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Perché lo smart working può salvare gli italiani dalla crisi energetica del prossimo inverno

Nei mesi più difficili dell’emergenza Covid gli italiani hanno imparato ad apprezzare i pregi e detestare i difetti dello smart working. Ora che quella stagione sembrava archiviata, il lavoro a distanza potrebbe tornare alla ribalta come mezzo per combattere la crisi energetica.
A cura di Marco Billeci
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L'epoca dello smart working è destinata per certi versi a chiudersi, il prossimo primo settembre. Con il rientro dalle ferie, infatti, vanno in soffitta le norme iper-semplificate che hanno regolato la materia nei mesi della pandemia e si passa a un sistema di accordi individuali. Per alcuni osservatori, tuttavia, uscito dalla porta, lo smart working è destinato a rientrare dalla finestra con l'inizio della stagione fredda. Dopo averci aiutato a limitare i contagi da Covid, infatti, il lavoro a distanza potrebbe servire ad affrontare l'emergenza energetica, destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi. Perché questa soluzione sia realmente efficace, però, dovremmo prepararci a una situazione simile a quella sperimentata durante il lockdown, quando una gran parte degli uffici sono rimasti completamente chiusi.

In diversi Paesi il tema è già entrato da mesi nel dibattito politico, all'indomani dell'aggressione dell'Ucraina da parte della Russia. Dello smart working come arma per rispondere al ricatto sull'energia di Putin hanno parlato la ministra del Tesoro spagnola María Jesús Montero e quello tedesco Robert Habeck. In Italia, il giugno passato, una proposta in questo senso è stata portata in parlamento dagli onorevoli De Toma e Rizzetto di Fratelli d'Italia, il partito grande favorito per le elezioni del 25 settembre. I due deputati della formazione di Giorgia Meloni chiedevano una totale liberalizzazione del telelavoro, come risposta al caro energia.

Il ragionamento dietro queste posizioni è all'apparenza semplice. Più lavoro a distanza significa meno spostamenti, meno riscaldamento ed elettricità per aziende e uffici, con un conseguente risparmio di consumi. Ma le cose stanno davvero così? Abbiamo provato a capirlo.

Il petrolio e la benzina

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, era stata l'Agenzia internazionale dell'Energia (Iea) a inserire lo smart working tra le dieci misure utili a liberarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia. L'agenzia si è concentrata soprattutto sui risparmi di carburante, che potrebbero derivare dalla riduzione del pendolarismo casa-lavoro. "Secondo la Iea, se si potesse lavorare da casa tre giorni a settimana, nei Paesi industrializzati si farebbe a meno di mezzo milione di barili di petrolio al giorno, su un consumo totale di 44 milioni", dice a Fanpage.it Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club.

Molti altri studi, con qualche rara eccezione, confermano la tesi per cui più lavoro a distanza equivarrebbe a un minore consumo di carburante. Interpellato da Fanpage.it, il responsabile dell'Osservatorio smart working del Politecnico di Milano Mariano Corso spiega che: "L'impatto legato alla riduzione degli spostamenti, calcolato considerando la percentuale di lavoratori che dichiarano di utilizzare l’auto per recarsi al lavoro, è stimabile in 1,8 milioni di tonnellate di CO2". Una cifra destinata a salire fino a 2,5 milioni, se si consentisse al resto dei 6,5 milioni di lavoratori che hanno lavorato in remoto durante la pandemia di continuare a farlo per almeno il 50 percento del tempo.

Si tratterebbe di un risparmio di costi per le famiglie stimabile nell’ordine di mille euro a lavoratore per anno, ma anche un notevole contributo alla riduzione delle emissioni. Dice Silvestrini che la limitazione della mobilità "può servire anche a compensare in parte l'impatto di altre scelte temporanee per affrontare la crisi energetica, come l'aumento dell'utilizzo delle centrali a carbone".

Fin qui, però, ci siamo concentrati sui consumi di gasolio e benzina. Tuttavia, al centro del dibattito, oggi, c'è soprattutto l'approvvigionamento di gas ed elettricità. Se spostiamo l'attenzione su questo punto, il quadro cambia e molte certezze vengono meno.

Il gas e l'elettricità

Nel periodo della pandemia, molte ricerche si sono dedicate all'impatto dello smart working sui consumi energetici. Particolarmente interessante è un'analisi realizzata da ricercatori britannici, che hanno esaminato 39 studi empirici sul tema. Ventisei di questi concludono che il telelavoro riduce il consumo di energia. Anche qui, però, i risultati più netti riguardano la diminuzione dell'uso di carburante. Al contrario, l'impatto è sull'utilizzo di gas ed elettricità è considerato molto più modesto e incerto da quantificare, per una serie di fattori difficili da analizzare.

Innanzitutto, c'è il fatto che sotto l'etichetta di "smart working" sono comprese molte modalità diverse. La maggior parte di queste, oggi, prevede un mix di lavoro in presenza e a distanza, con il risultato che le sedi aziendali restano "accese". Al contrario, seguendo questa tesi, per ottenere un risparmio energetico significativo, bisognerebbe tornare a una situazione simile al lockdown del 2020. "Un vantaggio significativo – dice ancora Silvestrini – si potrebbe ravvisare solo se c'è un intero reparto aziendale che va in smart working e si elimina l'illuminazione, il riscaldamento e così via".

