pensare alla vendita dei beni indivisi ad un terzo estraneo alla comunione oppure ad uno dei comproprietari, giungendo, così, all'eliminazione della contitolarità di più soggetti sugli stessi beni.  La vendita non è l'unico esempio, perchè può anche accadere che le comunioni siano eliminate tramite altri tipi di contratti come ad una permuta con cui ad alcuni dei contitolari sia data la nuda proprietà dei beni ed ad altri l'usufrutto oppure basta pensare al contratto di transazione con cui i contitolari mettono fine alla lite e alla comunione facendosi reciproche concessioni.

In tutti questi casi, il problema è comprendere quanto ci si allontana dallo schema causale della divisione, oppure, detto, in modo diverso, il problema è comprendere quanto i contratti "diversi" dalla divisione, che mettono fine alla comunione, si differenziano dalla divisione stessa. Questa questione ha notevoli implicazioni concrete, poichè incide sull'applicabilità (o meno) delle norme della divisione a contratti diversi.

Quanto detto risulta più chiaro se si considera il rapporto tra transazione e divisione e quanto dispone, in particolare, l'art. 764 c.c. rubricato con il titolo di " Atti diversi dalla divisione" prevede che "L'azione di rescissione è anche ammessa contro ogni altro atto che abbia per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari. L'azione non è ammessa contro la transazione con la quale si è posta fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell'atto fatto in luogo della medesima, ancorché non fosse al riguardo incominciata alcuna lite". In altri termini il legislatore ha escluso che la transazione effettuata in luogo della divisione o per porre fine a questioni insorte a causa della divisione possa essere rescissa. Il problema, semmai, è comprendere cosa si intende per transazione effettuata in luogo della divisione o per transazione stipulata per mettere fine a questioni sorte durante la divisione.

Per rispondere a tale quesito occorre valutare se si può usare solo un criterio temporale, poichè la transazione può essere effettuata prima della divisione, durante una divisione o dopo una divisione  e, come intuibile, può avere ad oggetto questioni sostanziali (come la quantificazione della quota) o questioni formali o procedurali (relative alle mere modalità divisorie), ora, tornado all'art. 764 c.c., occorre valutare se la rescissione per lesione è esclusa solo perchè una transazione è avvenuta (cronologicamente) prima di una divisione oppure è stata stipulata durante un procedimento di divisione o dopo la sottoscritta dopo una divisione, ora, se si usasse solo questo criterio temporale  si potrebbe sostenere che la transazione non è rescindibile solo quando è avvenuta dopo la divisione, mentre quando è avvenuta prima o  durante una divisione è sempre rescindibile (indipendentemente dal contentuto della transazione).

In realtà, non può essere usato un criterio solo cronologico, ma occorre, anche valutare il contenuto della transazione, (ed eventualmente la sua autonomia dalla divisione), infatti, una transazione che ha per oggetto solo la soluzione di mere questioni procedurali (collegate all'atto di divisione),  sarà sicuramente rescindibile, in quanto mero negozio collegato alla divisione.

Anche in questo modo, però, i risultati a cui si potrebbe pervenire non sono completamente soddisfacenti, ecco, allora, che si dovrebbero anche valutare le differenze casuali tra i contratti oppure, meglio, si dovrebbe valutare la presenza o meno dell'elemento casuale tipico della divisione. La causa della divisione consiste non solo nella cessazione dello stato di comunione, ma anche nella corrispondenza tra quota di diritto (o astratta) alla quota di fatto (concretamente attribuita), questo elemento è stato tutelato dal legislatore,  il quale ha previsto la rescissione quando se esiste una lesione o uno scarto troppo ampio tra quota ideale e quota astratta.

Allora, tornando all'individuazione della transazione e della divisione,  si potrebbe affermare che tutte le volte in cui si giunge alla fine della comunione applicando il principio della corrispondenza tra la quota di fatto e la quota ideale si è in presenza di una divisione (anche se costruita come transazione) c.d. divisione transattiva, al contrario, tutte le volte in cui si pone fine allo stato di divisione prescindendo dal principio della corrispondenza tra quota ideale  e quota di fatto, si ha una transazione (transazione divisoria) non rescindibile.

