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Fabio Balsamo in Rai con The Floor: “Ciro omaggerà la Tv anni ’90, io l’anima scorretta The Jackal”

Fabio Balsamo racconta l’esordio in prima serata su Rai2 al fianco di Ciro Priello: “Ormai siamo una coppia di fatto televisiva”. Di recente il ritorno de Gli effetti di… ispirato a Tik Tok: “Volevamo raccontare un’epoca che ci diverte, ma che in fondo un po’ ci distrugge”. Sulla visibilità dei The Jackal: “Ci preoccupiamo della sovraesposizione, ma ho capito che è un problema mostrarsi troppo se non hai contenuto”.
A cura di Andrea Parrella
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Partirà martedì 2 gennaio su Rai2 The Floor, programma che segna la prima avventura da conduttori in prima serata sulle reti Rai per Ciro Priello e Fabio Balsamo. Con The Floor sbarca in Italia uno show televisivo internazionale che è già tra i più visti nei Paesi in cui è in programmazione e che in Italia trova nei due The Jackal i suoi interpreti. Un'esperienza che segue a quella di Name That Tune delle scorse stagioni e che è un banco di prova importante per la coppia nel territorio della Tv generalista. Fabio Balsamo, che in queste settimane è impegnato nelle riprese del remake di Piedone, racconta in questa intervista il percorso di avvicinamento alla prima esperienza televisiva Rai da protagonisti.

Parliamo subito di The Floor. In che casella del tuo/vostro percorso collochi questo fatidico approdo in Rai in prima serata?

La prima cosa che mi viene da dire è che noi come The Jackal, e lo abbiamo raccontato anche attraverso la serie Pesce Piccoli, abbiamo una mentalità del work in progress, quindi qualora c'è un progetto che possa contribuire a una crescita artistica per il talent, la prendiamo sempre in considerazione, tentando di lavorare a una personalizzazione.

Tu e Ciro Priello siete ormai una coppia televisiva di fatto, ma anche una coppia aperta.

Come coppia televisiva abbiamo creato un'alchimia per la quale ti senti di lanciarti nel vuoto sapendo che c'è l'altro con te. Studiamo molto i ruoli, abbiamo trascorso quasi un mese con la produzione per capire come non essere una conduzione a due voci, ma ad avere ruoli completamente differenti. Ciro sarà il conduttore di questo programma, l'omaggio agli anni Novanta, la Tv che ci ha cresciuti, alla formalità, alle paillettes di certe giacche, a Columbro, Fiorello. Io provo a essere la chiave moderna, la lettura, l'identità The Jackal, la scorrettezza di prendere in giro senza cattiveria i concorrenti. Se io setto le regole e mi prendo in giro per primo, loro la accettano per il contesto amichevole. Quindi abbiamo pensato a questo ruolo da tuttologo per me che ripropone una dinamica di molti dialoghi tra me e Ciro.

Hai parlato di "ruolo" terminologie tipiche del tuo lavoro da interprete. La maschera è qualcosa in cui l'attore spesso spera per svoltare una carriera ma poi riuscire a togliersela è molto difficile. 

Ci vuole un lavoro enorme, solo dopo due anni da Gli effetti di Gomorra le persone hanno incominciato a chiamarmi Fabio Balsamo dei The Jackal e non Noemi.

I tormentoni si chiamano così appositamente, danno tanto ma tormentano.

È difficile, non ti potrai mai dissociare, ma costruire percorsi contigui, paralleli. Quello ha fatto gli effetti di Gomorra, ma anche il film con Serena Rossi, la serie con Rocco Papaleo.

Grazie alla Tv tu e Ciro avete avuto enorme riconoscibilità. Avete avuto percezione del salto dal pubblico dei social a quello generalista?

Non ne abbiamo la percezione e non lo dico per modestia, non c'è consapevolezza di questa lente di ingrandimento. Forse perché siamo cresciuti per troppo tempo in una gavetta fuori da questi grandi riflettori, magari fra un po' di anni, vedendosi in Tv con continuità, lo capiremo di più. Anche perché noi abbiamo iniziato con Name That Tune due anni fa e quando ci hanno chiamato al provino noi non avevamo mai condotto nulla, c'è stato un po' di panico e mesi di studio e di approfondimento.