Dall'altro lato, c'è chi ritiene che anche senza ricorrere a soluzioni integraliste, si potrebbero ottenere dei risultati efficaci. È la posizione sostenuta in un articolo pubblicato da alcuni studiosi sulla rivista "Science Direct". Gli autori sottolineano come negli edifici commerciali della Gran Bretagna i consumi energetici siano molto aumentati negli ultimi anni, anche a causa di evidenti sprechi. Ad esempio, il 56 percento dell'elettricità è utilizzata al di fuori degli orari di ufficio, perché gli impiegati lasciano luci e attrezzature accese.

Inoltre, solo il 50-60 percento delle postazioni in funzione sono effettivamente utilizzate. Di conseguenza, conclude la ricerca, una riduzione degli sprechi e una razionalizzazione degli spazi –  incoraggiata da una modalità ibrida di lavoro, in parte in presenza e in parte a distanza – potrebbe arrivare a dimezzare i consumi energetici, rispetto all'era pre-Covid. Questa stima viene confermata a Fanpage.it da Mariano Corso: "L’esperienza di questi anni ci dimostra che l’applicazione intelligente del lavoro a distanza consente una riduzione degli uffici e dei relativi costi, compresi ovviamente quelli energetici, di un ordine di grandezza tra il 30 e il 50 percento".

Il fattore umano

C'è infine un ultimo elemento da considerare, quello più difficile da quantificare e che rende ogni stima più incerta: l'atteggiamento di ognuno di noi. Come si comporta una persona che lavora da casa, rispetto a quando si trova in ufficio? Da una parte, con un occhio alle bollette, potrebbe fare più attenzione a spegnere la luce quando esce da una stanza o tenere più basso il riscaldamento. Dall'altra, magari lascerebbe accesa la televisione, anche mentre lavora al pc o manderebbe un numero maggiore di mail, rispetto a quando ha la possibilità di parlare faccia a faccia con i colleghi.

Così, mentre tutti gli esperti sono concordi nel dire che lo smart working innalza consumi all'interno delle case, è più difficile stabilire se questo aumento annulli gli effetti del risparmio energetico degli uffici. Secondo una ricerca del National Bureau of Economic Research statunitense, in pandemia, a un aumento del 10 percento dei consumi domestici, è corrisposta una diminuzione di quelli commerciali del 12 percento. Il professor Corso vede il bicchiere mezzo pieno: "I costi di riscaldamento degli edifici residenziali sono in gran parte fissi e solo in piccola parte possono essere variati in funzione della presenza o meno dei lavoratori. Al contrario,  quelli degli uffici possono essere razionalizzati". In ogni caso è evidente che, al ritorno di un uso massiccio dello smart working, si dovrebbe accompagnare un intervento sui costi delle bollette domestiche. "Servirebbe una corretta distribuzione dei benefici – dice ancora Corso – I risparmi che le  imprese hanno per la riduzione dei costi, dovrebbero essere reimpiegati in parte sotto forma di bonus da dare ai lavoratori per sostenere le spese delle utenze".

Anche qui, però, la soluzione potrebbe essere meno facile di come sembra, perché, anche da casa, le persone non sono tutte uguali. Come rileva una ricerca della statunitense Carnegie Mellon University, nel 2020, mentre gran parte dei lavoratori Usa era in smart working, le fasce povere della popolazione hanno dovuto supportare un aumento del costo dell'elettricità domestica doppio rispetto alla media nazionale. Questo perché chi ha un reddito basso vive spesso in case vecchie e meno efficienti da un punto di vista energetico. Anche per questo motivo, conclude il professor Corso: "Lo smart working va sempre proposto come opportunità e non come un obbligo. Ai lavoratori che, data la loro specifica condizione, preferissero anche per motivi economici lavorare in ufficio, le aziende dovrebbero sempre accordare questa possibilità".

La voce delle aziende

"La situazione è gravissima, non credo che ci si sia  resi conto di cosa sta succedendo", dice a Fanpage.it la vicepresidente di Confcommercio Donatella Prampolini, sventolando le bollette del mese di luglio di alcuni punti vendita della catena di supermercati di cui è presidente. "Nell'ultimo trimestre – spiega – siamo passati da 107mila euro di bolletta della luce, a 226mila. E ancora più spaventoso, nel solo mese di luglio il costo è stato di 177mila, vuol dire 500mila euro totali per il prossimo trimestre".

Prampolini chiede un intervento immediato del governo, per aumentare il credito d'imposta a beneficio delle aziende ad alto consumo energetico. E nonostante durante la pandemia sia stata lei, a nome di Confcommercio, a sedersi ai tavoli ministeriali per definire le regole dello telelavoro, oggi non crede che questo possa essere una soluzione per la crisi energentica. "Lo smart working è utile per tante cose, ma onestamente non credo che abbia un grande impatto sul risparmio energetico", dice Prampolini.

E prosegue: "Nel settore terziario, in tantissime attività il lavoro a distanza non è attuabile. Ma anche dove si può fare, chi lo applica, normalmente lo fa solamente per una percentuale di persone. Questo significa che l'ufficio deve comunque essere in funzione e riscaldato". Conclude l'imprenditrice: "Peraltro l'aumento delle bollette nell'ambito dei servizi non è paragonabile a quello di settori ad alto consumo, come alberghi, ristoranti, supermercati. Sono queste le attività che senza un intervento rischiano di chiudere".

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