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Opinioni

Il mobbing contro Renzi e i padri che non vogliono invecchiare

Le parole di ieri del segretario democratico sono rivelatrici di un “mondo”. Eppure, se Bersani avesse a cuore la vittoria del Pd, la soluzione sarebbe a portata di mano.
A cura di Federico Mello
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Ieri, finalmente, Pierluigi Bersani ha fatto outing. Parlando a Corviale, quartiere periferico di Roma, rivolto a Matteo Renzi ha detto: «Ci siamo accostati ai 5Stelle con umiltà. Qualcuno di noi, non di loro, mi ha detto “ci vuole dignità”. Io una frase così non l'avrei accettata neanche da mio padre».

Questo di Bersani è un concetto che svela un mondo. Soprattutto quando dice «non l’avrei accettata neanche da mio padre». Il sottointeso è il seguente: l’accusa di Renzi non l’avrei accettato da mio padre… figurarsi se posso accettarla da mio figlio.
Pierluigi Bersani è sicuramente un politico serio, competente e per bene: un patrimonio non da poco, il suo, davanti ad una politica spesso disonesta penalmente e intellettualmente, senza coerenza e senza coraggio. E però, il segretario Pd, è completamente figlio del suo tempo, è un baby boomer a tutto tondo. Mi sbaglierò ma, per esperienza personale, ho verificato che molti, se non tutti i figli “di successo” degli anni sessanta, quelli nati negli anni quaranta o cinquanta, hanno un problema. Non riescono ad invecchiare. Da figli, non riescono a farsi padri; da protagonisti, non riescono a cedere il passo e diventare maestri. Sono degli eterni Peter Pan: per la generazione del ’68, che ha “assaltato il cielo”, l’idea di un passo indietro rasenta l’impensabile.

Pierluigi Bersani ha condotto una campagna elettorale nella quale si è giocato l’occasione della vita. Dopo la fallimentare esperienza del governo Berlusconi, e dopo l’algida amministrazione fallimentare del governo Monti, aveva tutte le carte in regola per vincere. Si è battuto con onore ma non ce l’ha fatta. Ora però, a cinquanta giorni dal voto, è ancora lì al suo posto. Ieri, nella manifestazione democratica contro la povertà, ha usato addirittura toni da campagna elettorale, come se fosse lui il naturale candidato premier nel caso si votasse a giugno – regolamento Pd alla mano, in effetti, toccherebbe al segretario correre come primo ministro in caso di elezioni.

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In un Paese normale, il figlio del boom Bersani, si sarebbe fatto padre. Avrebbe detto: Matteo, non ce l’ho fatta, ora tocca a te. Si sarebbe impuntato con il partito e con “il popolo di sinistra” per spiegare che Renzi rappresenta l’unica carta vincente alle prossime elezioni. A chi gli avrebbe fatto notare che il sindaco di Firenze non è “abbastanza di sinistra”, Bersani-padre avrebbe detto che la politica e mediazione, che non si può chiedere ai grillini di mettere da parte il loro integralismo a favore di un bene comune e poi, nel grande corpaccione democratico, giocare a chi fa il più puro, il più compagno. Invece non ha fatto niente di tutto ciò. Sembra anzi che sia impegnato a prendere tempo, che sia pronto magari ad incassare i voti dal Pdl solo per bloccare la prossima generazione, per provare a tenere in piedi la sua visione di partito reduce dall’ennesima sconfitta.

Renzi può piacere o meno. Ma agli occhi di molti italiani, giovani e no, rappresenta il brillante ricercatore universitario che finalmente mette alla berlina il barone; il giovane avvocato che si ribella alle commissioni da fame che gli passa il titolare dello studio; il giornalista nerd che in una testata non ci sta più a giocare al tavolo dei bambini; il muratore che davanti a tutti dice rivolto al capocantiere: “questo palazzo sta crollando”. Il sindaco rappresenta insomma le energie vitali di questo Paese da troppo tempo represse e schiacciate dai padri che si sentono ancora figli.

Se Bersani avesse a cuore la vittoria del Pd, la soluzione sarebbe a portata di mano. Porterebbe il Paese a votare a giugno, con Matteo a correre per i democratici. Berlusconi sembrerebbe un dinosauro, Grillo un vecchio politico qualsiasi – bugiardo e pasticcione per giunta. Non ci sarebbe partita: lo dicono tutti i sondaggi. Invece no. Pierluigi resta in campo. «Una ipotesi del genere non l’accetto manco da mio padre» sembra dire. Meglio sentirsi ancora una volta “forever young”. Anche se questa storia un senso non ce l’ha.

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35 anni, leccese, giornalista. Sono stato blogger, poi Annozero, Il Fatto Quotidiano e Pubblico. Ho scritto «Il lato oscuro delle stelle» : http://goo.gl/nCnaI
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