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Opinioni

Perché votare Sì al referendum costituzionale (secondo il Partito Democratico)

Perché votare Sì alla consultazione del 4 dicembre sulla riforma della Costituzione? Ecco le ragioni del Partito Democratico, dal superamento del bicameralismo paritario fino alla riduzione dei costi della politica.
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Il 4 dicembre 2016 gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulla riforma della Costituzione che porta la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro per le Riforme e i Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi.

Il referendum costituzionale non prevede quorum e vedrà i cittadini votare sul seguente quesito:

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?

Lo schieramento che sostiene la riforma è costituito, a livello parlamentare, dalle forze della maggioranza di governo, con qualche distinguo interno ai partiti. Oltre alle note spaccature nel Partito Democratico, si segnalano crepe anche nel gruppo centrista e da ultimo il senatore Mario Monti ha fatto sapere di essere intenzionato a votare No al referendum.

Dopo avervi mostrato le ragioni del No del Movimento 5 Stelle, proviamo a isolare le motivazioni principali per le quali il Partito Democratico invita a votare Sì il 4 dicembre.

Perché votare Sì al referendum costituzionale

Le motivazioni dei promotori della riforma ruotano essenzialmente intorno ad alcuni concetti, che costituiscono la ratio dell’intervento normativo e il filo conduttore della campagna elettorale per il Sì. Proviamo a isolarli, in breve.

Superare il bicameralismo paritario

La riforma interviene su quella che è considerata un’anomalia italiana in campo europeo: siamo l’unico Paese in cui “il Parlamento è composto da due camere eguali, con gli stessi poteri e praticamente la stessa composizione”. Con la modifica del Senato e la nuova architettura costituzionale si prevedono due corsie legislative: una bicamerale, che riguarda una materia estremamente limitata di leggi (tra cui quelle in materia di revisione costituzionale, elettorale, comunitaria); una monocamerale per la quasi totalità delle leggi: in tal caso il Senato può ancora esercitare una funzione di controllo, chiedendo alla Camera modifiche sui testi approvati (in tempi brevi, dai 10 ai 40 giorni).

Velocizzare il procedimento legislativo senza rinunciare ai meccanismi di controllo

Uno dei limiti maggiori del sistema del bicameralismo perfetto consta, nella lettura del PD, nella difficoltà del Parlamento di legiferare rapidamente. Un problema cui il Governo ultimamente ovvia con l'utilizzo del meccanismo della decretazione d'urgenza. La riforma interviene su questo aspetto, dando uno strumento importante all'esecutivo (la discussione in "tempi certi" di una determinata legge), ma garantendo anche la preservazione dei meccanismi di controllo e dei contrappesi democratici (tra cui il ruolo del Presidente della Repubblica). Una sintesi la fornisce Luciano Violante:

La riforma prevede che i decreti legge debbano contenere misure immediatamente applicabili, e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Cesserà quindi l'abuso dei decreti legge che oggi possono riguardare qualunque materia e possono dettare regole anche per materie tra loro eterogenee.

Oggi il Capo dello Stato non riesce, di fatto, a rinviare alle Camere una legge di conversione di un decreto legge perché altrimenti farebbe scadere il termine dei 60 giorni entro il quale il decreto dev'essere convertito. La riforma prevede che quando il Capo dello Stato chiede alle Camere il riesame della legge di conversione del decreto legge, il termine per l'efficacia del decreto slitta da 60 a 90 giorni. Quindi c'è maggiore possibilità di controllo sulla maggioranza parlamentare e sul governo.

Il governo perde così uno strumento per poter ottenere leggi in poco tempo. In compenso, con la riforma, può chiedere alla Camera di deliberare sui progetti di legge di particolare importanza per il governo entro un termine scelto dalla stessa Camera tra 70 e 85 giorni.

Cambiare il Senato, eliminare il CNEL, abolire le province, ridurre i costi della politica

Il nuovo Senato consterà di 95 membri + 5 nominati dal Capo dello Stato e nessuno di questi riceverà indennità di carica. Tale scelta comporta anche una riduzione dei costi del funzionamento dell’istituzione, che si va a inserire nel quadro di una sostanziale riduzione dei costi della politica. Infatti, “il CNEL verrà abolito, e con esso i suoi 65 membri; i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico; le province saranno eliminate dalla Costituzione”. Per il fronte del Sì la riduzione dei costi con la riforma a pieno regime potrebbe consentire allo Stato un risparmio di 1 miliardo di euro l’anno.

Più facile far passare un referendum, più partecipazione dei cittadini

Vengono istituite due nuove tipologie di referendum: quello di indirizzo e quello propositivo, che permetteranno un ricorso più continuo al coinvolgimento dei cittadini. Cambia il meccanismo del quorum per i referendum abrogativi: nel caso in cui siano raccolte 800mila firme il quorum scenderà al 50% + 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche.

Ci sarà maggiore possibilità di ottenere dei risultati con le proposte di legge di iniziativa popolare. È vero infatti che per proporre una legge di iniziativa popolare sarà necessario raccogliere 150mila firme (invece delle 50mila attuali), ma ogni proposta dovrà essere obbligatoriamente esaminata e votata dal Parlamento.

Macchina dello Stato più semplice, fine dei conflitti di competenza con le Regioni

Con la revisione del Titolo V si eliminano i conflitti di competenza fra lo Stato e le Regioni, si stabiliscono con chiarezza le materie di intervento e si stabilisce il principio dell'interesse nazionale. Per il Fronte del Sì si tratta di un passaggio essenziale, perché "si eviterà finalmente la confusione e la conflittualità tra Stato e Regioni che ha ingolfato negli scorsi 15 anni il lavoro della Corte Costituzionale". E, infine, "materie come le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o la formazione professionale saranno di esclusiva competenza dello Stato".

Lo Stato centrale è più forte, il Governo più stabile

Questi due concetti sono strettamente legati alle considerazioni fatte precedentemente.

Prima di tutto lo Stato riacquista competenze di grande rilevanza, prima affidate alle Regioni; poi può sempre intervenire al posto di un ente regionale “quando bisogna tutelare l'interesse nazionale oppure l'unità giuridica o economica della Repubblica”. L’eliminazione dei conflitti di competenza rende la macchina istituzionale più efficiente, aiutando a superare il pantano burocratico dei ricorsi alla Corte Costituzionale.

Il Governo è più stabile poiché legato da un rapporto fiduciario con una sola camera, che gli garantisce tempi certi nell’analisi e nell’approvazione dei provvedimenti; senza rinunciare al controllo e ai contrappesi istituzionali.

La riforma mette il Paese al passo con i tempi, dopo 30 anni di tentativi

Le ragioni del Sì sono sintetizzabili in quello che è il claim dell'intera campagna elettorale (e che, secondo la Boschi, per esempio, traspare dalla stessa lettura del quesito elettorale): superamento del bicameralismo perfetto, rapporto di fiducia monocamerale, Senato di rappresentanza territoriale e di controllo istituzionale, revisione del titolo V, eliminazione dei costi della politica e degli sprechi (con il taglio degli enti inutili), ampliamento della partecipazione dei cittadini alla vita politica, rappresentanza di genere in Costituzione, snellimento della macchina burocratica, eliminazione dei contenziosi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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