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Il recesso derivante dalla caparra (1385 cc) non può essere esercitato in appello

La Cassazione del 24.4.2014 n. 9278 ha affermato che qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione per inadempimento ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova inammissibile in appello, quella volta ad ottenere il recesso con ritenzione della caparra ex 1385 c.c., avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento.
A cura di Paolo Giuliano
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L'art. 1385 c.c. regola l'istituto della caparra affermando che "Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali".

In poche parole, in sede di stipula del contratto può accadere che ad un acconto (di solito denaro) sia attribuita anche un'altra funzione quella di caparra. Prevedendo la caparra, le parti regolando il diritto di recesso (in caso di inadempimento) prevedendo che la parte adempiente ha a sua disposizione due strade chiedere la risoluzione del contratto (la normale procedura di risoluzione) oppure recedere la contratto sfruttando il meccanismo previsto dalla caparra (chi ha dato la caparra perde la stessa, mentre la parte che ha ricevuto la caparra dovrà restituire il doppio della stessa).

Per comprendere a pieno il funzionamento della caparra occorre distinguere la parte adempiente (dalla parte inadempiente) e la parte che ha dato la caparra (dalla parte che ha ricevuto la caparra) e, poi, ricostruire le varie ipotesi. Se la parte adempiente è quella che ha dato la caparra, (e la parte inadempiente è quella che ha ricevuto la caparra) la parte inadempiente dovrà dare alla parte inadempiente il doppio della caparra. Se, invece, la parte adempiente è quella che ha ricevuto la caparra (e la parte inadempiente e quella che ha dato la caparra) la parte inadempiente perde il diritto a ottenere la restituzione della caparra e la parte adempiente ha diritto ad incamerare definitivamente la caparra come quantificazione del danno.

La parte adempiente conserva sempre il diritto di scegliere se attivare il meccanismo della caparra o chiedere la risoluzione del contratto con le modalità ordinarie, si è in presenza di una scelta soggettiva,  che potrebbe solo essere influenzata dal fatto che con la risoluzione del contratto ordianria il risarcimentod el danno potrebbe essere anche superiore a quello predetermianto con la caparra, mentre se si recede in base al 1385 c.c. la quantificazione del danno è limitato all'importo della caprra (o al doppio) in base alla aprte inadempiente/adempiente.

Questo aspetto permette di svelare una caratteristica del meccanismo della caparra (e contemporaneamente una differenza con al risoluzione del contratto ordinaria):  la differenza è data dalla predeterminazione e quantificazione del danno, infatti, nella caparra l'importo del danno risarcibile (per l'inadempimento dell'altra parte) è  limitato all'importo della caparra o al doppio se si restituisce la stessa (dipende da quale parte è adempiente e da quale parte è inadempiente), per descrivere questo particolarità della caparra si dice che la caparra quantifica "convenzionalmente e forfettariamente" la quantificazione del danno. Mentre se si sceglie la modalità ordinaria di risoluzione del contratto, il danno è svincolato dall'importo della caparra e potrebbe essere più alto o più basso della caparra stessa.

Se la scelta tra usare il meccanismo della caparra o il meccanismo ordinario di risoluzione del contratto è una scelta soggettiva e discrezionale della parte adempiente, occorre anche comprendere fino a quale momento la parte adempiente può esercitare tale scelta oppure fino a quale momento tale scelta può essere modificata (cioè fino a quale momento è possibile cambiare idea).

Per rispondere a questa domanda occorre distinguere tra una scelta (e l'eventuale modifica della stessa) effettuata prima dell'inizio di un processo (cioè in sede stragiudiziale e una scelta (e la modifica della stessa) effettuata dopo l'inizio di un procedimento giudiziale (cioè dopo la notifica dell'atto di citazione), in quanto, in quest'ultimo caso, occorre anche considerare la preclusioni processuali.

Se in sede pre-processuale, è ammissibile il  cambio di scelta tra risoluzione ordinaria e caparra, la questione diventa più controversa quando la scelta viene cristallizzata in un atto di citazione (per le preclusioni processuali presenti nel processo). Se, in sede processuale, è difficile ammettere il cambio di rotta dalla caparra alla risoluzione ordinaria,  la situazione è più "incerta" per il passaggio dalla risoluzione ordinaria alla caparra (quanto meno perché la risoluzione in base alla  caparra è considerata una domanda minore – o già compresa – rispetto la domanda di  risoluzione ordinaria).

Sul punto è intervenuta la Cass. Sez. Un. 14 gennaio 2009, n. 553 la quale ha escluso la possibilità di cambio della scelta effettuata in sede giudiziale.

Cass. civ. sez. II, 24 aprile 2014 n. 9278 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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