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Egitto viola diritti umani ma noi non smettiamo di vendere armi al Cairo e cooperare con i loro 007

Non solo la vendita di armi ma anche la cooperazione tra la polizia italiana e la polizia egiziana è cresciuta nell’ultimo decennio. E tutto è avvenuto e avviene in una cornice di scarsa trasparenza. L’Italia dimentica i casi Zaki e Regeni, e coltiva strettissime relazioni con il regime di al-Sisi, che continua a far incarcerare e a far sparire i suoi oppositori.
A cura di Annalisa Cangemi
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Negli ultimi anni, in particolare dal 2019, i rapporti tra Italia ed Egitto si sono intensificati, nelle relazioni di tipo commerciale e diplomatico, in ambiti sensibili come l'esportazioni di armi e la cooperazione sulla sicurezza. E questo avviene nonostante la lunga detenzione dello studente dell'università di Bologna Patrick Zaki (scarcerato ma non assolto dopo quasi due anni) e nonostante Il Cairo neghi la sua collaborazione a Roma, rifiutandosi di fornire gli indirizzi dei quattro 007 imputati per il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni. Ma questo è solo la punta di un iceberg. Stiamo parlando di un Paese in cui gli spazi dell'associazionismo della società civile vengono sistematicamente ristretti, e in cui il regime di al-Sisi continua a far incarcerare e a far sparire i suoi oppositori.

"Da tempo c'è una doppia morale da parte degli Stati, rispetto alla non negoziabilità dei diritti umani. Tra Italia ed Egitto ci sono relazioni basate su contenuti economici di una certa rilevanza, come scambi energetici, scambi tra intelligence, export di armamenti, collaborazione tra le forze di sicurezza dei due Paesi", ha denunciato Francesco Uda (ARCI), durante un incontro che si è tenuto ieri all'edizione 2022 del Festival Sabir a Matera, evento promosso da ARCI insieme a Caritas Italiana, ACLI e CGIL, con la collaborazione di ASGI e Carta di Roma. "C'è stato un momento – ha detto ancora Uda – in cui dal basso è arrivata una reazione al caso Regeni, e ed è stato ritirato l'ambasciatore italiano dal Cairo. Poi le logiche del commercio e del rapporto ufficiale tra Stati hanno preso il sopravvento".

Forte cooperazione militare Italia-Egitto

"Nelle esportazioni riguardanti il biennio 2019-2021 l'Egitto è stato il primo destinatario di armi, per volume complessivo di soldi, da parte dell’Italia", ha denunciato il coordinatore campagne di Rete italiana Pace e Disarmo, Francesco Vignarca. "Negli ultimi dati appena diffusi dal ministero degli Esteri invece l’Egitto torna a essere 18esimo, più o meno come era sempre stato. Dal 2018 in poi si è alzato il volume di esportazioni di armi italiane nei confronti dell'Egitto, inizialmente per la vendita di alcuni elicotteri, materiale di armamento che può essere utilizzato per un uso interno, come il controllo del territorio".

Il picco poi si raggiunge nel 2020, quando arriva la decisione di vendere all’Egitto le due fregate Fremm ‘Spartaco Schergat' ed ‘Emilio Bianchi'. "Vuol dire che l’Italia a un certo punto decide, nonostante il caso Regeni e nonostante il caso Patrick Zaki, che con l’Egitto deve avere una linea di collaborazione di natura militare speciale. L’export di armamenti viene utilizzato come pedina fondamentale di scambio, nel nome di un interesse nazionale. Non dobbiamo però limitarci a guardare i numeri, che ci dicono tanto in termini di volume d’affari, in termini di cambio di approccio".

