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Appalto termine essenziale e risoluzione per inadempimento

La Cassazione del 16.1.2015 n. 700 ha stabilito che i vizi delle opere eseguite (tinteggiatura pareti ed impianto elettrico ecc.) fossero tali da renderle inidonee alla loro destinazione, così che si doveva escludere la risolubilità del contratto ai sensi dell’art. 1668 cc, questa soluzione è corretta anche se l’art. 1455 c.c. prevede la risoluzione se l’inadempimento non ha scarsa importanza.
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A cura di Paolo Giuliano
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Stipulato il contratto di appalto ed eseguiti i lavori, è quasi certo che sorgono delle contestazioni sul termine di ultimazione delle opere e sulle modalità (buone o cattive) delle opere eseguite.

Partendo dal termine dei lavori (rinviando la questione dei vizi delle opere e delle conseguenze) si può dire che ogni contratto di appalto prevede un termine entro cui completare i lavori, questo termine è un termine di adempimento (non di efficacia del contratto). Il rispetto del termine di completamento dei lavori è affidato, molto spesso, ad una clausola penale che prevede (quantifica anticipatamente e in modo forfettario) il risarcimento del danno derivante dal ritardo.

Come detto in precedenza il termine entro cui completare l'esecuzione delle opere è un termine di adempimento (semplice). Resta da chiedersi se il termine inserito nel contratto di appalto può essere un termine essenziale ex art. 1457 c.c. (con tutte le conseguenze derivanti dal mancato rispetto dello stesso, come la risoluzione di diritto se non viene rispettato il limite di tempo prefissato). In linea teorica nulla si oppone ad inserire nel contratto di appalto un termine essenziale (o dal qualificare il termine come essenziale), del resto, il termine essenziale prevede solo che una delle parti perde interesse all'esecuzione della stessa (e al contratto) se la prestazione è effettuata dopo un determinato arco di tempo.

Questa esigenza  delle parti può essere inserita anche nel termine del contratto di appalto il problema, semmai, è come provare che il termine è essenziale.

L'ipotesi più semplice è che le parti, al momento della stipula del contratto, qualifichino il termine, in modo chiaro ed espresso come "termine essenziale" (eventualmente richiamando anche al norma del codice civile 1457 c.c.). Se manca una qualificazione espressa del termine come essenziale è possibile una qualificazione tacita o implicita dello stesso termine come essenziale, qualificazione che può  derivare dalle circostanze di fatto (infatti, la qualificazione si può desumere dalla prestazione es. una torta di compleanno deve essere pronta prima del compleanno non dopo).  Nulla vieta alle parti di accordarsi, in forma orale, sulla essenzialità del termine.

In tutte queste ipotesi la prova dell'essenzialità del termine deve essere fornita e se in un caso (qualificazione espressa ed informa scritta) la prova è relativamente semplice, in quanto basta leggere il contratto, nelle altre ipotesi (qualificazione derivante dalle circostanze di fatto o patto orale) la prova è molto più difficile (anche se non impossibile).

Passando all'altro aspetto relativo all'esecuzione dell'opera è opportuno ricordare che mentre la regola generale (in materia di risoluzione) prevista dall'art. 1455 c.c. stabilisce che "il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra", mentre l'art. 1668 c.c. in materia di appalto prevede che "Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore.  Se però le difformità o i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto"

Da una semplice lettura risulta evidente che le due norme sono diverse, la norma generale (ex 1455 c.c.) prevede la risoluzione del contratto se l'inadempimento non è di scarsa importanza, mentre la norma speciale (1668 c.c.) prevede la risoluzione del contratto solo se l'opera è del tutto inadatta alla sua destinazione. L'art. 1668 c.c. consente la risoluzione solo in alcune ipotesi limitate (quando l'opera è inadatta alla sua destinazione) ed è una norma più restrittiva rispetto l'art. 1455 c.c. che consente la risoluzione quando l'inadempimento è di scarsa importanza.

Da questa differente impostazione, discende un inadempimento (nell'ambito dell'appalto) di non scarsa importanza potrebbe non portare alla risoluzione del contratto di appalto se l'opera non è del tutto inidonea alla sua destinazione, ecco, che l'unico mezzo di tutela del committente è quello di chiedere l'eliminazione delle difformità e vizi a spese dell'appaltatore o che l'appaltatore riduca proporzionalmente il corrispettivo dell'appalto.

Cass., civ. sez. VI, del 16 gennaio 2015, n.700 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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