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Lo studio, il lavoro, spesso in relazione alla televisione si pensa che certe cose non servano.

Io sono passato dalla nicchia del teatro classico al prodotto popolare e ho capito che molti vedono in malo modo il personaggio popolare, come se piacendo a tutti fosse poca roba che arriva a tutti. Al contrario, io mi sono reso conto, passando da Cechov e Pirandello a questo, che c'è un enorme lavoro, diverso, anche per un prodotto popolare. Devi arrivare a tutti, ma con un contenuto, devi far ridere, ma non essere troppo scemo, devi essere interessante, ma deve capirti anche la casalinga. Fare un prodotto popolare è estremamente complesso a differenza di come venga additato da quelli della nicchia.

La Tv ha la sua grammatica complessa. Quanto ti piace questo codice e a che posto lo metti tra quelli che maneggi?

Mi sento più a mio agio nella grammatica da interprete, testo alla mano, lavoro di scrittura, di realismo dei dialoghi, costruzione e interpretazione del personaggio. Però l'esperienza televisiva a me ha insegnato che conta l'uso della grammatica, non le regole in sé. Solo il lavoro ripaga la qualità. Non è un fatto di piattaforme quello che va meglio o peggio, ma una questione di lavoro. Noi crediamo nella dignità orizzontale dei progetti, si tratti di un film, una serie Tv, un programma televisivo, uno spot. Le fortune possono essere diverse e noi lo abbiamo provato sulla nostra pelle, ma il lavoro non manca mai e ci piace lavorare bene.

Negli ultimi anni voi in The Jackal avete avuto grande visibilità, siete molti e vi dividete su più progetti. Il problema della sovraesposizione esiste, oppure non ci pensate?

C'è sempre qualche Jackal in mezzo, dici tu. Sì, è un problema che mi pongo e ci poniamo in continuazione. Aggiungo che è un problema che è giusto porsi a prescindere ed ho collaudato che la sovraesposizione non è fare tanti progetti, ma farsi vedere tante volte senza un contenuto. Se fai una storia al giorno sui social e non hai niente da dire, quella è sovraesposizione, se vai a fare l'ospite in Tv tutti i giorni a prescindere, quella può essere sovraesposizione. Ma se a marzo hai girato una serie e a dicembre ne hai girata un'altra ed escono tutte e due nello stesso periodo, la colpa non può essere tua. Detto ciò è un rischio che proviamo a gestire ragionando su quali progetti prendere, cosa che comporta anche molte rinunce. Fino a che riusciamo a farlo come vogliamo, proviamo a prendere le cose che ci interessano. Quando ci accorgeremo che qualcosa non viene bene, faremo dei ragionamenti, ma va anche detto che siamo in una fase di crescita e dire di no non è semplice.

Anche perché l'altro rischio è quello di essere sommersi dalle novità.

Esatto, se ti fermi un anno sei sparito, non ti conosce più nessuno, in un'epoca in cui se non metti tre video al giorno su Tik Tok la gente non sa più chi sei. Quindi è giusto lavorare per evitare la sovraesposizione, però è un tempo in cui si corre talmente tanto che è difficile esserci troppo.

Tu rappresenti un raro caso di chi ha iniziato a costruirsi come attore in un'era pre digitale, senza essere travolto dalla digitalizzazione, ma trovando in questa un volano. In molti colleghi prevale una forma di rigetto per i cosiddetti "nuovi mezzi". Che ne pensi?

Io credo che l'attore oggi debba evolversi nell'attore 2.0. Sui set parlo con attori candidati ai David con molta più esperienza di me che mi chiedono del social. È imprescindibile adesso che un attore ne faccia uso, io dopo anni di teatro classico in Francia ho capito che quella piattaforma poteva essere il futuro. Fatta eccezione per alcuni giganti, un attore oggi non può permettersi il lusso di non esserci, credo sia un po' come dire di essere un medico senza voler fare tac. Questo non significa sostituire il lavoro di studio e interpretazione, ma accompagnare questa cosa con l'uso delle nuove piattaforme di comunicazione.