"Quello che nella situazione egiziana è stato davvero fondamentale è anche la qualità della cooperazione che è stata fatta dal punto di vista militare. Cioè con si è solo deciso di vendere, ma anche di favorire questa vendita. Perché? Perché sul piatto c'era anche la possibilità di incamerare altri contratti militari. Il regime di al-Sisi è tutt’uno con la casta militare, che è una struttura che controlla direttamente anche gli approvvigionamenti e le esportazioni, che trae pezzi del proprio potere e della propria ricchezza dagli accordi di natura militare. Si è voluto favorire questa vendita anche andando oltre le regole e le leggi italiane e delle relazioni internazionali, perché si prospettavano acquisti per 10 miliardi di euro: ulteriori navi e aerei", ha detto ancora Vignarca.

"Queste due fregate Fincantieri non erano state prodotte per l’Egitto, erano due navi prodotte per la Marina militare italiana, che le aveva chieste esplicitamente, perché ne aveva bisogno per il rinnovamento dei propri mezzi. Ma di fronte alla richiesta fatta dall'Egitto sono state subito riconvertite. In questo modo è stato possibile vendere all'Egitto delle navi già pronte e non è stato necessario attendere i tempi standard di produzione".

I costi di produzione però secondo Vignarca sono stati superiori al prezzo chiesto all'Egitto, ma servivano per incentivare il governo egiziano a stipulare in un secondo momento altri contratti. In pratica, visto che le navi erano in origine destinate all'Italia si sono anche dovuti spendere dei soldi e del tempo per togliere dei sistemi d'armamento e trasmissione basati su standard Nato, che non possono essere mandati all'Egitto.

"Si è anche favorito l'Egitto dal punto di vista finanziario per poter concludere l'affare: c'è stata una copertura da parte della Sace e un decreto emesso dal Tesoro, che ha aumentato la soglia possibile di garanzia per l'Egitto. Si è fatto veramente di tutto pur di vendere queste fregate militari al Cairo, che non ha ancora tirato fuori i soldi, ha pagato solo il 15% di queste navi". Il paradosso è che se per caso l'Egitto decidesse di non pagare le banche che gli hanno concesso il prestito l'Italia pagherebbe di tasca sua le navi che ha già venduto all'Egitto. Tutto questo ci fa capire come la collaborazione militare che l'Italia ha e ha avuto con l'Egitto ruoti tutta attorno al tentativo di costruirsi un rapporto strategico privilegiato con quel Paese.

La cooperazione bilaterale di polizia tra Italia e Egitto

Ma non c'è solo la collaborazione militare e commerciale: negli ultimi decenni sono cresciute anche le attività di cooperazione di polizia e in materia di sicurezza fra i due Paesi. Alice Franchini, vice direttrice di EgyptWide, un'associazione che si occupa di diritti umani, formata nel 2021 da di attivisti e ricercatori egiziani che hanno dovuto lasciare l'Egitto, ma anche da attivisti italiani. L'associazione pubblicherà nei prossimi giorni un rapporto, che è servito per monitorare i contenuti dell'attività di cooperazione di polizia tra Italia ed Egitto dal 2010 a oggi.

"La prima cosa che è emersa in questo studio è stato un deficit di trasparenza da parte delle istituzioni. Il ministero degli Interni è tenuto a cadenza annuale a presentare in Parlamento una relazione che riguarda l'attività di polizia, e anche quella di cooperazione di polizia, così da permettere al Parlamento di svolgere un controllo democratico sull'operato delle forze ordine. Abbiamo analizzato le relazioni dal 2010 a oggi, e le informazioni che riguardano le attività di cooperazione sono spesso molyo vaghe, discontinue o addirittura contraddittorie", ha denunciato Alice Franchini.

Per esempio nella relazione del 2010, quando si parla di cooperazione, l'Egitto non risulta essere uno dei Paesi con cui l'Italia si è interfacciata. "Sappiamo tuttavia dal comunicato della Polizia di Stato del 6 maggio del 2010 che nel corso dell'anno erano state svolte numerose attività di cooperazione tra la la Polizia italiana ed egiziana, in particolare sul contrasto al terrorismo e sul controllo delle frontiere", ha raccontato Franchini. Si prevedeva anche la cessione a titolo gratuito di diversi veicoli, sia militari, sia di terra che motovedette, per il "pattugliamento dei territori e delle acque territoriali egiziane. Di questi materiali però non si trova traccia nel documento in cui dovrebbero essere segnalati".