Cassazione civ. sez. III del 3 agosto 2012 n. 13942

2.- La Corte d'Appello ha interpretato l'atto, autenticato nelle firme dal notaio in data 5 agosto 1989 intitolato "divisione a stralcio" come contenente una transazione divisoria, valutando una serie di circostanze, già evidenziate dal primo giudice, e confermate dalla Corte, elencate alle lettere da a) ad f) delle pagine 6-7 della sentenza. Si tratta di circostanze relative sia al tenore letterale dell'atto (dichiarazione della corrispondenza della quota di fatto a quella di diritto «ai soli fini fiscali» e mancanza in atto di disposizioni volte a calcolare la proporzionalità delle quote spettanti a ciascuno dei condividenti) sia al comportamento dei contraenti precedente (esistenza di controversia sullo scioglimento della comunione), contemporaneo (mancata imputazione alla massa dei beni alienati a terzi da parte di PC) e successivo (stipulazione di un vero e proprio atto di divisione tra i condividenti rimasti in comunione, a distanza di un anno dallo stralcio di quota in favore di PC). All'esito di tale attività interpretativa la Corte ha concluso nel senso dell'avvenuta stipulazione di una transazione perché i condividenti, allo scopo di evitare l'insorgere di una lite, si sarebbero accordati sull'attribuzione dei beni assegnati al PC senza procedere al calcolo di tale porzione nella misura corrispondente alla quota del condividente.

3. – Orbene, va fatta applicazione del principio oramai consolidato in materia di interpretazione del contratto, per il quale la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna censura può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D'altronde, quella data dal giudice al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (cfr., tra le altre, Cass. n. 10131/06).

3.1.- Nel caso di specie, la Corte di merito ha fornito una interpretazione più che plausibile dell'atto intitolato "divisione a stralcio" stipulato, in data 5 agosto 1989, tra i condividenti, con la partecipazione degli acquirenti dei beni e della quota dell'odierno ricorrente. .

3.2.- Infine, l'interpretazione letterale e sistematica, ha trovato riscontro nel comportamento delle parti contraenti, pure valutato dal giudice di merito,  onde confermare quella comune intenzione dei contraenti che ha ritenuto di desumere dal senso letterale. IL ragionamento del giudice di merito è assolutamente lineare: essendo non contestato il trasferimento, prima della divisione a stralcio, da parte di PC dei beni avuti in donazione dal padre alla s.r.l., di questi beni non si tenne conto in sede di "divisione a stralcio";  invece, avrebbero dovuto essere considerati ove si fosse ritenuto di calcolare la quota di diritto del PC: da ciò la Corte d'Appello ha implicitamente tratto la conclusione che questo calcolo rimase estraneo agli accordi contrattuali. Trattasi di conclusione del tutto coerente con l'intepretazione del contratto come transazione divisoria piuttosto che come divisione transattiva.

4.- L'esistenza di contrasti sulle modalità di scioglimento della comunione e la determinazione dei condividenti di "stralciare" la quota dell'odierno ricorrente, senza tenere conto del valore dei beni attribuiti, quindi della c.d. quota di fatto, in relazione alla massa da dividere, quindi della c.d. quota di diritto, così come considerate dalla Corte d'Appello, rendono conforme al disposto dell'art. 764, comma secondo, cod. civ. la conclusione raggiunta circa l'esistenza di una transazione divisoria e, quindi, circa l'inammissibilità dell'azione di rescissione. La Corte ha, in conclusione, ritenuto che l'atto avesse lo scopo di attribuire determinati beni al condividente la cui partecipazione alla comunione veniva ad essere sciolta, senza tenere conto della quota relativa. In proposito, va ribadito il principio per il quale il discrimen tra divisione transattiva, rescindibile (art. 764, primo comma, cod. civ.), e transazione divisoria, non rescindibile (art. 764, secondo comma, cod. civ.), né annullabile per errore (art. 1969 cod. civ.), è costituito non dalla natura transattiva di una controversia divisionale, ricorrente in entrambi i negozi, bensì dall'esistenza (nella prima) o meno (nella seconda) di proporzionalità tra le attribuzioni patrimoniali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione (così, oltre a Cass. n. 7219/97, anche Cass. n. 20256/09).

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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