Al netto di tutto pensi di saper usare i social?

Io mi sono violentato, perché venivo da assi di legno e stesso foglio per due giorni, passare all'idea delle storie su Instagram è stato complesso. Il digital è una fortuna che ho soprattutto perché vivo nella The Jackal, dove sono circondato da maestri di questi meccanismi di comunicazione. Sono un cactus ricoperto di tappi che mi separano dal palloncino. Mi predispongo all'apprendimento, ma vivendo un contesto così effervescente e professionale, mi arrivano influenze importanti. Di contro, la cosa divertente, è che dall'altra parte ci sono io che affronto una storia Instagram come fosse la ventesima replica di uno spettacolo. A volte Aurora e Fru, all'ennesima volta che dico che quella storia va rifatta e aggiustata, sospirano sudando. La disciplina teatrale, il perfezionismo al servizio dei social è una componente che mi sento di aver portato nel gruppo.

Qualche giorno fa è tornato il vostro format per eccellenza con Gli effetti di Tik Tok sulla gente. Dopo dieci anni te lo immaginavi?

Ci sono state diverse occasioni di rifare un "Gli effetti di..". ma l'abbiamo sempre bocciate perché tutto volevamo tranne riprendere quel format. Questa volta è accaduto in maniera quasi spontanea per trovare un pretesto in questa velata denuncia a tormentoni spesso fini a se stessi, a volte anche trash. Ci siamo chiesti come potessimo mettere insieme tutti i tormentoni di Tik Tok e restituire il senso capire della natura effimera di un'epoca che ci diverte, ma che in fondo un po' ci distrugge. Gli effetti di Tik Tok è quindi nato come un'esigenza, la formula migliore per raccontare parte del tempo che stiamo vivendo.

Inizi a percepirti un po' bacchettone su certi fenomeni "nuovi"?

Io mi sento bacchettone da vent'anni. Il primo giorno in cui mi hanno detto "questo si chiama Instagram, dovresti fartelo", mi stavo sentendo male. Inesorabilmente fra 5 anni i giovani chiameranno boomer quelli nati 5 anni prima.

Fate questo esordio in televisione su una rete che ha le sue complessità. State ragionando del risultato e degli ascolti?

Ti dico il mio punto di vista. Io sono quello che dice "Ciro non guardare i numeri", che sostiene di non essere interessato allo share. Questo perché sono sicuro che se pongo l'attenzione sul guardarmi, sullo studio di cosa è andato e non è andato, i risultati verranno da sé. È un po' come i commenti sotto ai video, che io non ho mai letto, questo perché solo io dall'interno cosa possa dare di più. Per me il programma può fare anche 12 punti di share, ma se l'intesa non si è sviluppata come volevo, che la battuta non è servita come volevo, quel 12 % ha un po' meno importanza. Se sento di aver dato tutto quello che avevo, anche l'1% va bene. I numeri vanno presi con grane umiltà, ma senza ossessione. Se raggiungiamo quelli che ci permettono di fare un'altra cosa l'anno prossimo siamo più contenti.

Facciamo il gioco dei titoli del giorno dopo.

Se il programma va male, Priello e Balsamo molto male su Rai2, forse la Tv non fa per loro. Il titolo positivo è che ci confermano: buon esordio, non male, tutto sommato hanno rispettato la media. L'augurio mio è che i risultati ci consentano di fare un altro programma, magari tutto scritto da noi. Il sogno è fare un programma The Jackal con Ciro, Fabio, Aurora e Gianluca. La cosa bella è vedersi anche da lontano, Aurora è a LOL, Fru a Pechino, ma poi ci ritroviamo in sala relax in ufficio per dirci come è andata. È un gruppo un po' anomalo, si esce tanto ma poi il nido resta quello.

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