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Vent’anni dopo Mani Pulite è ancora attuale

“Tutto era cominciato un mattino d’inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d’arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l’ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano con l’ambizione di diventare sindaco di Milano” (Enzo Biagi).
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Ne abbiamo parlato qualche giorno fa, del clima che si respira in quest'Italia, così simile a "quello del '92". Vent'anni dopo il Paese sembra in effetti rivivere scene già viste, con nuovi problemi che si sommano a questioni irrisolte, con lo spauracchio della crisi e della recessione a pesare su ogni decisione e a condizionare l'opinione pubblica, con l'assalto dell'antipolitica, il trionfo populismo e "l'eterno ritorno" del qualunquismo a bloccare il Belpaese. Un copione già scritto, parrebbe. Proprio come in quei mesi, quando sembrava che l'Italia migliore fosse pronta a liberarsi da una classe politica corrotta ed avida, arrogante e prevaricatrice; quando sembrava che concetti come legalità e trasparenza potessero in qualche modo spazzar via decenni di inefficienza, malaffare e disonestà; quando sembrava che il ricambio ai vertici delle istituzioni potesse garantire quella discontinuità di cui il Paese aveva un disperato bisogno. Già, sembrava.

Il 17 febbraio 1992 e la prima slavina – L'arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, è uno di quei momenti topici della nostra storia recente. Le prime ammissioni dell'ingegnere di fronte ai magistrati del pool di Milano e le successive inchieste portarono in breve tempo all'attenzione generale un "sistema" capillarmente diffuso a tutti i livelli della gestione pubblica e privata, in cui malaffare e corruzione erano prassi ordinaria e consolidata. In poche parole, i magistrati "guidati" da Antonio Di Pietro, il pm dell'indagine che aveva portato all'arresto in flagranza di reato del "mariuolo isolato" (secondo la celebre definizione di Bettino Craxi), certificarono l'esistenza di un "Paese illegale, dove la corruzione regola i rapporti di potere ed ogni cosa è subordinata agli interessi personali di politici, faccendieri, imprenditori; dove le tangenti sono la regola per l'assegnazione di appalti e consulenze e il malaffare è organico al potere politico". In un Paese che si apprestava a "scoprire" con terrore il disastro dei conti pubblici e la pesante eredità di decenni di spesa pubblica ed assistenzialismo (con il flagello appunto della corruzione), la crisi divenne ben presto anche istituzionale e all'elezione di Oscar Luigi Scalfaro (nel 2003) alla Presidenza della Repubblica seguì la nascita del primo governo tecnico della storia repubblicana, a guida dell'allora Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi (una figura che, anche nel successivo settennato da Presidente della Repubblica sarà certamente ricordata negli anni come garante della democrazia e della legalità). Tangentopoli intanto era diventata la "madre di tutte le inchieste" e la slavina travolse tutti i principali partiti italiani, con la rilevante eccezione del PDS, erede diretto del PCI e solo marginalmente toccato dalle inchieste (una realtà che va necessariamente sottolineata, al di là di alcuni tentativi genericamente omogeneizzanti di "revisionismo ante litteram").

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Il 30 aprile 1993 e il momento simbolo – Se c'è una giornata che difficilmente sarà dimenticata è quella del 30 aprile del 1993, quando centinaia di attivisti, militanti politici e semplici cittadini si ritrovarono davanti all'ingresso dell'Hotel Raphael a Roma, la residenza abituale di Bettino Craxi, il politico che più di tutti (anche per la sua volontà di "non sottrarsi" allo scontro e in qualche modo di caricarsi parte delle responsabilità del naufragio) finirà con l'essere identificato come il simbolo di un'intera classe politica. Quella sera la contestazione assunse un carattere fortemente simbolico e la folla rovesciò sul segretario del Partito Socialista tutto il carico di frustrazione, rabbia e delusione accumulato nei mesi precedenti, mano a mano che giornali e televisioni "rivelavano" le mille pieghe di un sistema marcio e corrotto. La rabbia iconoclasta e probabilmente qualunquista assunse il carattere di una vera rivolta morale, con il lancio di monetine al grido di "Bettino prendi anche queste" che resterà l'immagine più nitida di una nazione allo sbando, stupita ed indignata, ma come tristemente evidenziato dagli sviluppi successivi, incapace di discernere i fatti dalla propaganda, di praticare nel quotidiano quei valori assoluti proclamati in pubblico a gran voce.

Ma il tempo dei processi non è finito – Ovviamente il compito di dare un giudizio esaustivo e completo sull'interezza della questione esula dalle competenze e dalle capacità di chi scrive. Così come ogni considerazione di merito sulla stessa figura di Craxi, per alcuni la "vittima sacrificale di una magistratura politicizzata e dai metodi inquisitori", per altri "l'emblema stesso della corruzione, un reo fuggito dall'Italia e dalle sue responsabilità". Ma se proviamo a gettare uno sguardo alla condizione presente del nostro Paese non possiamo che trovarvi analogie sorprendenti e soprattutto inquietanti. Se, come scritto da autorevoli giornalisti, non era possibile immaginare una "rivoluzione" guidata dai magistrati (per la semplice ragione che non è mai stato quello nè il compito nè l'aspirazione delle toghe di Mani Pulite), allo stesso tempo è necessario riflettere con serietà di fronte al mancato "cambio di passo" del nostro Paese e alla constatazione del persistere degli stessi endemici problemi del '92. Come evidenziato anche dagli ultimi rapporti istituzionali, la corruzione resta una piaga sistemica, la trasparenza e la correttezza gestionale di amministrazioni, partiti ed imprese restano nel novero dei "vaghi propositi e dei complessi obiettivi", la credibilità della classe politica è ai minimi, il livello di consapevolezza dell'opinione pubblica è costantemente abbassato dal riemergere prepotente di demagogia e populismo. Ora come allora per di più la magistratura sconta inefficienze e ritardi, e le colpevoli mancanze in termini di burocrazia e  lentezza dei procedimenti si sommano alla costante opera di delegittimazione operata da parte della politica con la condiscenza e la complicità di parte dell'informazione. La stessa opinione pubblica è sempre sottoposta al fuoco di fila della propaganda e della disinformazione, con i fatti ridotti a brandelli e spesso "preservati" solo dalla moltiplicazione delle "voci" (certo anche in questo caso la discussione è lunga e complessa) , con l'emergere di nuove forme di "qualunquismo organizzato". Ora come allora rischiamo di essere trascinati dalla corrente e di non essere in grado di convogliare la legittima rabbia e la giusta indignazione verso una vera "rivoluzione" nella pratica politica ed istituzionale. Un cambiamento radicale che non possiamo rimandare, per non trovarci fra venti anni, magari con bilanci più saldi, ma con gli stessi problemi e la stessa angosciante sensazione di inadeguatezza.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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