L’Italia non s’inginocchia, Ancelotti: “Il razzismo si combatte educando le nuove generazioni”
Quasi metà squadra contro il Galles. Nessuno in occasione della partita degli ottavi di finale contro l'Austria. E questa volta non c'è il rischio di farsi trovare impreparati. L'Italia ha scelto di non inginocchiarsi prima del fischio d'inizio del match di sabato sera. Una decisione che può essere discutibile e alimenta il dibattito tra chi crede sia un'occasione persa per veicolare – anche attraverso lo sport – un messaggio molto forte e chi, invece, pensa siano altri i modi e i luoghi per disinnescare l'odio ma presa all'unanimità. Così ha voluto il gruppo della Nazionale dopo che era balzata all'occhio la reazione differente dei calciatori dinanzi a quel gesto che è un simbolo della lotta al razzismo e del movimento Black Lives Matter.
Cinque accosciati e sei in piedi al cospetto di Gareth Bale e compagni che, come avviene ormai da tempo in Inghilterra, erano tutti genuflessi. In Premier League è considerato (quasi) un obbligo morale, sia per i calciatori delle squadre di club sia in nazionale. Nel resto d'Europa, invece, la questione viene lasciata alla libera sensibilità dei singoli come sottolineato anche dal presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, dopo il caso sollevato durante l'ultima partita degli Azzurri nel Girone A.
Carlo Ancelotti, che nella scorsa stagione era sulla panchina dell'Everton, ha vissuto direttamente quella esperienza e quel rituale che non è considerato un semplice atto nel corredo accessorio dei match. Oggi è di nuovo al Real Madrid, che lo ha ingaggiato dopo aver chiuso l'esperienza Zidane, ma dell'ultima esperienza in Inghilterra porta con sé anche quel particolare. "In Premier è un'abitudine, tutto è iniziato un anno e mezzo fa – ha ammesso nell'intervista a Il Giornale – e non c'è mai stata discussione sulla cosa. Per quanto mi riguarda, credo che non inginocchiarsi per qualche secondo non è così importante. Non è così che si risolve il problema. Semmai, la cosa veramente fondamentale è educare le nuove generazioni alla questione del razzismo".
Il tema dei diritti ha fatto capolino nel corso degli Europei anche per il polverone provocato dal veto della Uefa alla città di Monaco di Baviera. Il primo cittadino aveva proposto che l'Allianz Stadium, teatro della gara tra Germania e Ungheria, fosse illuminato con i colori della bandiera arcobaleno. Un'opzione bocciata dalla federazione continentale perché ritenuta "politica" rispetto alle posizioni e alle leggi del governo magiaro che vietano "la promozione dell'omosessualità tra i minori". Nemmeno era bastata da parte della stessa Uefa la modifica al logo trasformato con l'accostamento cromatico iconico della freedom flag per spegnere le polemiche dinanzi a una scelta poco coraggiosa.