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Riscossione dell’assegno è accettazione tacita dell’eredità

La Cassazione del 4.8.2016 n. 16315 ha confermato che costituisce accettazione tacita dell’eredità la condotta del chiamato all’eredità che abbia riscosso un assegno rilasciato al de cuius, trattandosi di attività dispositiva e non conservativa; soprattutto quando il chiamato si sia anche appropriato della somma indicata nell’assegno.
A cura di Paolo Giuliano
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Le scelte a disposizione dell'erede

Alla morte del de cuius l'erede (testamentario o designato ex lege) ha una serie di opzioni a sua disposizione:

Accettazione espressa o tacita

Le differenze tra l'accettazione espressa o tacita dipendono dalle modalità attraverso le quali si decide di acquisire l'eredità. L'accettazione espressa è un atto formale (atto pubblico) con il quale l'erede dichiara di accettare (acquisire) l'eredità ed assume il titolo di erede.

L'accettazione tacita dell'eredità raggiunge il medesimo risultato dell'accettazione espressa (l'acquisto dell'eredità), ma in modo indiretto, infatti, la volontà (o l'intento) di acquisire l'eredità si desume da un comportamento o dal compimento di alcuni atti (es. divisione dell'eredità tra i coeredi oppure vendita dei beni ereditari).

In poche parole, nell'accettazione tacita dell'eredità manca una dichiarazione espressa di accettare l'eredità, ma c'è un comportamento che equivale alla manifestazione espressa di accettare l'eredità.

Caratteristiche dell'accettazione tacita dell'eredità

Il fatto che alla base dell'accettazione tacita c'è il compimento di un atto che equivale ad accettazione espressa (o che equivale alla manifestazione espressa della volontà di accettare l'eredità) significa che si è in presenza di una valutazione discrezionale. questo significa che occorre individuare degli elementi per restringere il campo oppure, quanto meno, degli elementi costanti in ogni accettazione tacita.

Ecco, quindi, che si afferma che ai fini del perfezionamento dell'accettazione tacita dell'eredità ex art. 476 c.c., si richiede il compimento di un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettare, inoltre, e sono da qualificarsi come atti da accettazione tacita solo quelli per il compimento dei quali è legittimato soltanto chi riveste la qualità di erede.

Tali requisiti (atto che presuppone la volontà di accettare e atto che può compiere solo l'erede) , la tesi fatta propria da questa Corte a partire da Cass. n. 497 del 1965, è quella secondo cui i requisiti in esame sono previsti in via cumulativa e sono entrambi necessari per l'accettazione, di modo che la valutazione della Corte distrettuale compiuta sul punto appare immune da qualsivoglia critica.

Ipotesi concrete di accettazione tacita dell'eredità

Anche in questo modo, risulta evidente che la valutazione soggettiva (per qualificare un atto come accettazione tacita) riveste un ruolo molto importante.

La complessità della vicenda si nota, non per gli atti rilevanti economicamente come la divisione dei beni ereditari o la vendita di bene ereditari, (per evitare che un determinato atto sia considerato accettazione tacita è prevista la possibilità di essere autorizzato al compimento dell'atto)  ma per gli atti che possono avere un'importanza secondaria, basta pensare all'istanza di voltura di una licenza edilizia rilasciata al de cuius oppure alla riscossione di un assegno intestato al de cuius.

Riscossione dell'assegno intestato al de cuius

Dopo l'apertura della successione oltre ad aprirsi tutta la questione relativa alla gestione dei conti correnti di cui era titolare il defunto, può anche capitare che arrivino al de cuius dei pagamenti medianti assegni intestati al medesimo de cuius.

In questo contesto occorre valutare se la mera riscossione dell'assegno intestato al de cuius è accettazione tacita dell'eredità, oppure oltre alla riscossione (ad esempio mediante versamento dell'assegno sul conto intestato al de cuius) per aversi accettazione tacita è necessario anche l'incasso della somma da parte dell'erede.

Risultano evidenti anche le differenze tra le due ipotesi, la prima è semplicemente una riscossione in senso ampio, poiché si è in presenza solo di un versamento di un assegno sul conto del de cuius (effettuata dall'erede); la seconda, invece, è una riscossione con incasso della somma (che viene sottratta all'eredità del de cuius ed incamerata dall'erede).

Riscossione dell'assegno con incasso e senza incasso

Tradizionalmente si afferma che rientra nell'accettazione tacita la condotta del chiamato all'eredità che abbia riscosso un assegno rilasciato al de cuius, trattandosi di attività dispositiva e non conservativa;  ma occorre chiedersi la mera riscossione, senza appropriazione delle somme di denaro, è sempre accettazione tacita oppure la riscossione dell'assegno è accettazione tacita solo quando si verifica anche l'appropriazione delle somme di denaro?

Sembra che ci sia muovendo verso quest'ultima direzione, infatti, la riscossione dell'assegno è accettazione tacita quando gli eredi, avendo estinto il conto corrente del de cuius hanno incassando la somma risultante dall'assegno (sottraendola al patrimonio ereditario). In questa situazione l'incasso dell'assegno (e del relativo ammontare) si pone alla stregua di atto dispositivo del patrimonio ereditario, anche se non risulti la prova poi dell'effettivo riparto delle somme incassate tra gli eredi.

La riscossione dell'assegno (con incasso della somma) è accettazione tacita anche quando gli eredi conservano il conto corrente del de funto, infatti, non avrebbe senso non versare un assegno sul conto corrente del defunto  attese le certezze che offrono gli istituti di credito nella custodia del denaro, in assenza di altra diversa e plausibile giustificazione, le condotte poste in essere dagli attori non appaiono appunto suscettibili di connotazione sul piano soggettivo, di una finalità conservativa delle ragioni del patrimonio ereditario, manifestando invece, il diverso intento di appropriazione delle somme ricadenti in successione.

Né infine deve trascurarsi che lo stabilire se un comportamento realizzi accettazione tacita si risolve in un'indagine di fatto non sindacabile in sede di legittimità, purché il risultato sia congruamente motivato senza errori di logica o di diritto condizione questa che ricorre nel caso in esame.

Cass., civ. sez. II, del 4 agosto 2016, n. 16315

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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