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Chiusura dell’esecuzione forzata obblighi di fare e ne bis in idem

Cassazione 13.11.2019 n 29347 Il processo esecutivo può dar luogo alla cd. irretrattabilità dei suoi risultati (ne bis in idem) solo se si è concluso con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione: con l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del credito; o con l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo; o con la consegna o il rilascio della cosa dovuta.
A cura di Paolo Giuliano
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Esecuzione obblighi di fare

Quando si ottiene una sentenza con condanna ad eseguire una attività materiale (ad esempio arretramento di una costruzione) il creditore (colui che vuole l'esecuzione della condanna da un fare) inizia la procedura esecutiva descritta negli articoli 612 cpc.

Notificato il titolo esecutivo e il precetto il creditore deve depositare un ricorso al giudice dell'esecuzione nel quale chiede che siano determinate le modalità concrete di esecuzione.

Eventi successivi all'individuazione delle modalità esecutive ex art. 612 cpc

Dopo che che le modalità concrete di esecuzione sono state determinate o individuate può accadere che

a) l'esecuzione sia completa senza problemi

b) durante l'esecuzione materiale sorgono ulteriori problemi (tale ipotesi è regolata dall'art. 613 cpc)

c) ottenuta la determinazione delle modalità operative e concrete di esecuzione ex art.612 cpc, l'attività materiale non viene eseguita

In queste situazioni l'esecuzione può dirsi completata oppure quali elementi sono necessari per considerare completata o chiusa l'esecuzione forza degli obblighi di fare ? La questione ha una sua notevole applicazione pratica, in quanto, se l'esecuzione è considerata chiusa e il creditore non ha contestato tale "chiusura", il medesimo creditore non può più azionare il medesimo titolo esecutivo e dovrà chiederne ed ottenerne un altro.

Completamento o chiusura dell'esecuzione forzata obblighi di fare per dichiarazione dell'ufficiale giudiziario

Nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, la chiusura della procedura esecutiva,  è contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione.

Se, ovviamente, il verbale e l'ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo.

Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo.

Conseguenze derivanti dalla dichiarazione di completamento o chiusura dell'esecuzione forzata obblighi di fare

Quando il procedimento di esecuzione di un obbligo di fare sia dichiarato chiuso per l'avvenuta completa e positiva attuazione dell'obbligo stesso da parte dell'ufficiale giudiziario, in conformità all'ordinanza determinativa delle relative modalità emessa dal giudice dell'esecuzione, senza che il creditore procedente abbia tempestivamente impugnato l'ordinanza stessa ovvero il verbale di chiusura delle operazioni, non sarà possibile per quest'ultimo chiedere nuovamente l'attuazione dell'obbligo stesso.

Quindi, con la definitività (per assenza di contestazione) della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo.

Completamento o chiusura dell'esecuzione forzata obblighi di fare per mera individuazione delle modalità operative

Per ritenere attuato un obbligo di fare, non basta che siano indicate le modalità attuative necessarie, se esse non vengano poi concretamente poste in essere.

L'ordinanza del giudice dell'esecuzione che indivuda le modalità attuative dell'obbligo di fare (sicuramente non ha il valore di una sentenza) e non puà essere considerata come un provvedimento di per sé attuativo dell'obbligo di fare (essendo a tal fine necessaria una attività materiale) e tanto meno potrebbe essere interpretata, in modo del tutto illogico e contrario al suo senso effettivo, come se avesse affermato che l'obbligo in questione non fosse attuabile o fosse stato già compiutamente attuato (il che sarebbe assolutamente contrario al senso logico, del provvedimento).

Completamento o chiusura dell'esecuzione forzata obblighi di fare per mancata esecuzione delle opere materiali o di attività materiale

Se l'obbligo posto in esecuzione non sia affatto eseguito, perché il procedimento non si sia di fatto concluso, a causa dell'inerzia dell'ufficio e/o delle parti, e ciò anche a prescindere da una espressa sua dichiarazione di estinzione, quel principio non potrà venire in alcun modo in gioco.

In siffatta ipotesi, l'esecuzione iniziata e non conclusa sarebbe da ritenere ormai processualmente definita (per abbandono, rinuncia, improcedibilità, ma comunque senza l'effettivo conseguimento del risultato dell'attuazione dell'obbligo posto in esecuzione e, quindi, con la conseguente inefficacia di tutti gli atti posti in essere) e, d'altra parte, se anche non fosse possibile ritenerla definita, essa dovrebbe ritenersi ancora pendente, con conseguente persistente validità degli atti compiuti (tertium non datur).