E ancora, nella relazione del 2013 c'è un riferimento al fatto che il servizio di polizia scientifica italiano avrebbe svolto attività di manutenzione dei sistemi AFIS, tecnologie per la raccolta e l'analisi delle impronte digitali, che la polizia italiana avrebbe istallato in Egitto nel 2010, per aiutare la polizia egiziana nell'identificazione delle persone migranti prima del loro arrivo alle frontiere europee. "Questa informazione però non è contenuta in nessun documento antecedente al 2013″, ha raccontato Alice Franchini. In pratica, per errore, il ministero ha comunicato che negli anni precedenti aveva istallato questi sistemi, senza però averlo mai segnalato prima.

Cosa è il programma Itepa

Più recente è invece il programma "Itepa", che il governo italiano ha lanciato per la formazione della polizia di frontiera di 22 Paesi africani, tra cui l'Egitto, per contrastare l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani. La prima edizione pilota del progetto è stata lanciata nel 2018, per concludersi nel 2019. Sul sito del Viminale veniva specificato che si prevedeva "l'istituzione, presso l’Accademia di polizia egiziana, di un Centro internazionale di formazione sui temi migratori, per la formazione di 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera" che a loro volta avrebbero poi formato il personale nei rispettivi Paesi.

E sempre nello stesso anno è stato poi firmato un memorandum d'intesa per il rinnovo di questo programma di formazione, per il biennio 2020-2022. "Ma non ci sono conferme ufficiali, dichiarazioni o dati del ministero dell'Interno sul fatto che questa nuova edizione sia mai partita e si sia svolta – ha sottolineato la vice direttrice di EgyptWide Per quanto riguarda i contenuti del programma si sa pochissimo. L'Italia ha ricevuto anche un'interrogazione da parte del Parlamento Ue nel 2020, rispetto ai contenuti del programma, per verificare che fossero conformi agli standard internazionali in materia di diritti umani. Sono passati due anni, ma non è mai stata data risposta". 

Il sostegno dello Stato italiano all'intelligence egiziana

In base a quanto si può desumere da fonti pubbliche nell'ultimo decennio comunque si è registrato un incremento significativo nelle relazioni. Ci sono dati che mostrano l'impegno da parte dello Stato italiano a rafforzare le capacità operative e l'equipaggiamento in dotazione alle forze di polizia egiziane e al National Security Service. In particolare c'è stata un'erogazione di mezzi che comprende 20 elicotteri dismessi dalla polizia italiana e rimessi in funzione da Leonardo, le tecnologie AFIS per le impronte digitali che servono all'identificazione delle persone migranti prima delle frontiere europee, motovedette e veicoli di terra.

"Per quanto riguarda l'offerta formativa noi abbiamo contato almeno 62 corsi di formazione curati dalla Direzione centrale per gli Affari generali della Polizia di Stato dall'Arma dei Carabinieri rivolti alla polizia e al National Security Service egiziano, su varie tematiche che riguardano la sicurezza. In alcuni casi i costi di questi corsi sono stati sostenuti dallo Stato italiano", ha spiegato l'attivista. A tutto questo si aggiunge il distaccamento regolare di esperti di polizia italiana in materia di antiterrorismo presso l'Ambasciata italiana al Cairo, il che ha determinato un dialogo costante tra la polizia italiana e quella egiziana su questi temi.

"Alla luce di tutto ciò pensiamo si possa parlare di una complicità dell'Italia nel deterioramento dello stato di diritto e delle libertà civili e dei diritti umani in Egitto – ha denunciato la vice direttrice di EgyptWideQuello che ci preoccupa maggiormente è ciò che non sappiamo, vista la mancanza di trasparenza di questi dati".

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