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Consiglio europeo, qual era la proposta di accordo iniziale e perché non si arriva a un’intesa

Il Consiglio europeo non ha ancora trovato un accordo sul Recovery Fund e sul bilancio pluriennale dell’Ue: la trattativa prosegue da giorni ma l’intesa ancora non c’è su alcuni punti essenziali. Andiamo a vedere qual era la proposta iniziale presentata da Commissione e Consiglio e quali sono i motivi per cui ancora non è stato trovato un compromesso soddisfacente per tutti.
A cura di Stefano Rizzuti
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La trattativa in corso a Bruxelles sul Recovery Fund e sul bilancio pluriennale dell’Ue (Qfp) non si sblocca. L’accordo tra gli Stati membri sul piano di ripartenza dell’economia dopo l’emergenza Coronavirus non si trova, con alcuni punti rimasti ancora irrisolti. La proposta di compromesso presentata inizialmente dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, subirà inevitabilmente delle modifiche. E a cambiare dovrebbe essere soprattutto il Next Generation Eu, il piano di aiuti inizialmente previsto da 750 miliardi e che potrebbe variare sia per quanto riguarda la cifra totale che per la sua suddivisione tra sussidi e prestiti. Lo scontro è, per semplificare, tra Italia e Paesi Bassi. Ma forse sarebbe più corretto dire tra Stati Mediterranei e Paesi Frugali, capitanati proprio dall’Olanda del premier Mark Rutte.

Il Consiglio europeo che si protrae da ormai tre giorni deve discutere soprattutto dell’adattamento del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027 e del Next Generation Eu, ovvero i nuovi finanziamenti da raccogliere sui mercati finanziari. Costituito da 750 miliardi, di cui 500 come sovvenzioni e 250 come prestiti da restituire tra il 2028 e il 2058. Mentre si discute anche di un Qfp rinforzato con una dotazione in impegni di spesa di 1.100 miliardi e la creazione di nuovi strumenti. Altro punto della discussione sono le proposte di emendamento al Qfp corrente per 11,5 miliardi di finanziamenti aggiuntivi.

La proposta di Michel sul Next Generation Eu

Il pacchetto Next Generation Eu nasce come progetto per contrarre prestiti da parte della Commissione Ue sui mercati internazionali. I fondi, secondo quanto prevede la proposta della Commissione poi rielaborata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, dovranno essere impegnati entro il 31 dicembre 2023 e i pagamenti effettuati entro il 31 dicembre 2026. Del pacchetto, la parte maggiore proviene dal programma di finanziamento per la ripresa e la resilienza, con un importo di 560 miliardi di euro. Nella proposta di Michel, inoltre, si riduce il Qfp a 1.074,3 miliardi, quindi con un decremento di quasi 26 miliardi. Nella proposta si prevede anche, per il periodo 2021-2027, la prosecuzione del sistema delle correzioni nazionali al bilancio dell’Unione, il cosiddetto rebate. L’idea è quella di ridurre una tantum i contributi annuali basati sul Pil di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia. Sul Qfp così come sul Next Generation Eu si pensa, inoltre, di applicare un obiettivo del 30% che sia legato a progetti riguardanti il clima.

Le posizioni dei Paesi Ue nella trattativa

Le posizioni dei Paesi si possono suddividere per gruppi. Il primo è quello dell’Europa Meridionale (a partire dall’Italia) che ritengono i 750 miliardi come la base minima per la ripresa. Di contro ci sono i Paesi Frugali (Danimarca, Austria, Paesi Bassi e Svezia: sono contrari alla mutualizzazione del debito e chiedono che il piano preveda più prestiti e meno contributi a fondo perduto. Con loro si schiera anche la Finlandia. C’è poi il Gruppo della Coesione, composto dai Paesi dell’Est (Polonia, Ungheriia, Bulgaria e Slovacchia), che chiede soprattutto che il Qfp abbia una portata più ambiziosa sul lungo periodo. Infine c’è il Parlamento europeo, che ritiene inaccettabile una riduzione delle sovvenzioni e, anzi, chiede un programma di finanziamenti più ambizioso.

Quali sono le critiche alla proposta di Commissione e Consiglio

Chi si oppone più strenuamente è il premier olandese Rutte: i Paesi Bassi sono contrari sia sulla quantità delle risorse che sulle modalità del finanziamento. I Frugali chiedevano un fondo temporaneo per la ripresa economica costituito quasi esclusivamente da prestiti. Criticano, inoltre, i criteri di distribuzione delle risorse tra Stati. La Danimarca chiede di ridurre le sovvenzioni (a favore dei prestiti) ma anche il totale del Qfp. La Svezia esprime dubbi sulle sovvenzioni, così come l’Austria, che punta anche su investimenti per la digitalizzazione e l’economia green. I Paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) esprimono dubbi sulla ripartizione delle risorse.

Quali sono i punti critici della trattativa

I nodi irrisolti e su cui lo scontro va avanti ormai da giorni riguardano almeno quattro punti. Il primo è quello delle risorse totali del Recovery Fund. Mentre il secondo ne è diretta conseguenza, ovvero l’equilibrio tra sussidi e prestiti. Su questo ci sono due schieramenti in contrasto tra loro: i Frugali contro i Mediterranei (che godono anche dell’appoggio della Germania). I Frugali vorrebbero sia far scendere la cifra totale sia equilibrare tra prestiti e sussidi (magari con 350 miliardi per uno), mentre gli altri vogliono mantenere la cifra di 750 con almeno 400 di sovvenzioni.

Terzo punto critico è la governance, cioè l’approvazione dei Piani per la ripresa dei singoli Stati e l’erogazione dei finanziamenti. L’Olanda vorrebbe controllare le spese degli altri Stati, in primis proprio dell’Italia. Con un coinvolgimento, dunque, del Consiglio europeo che renderebbe i tempi di ogni operazione più lunghi. Mentre l’idea iniziale è quella di affidare l’approvazione dei piani alla Commissione. La quarta e ultima questione, a cui si oppongono soprattutto Polonia e ancor di più Ungheria, è che i fondi vengano concessi solamente in caso di rispetto dello stato di diritto.

Consiglio Ue, perché non è ancora stato trovato l’accordo

L’obiettivo è quello di trovare un compromesso tra tutti gli Stati membri. Ma qui si incontra il primo – e forse più grande – ostacolo: per l’approvazione serve l’unanimità. Il che vuol dire che chiunque dei 27 Paesi ha il potere di veto e può così aumentare il suo potere negoziale anche se si trova in posizioni isolate. Seconda questione è quella dell’elemento elettorale: ogni capo di governo pensa ai suoi interessi nazionali e a quale sia il miglior risultato da portare a casa. Tema correlato con quello relativo, sempre in materia di politica interna, al tentativo di tenere a bada i partiti nazionalisti e anti-europei, ognuno a modo suo. Infine c’è un altro punto cruciale: la mancanza di fiducia da parte di leader come Rutte nei confronti di tanti Paesi, a partire proprio dall’Italia, che hanno dimostrato di non essere in grado di spendere i fondi europei ricevuti negli anni. E la scarsa fiducia deriva anche da alcune misure adottate da questi Stati, come nel caso della quota 100 per l’Italia.

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