In entrambi i casi, il creditore ha certamente il diritto di procedere per ottenere l'attuazione dell'obbligo consacrato nel titolo esecutivo che non sia stato attuato né sia stato espressamente dichiarato non attuabile.

Nel primo caso (cioè laddove il primo procedimento esecutivo sia stato abbandonato, si sia estinto o sia comunque divenuto improcedibile), il creditore avrà la possibilità di chiedere nuovamente la fissazione delle modalità esecutive dell'obbligo, ai sensi dell‘art. 612 c.p.c., senza alcun vincolo derivante da una eventuale precedente ordinanza che abbia già determinato tali modalità, in quanto tale ordinanza avrebbe perso ogni effetto.

Anche nel secondo caso (cioè laddove il primo procedimento esecutivo non possa ritenersi abbandonato, estinto o comunque divenuto improcedibile e quindi debba ritenersi ancora pendente) il creditore potrà certamente chiedere nuovamente al giudice dell'esecuzione di fissare le modalità di attuazione dell'obbligo di fare, in quanto in tal modo egli, nella sostanza, non fa altro che chiedere la prosecuzione del procedimento ancora pendente; di conseguenza, il giudice dell'esecuzione potrà dare impulso all'attuazione esclusivamente in base alle modalità già fissate in precedenza (salvo sempre il potere di procedere a successive modificazioni, ai sensi dell'art. 613 c.p.c., ove insorgessero difficoltà materiali).

Quindi la richiesta del creditore, sia che la si intenda come istanza di fissazione della modalità attuative dell'obbligo di fare, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., nell'ambito di un nuovo procedimento esecutivo (per essersi ormai estinto il primo), sia che la si intenda come richiesta di esecuzione materiale delle modalità attuative già fissate in precedenza dal giudice dell'esecuzione (per essere quel procedimento ancora pendente), deve avere corso e non può affermarsi che  abbia perso il suo diritto di procedere ad esecuzione forzata per l'attuazione del titolo esecutivo recante la condanna all'obbligo di fare.

Completamento o chiusura dell'esecuzione forzata

Va enunciato il seguente principio di diritto: il processo esecutivo definito può dar luogo alla cd. irretrattabilità dei suoi risultati (e, di conseguenza, all'applicazione del cd. principio del ne bis in idem) esclusivamente laddove esso si sia concluso con l'attuazione concreta dell'obbligo posto in esecuzione, secondo la conformazione ad esso data in sede esecutiva; quindi: trattandosi di espropriazione, con l'attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito; trattandosi di obblighi di fare, con l'attuazione materiale dell'obbligo contenuto nel titolo, secondo le modalità concrete disposte dal giudice dell'esecuzione; trattandosi di obblighi di consegna o rilascio, con la consegna o il rilascio della cosa dovuta.

Nelle ipotesi in cui il procedimento esecutivo non abbia tale esito, può al più ipotizzarsi una estensione del cd. principio del ne bis in idem, laddove il giudice dell'esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, abbia in qualche modo dichiarato l'obbligo non eseguibile oppure lo abbia ritenuto già completamente eseguito (nell'espropriazione ciò potrà avvenire, ad esempio, in caso di liquidazione del credito posto in esecuzione in modo difforme dalla pretesa del creditore e/o di assegnazione dichiarata satisfattiva benché inferiore all'importo oggetto di intimazione; altrettanto potrà avvenire, nell'esecuzione diretta, per il caso della espressa dichiarazione di impossibilità di attuazione odella espressa dichiarazione di avvenuta completa attuazione in concreto dell'obbligo di fare).

Quando l'esecuzione forzata non è conclusa

Laddove invece il processo esecutivo non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché esso non venga coltivato, per inerzia dell'ufficio e/o delle parti, per abbandono, per estinzione o comunque per qualunque motivo che non implichi una valutazione del giudice dell'esecuzione relativa alla "consumazione" del diritto di procedere ad esecuzione forzata (per avvenuta sua attuazione o per sua radicale mancanza), non vi è alcuna preclusione per il creditore (salva la prescrizione, laddove effettivamente configurabile) a procedere ancora in executivis.

Cass., civ. sez. III, del 13 novembre 2019, n. 29347

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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