La Cassazione: “Chi cambia sesso può scegliere il suo nuovo nome senza imposizioni”
Chi decide di cambiare sesso può scegliere liberamente il suo nome. A stabilirlo è la Cassazione, sostenendo che chi deve rettificare gli atti dell’anagrafe dopo aver cambiato sesso può decidere quale sia il suo nuovo nome, senza dover obbligatoriamente vedersi trasformare (dal maschile al femminile o dal femminile al maschile) quello avuto fino a quel momento. La sentenza della prima sezione civile della Cassazione è stata depositata il 17 febbraio e ha accolto il ricorso di una persona che aveva chiesto la rettifica dell’attribuzione di sesso dal maschile al femminile e a cui non era stato consentito di scegliere il suo nuovo nome perché non era “la mera femminilizzazione del precedente”.
Il nome, secondo i giudici della Cassazione, è “uno dei diritti inviolabili della persona”, oltre che un “diritto insopprimibile”. E per questo motivo si è consentito di far cambiare il nome di Alessandro in Alexandra. E non in Alessandra, come invece indicato dai giudici della Corte di appello di Torino. Quest’ultimi avevano rifiutato il nome scelto da Alexandra sostenendo che ci si trovasse di fronte a un “voluttuario desiderio di mutamento del nome di cui, di per sé, non sussistono i presupposti”.
Il ricorso prendeva spunto anche dalla richiesta di ricorrere al diritto all’oblio, volendo cioè applicare una “netta cesura con la precedente identità”. Anche per questa ragione il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Cassazione: secondo i giudici “l’attribuzione del nuovo nome consegue necessariamente all’attribuzione di sesso differente”, ma nella normativa “nulla è detto circa un obbligo di trasposizione meccanica del nome originario nell’altro genere”. Anche perché esistono “prenomi maschili non traducibili al femminile e viceversa”.
I giudici non ritengono quindi che ci siano obiezioni “al fatto che sia la stessa parte interessata, soggetto chiaramente adulto, se lo voglia, a indicare il nuovo nome prescelto, quando non ostino disposizioni normative o diritti di terzi”. Il riconoscimento del diritto all’identità sessuale che porta al cambio del nome, secondo i giudici, “non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente”.