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L’asterisco di genere va bene a tutt*?

Sull’uso dell’asterisco per neutralizzare o trascendere il genere grammaticale non tutti la pensano alla stessa maniera. Da un lato si sente la necessità di non ridurre sempre generi diversi al maschile, ma dall’altro l’asterisco ha il difetto di essere elemento non fonetico. Come ne caviamo le gambe?
A cura di Giorgio Moretti
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Nelle puntate precedenti: in italiano, se si parla di gruppi misti maschili e femminili, si ricorre al genere maschile. Ieri sera eravamo in dieci, due ragazzi e otto ragazze, e siamo andati a mangiare una pizza. Solo se fossimo state dieci ragazze allora saremmo andate a mangiare una pizza. Uso corrente, innocente, ma discusso seriamente. Perché il genere maschile deve prevalere? Gli argomenti di spiegazione si sintetizzano facilmente: "perché in italiano si fa così", talvolta circostanziato da "ma non voglio mica discriminare nessuno".

Ora, una porzione rilevante della popolazione italiana percepisce questo uso sistematico del genere maschile per tutti i generi come un problema, e hai voglia a dire che è solo una cavolata, per questa porzione rilevante di popolazione non lo è: io sono pelato ma capisco che qualcuno possa avere il problema di non uscire con i capelli bagnati d'inverno, e insomma, nella vita consociata un minimo di capacità di proiezione è importante, non si può liquidare tutto come buonismo politicamente corretto. Il sentimento d'esclusione è vero, concreto, c'è. Arrivando al nocciolo, la soluzione al problema più percorsa e discussa è l'uso dell'asterisco al posto della vocale finale che determinerebbe il genere: "Vi aspettiamo tutt* all'inaugurazione", "Siamo tutt* con te" e via dicendo.

I fautori del "in italiano si fa così" hanno una critica forte al loro arco, contro questo uso dell'asterico, e in effetti è un problema grosso: come lo leggi? Non ha un significato fonetico, e nella lettura ad alta voce o no è sempre un intoppo (non solo se sei un non vedente o un ipovedente che usa un lettore automatico online). Avrebbe il pregio astratto, di sapore informatico, di includere ogni genere. Non solo maschile e femminile, ma anche tutti quelli che si collocano in uno spettro non binario, sottintendendo che quell'asterisco possa avere valori che trascendono le due variabili. E qui si entra nel difficile.

Se si trattasse di trovare una formula paritaria fra genere maschile e femminile, sarebbe sufficiente un "Vi aspettiamo tutte/i all'inaugurazione" "Siamo tutti/e con te". Non elegantissimo. Specie online, dove non fanno pagare l'inchiostro, un "Vi aspettiamo tutte e tutti" o un "Siamo tutti e tutte con te" non stonerebbe. E permette d'intendere meglio il perché di questo asterisco: è la premura di includere il genere. Dire "Vi aspettiamo tutte e tutti" invece di un semplice "Vi aspettiamo tutti" sottende un'attenzione alla cura per il genere, implica che la manifestazione a cui s'invita è campita da una cultura di genere paritaria. Si vuole aver cura di dire questo, e non è poco. Usare l'asterisco permette, in maniera più sintetica e ampia, di includere anche quegli spettri di genere che non si riconducono né al maschile né al femminile, e ci sono, anche questi sono un dato della realtà come la mia pelata.

Sì. Magari adesso dire che in città abbiamo un problema di turist* incivili può sembrare esagerato. E farebbe alzare il sopracciglio a molti. Perché ad oggi l'asterisco è forte e vitale in contesti che vogliono esplicitare, tramite il suo segno, una cura per l'uguale accoglienza di ogni genere. Non è una questione di regole grammaticali, è una questione di contenuto. Anche perché del genere di chi viene in città per turismo e si comporta in maniera incivile, tendenzialmente, importa poco. (Esempiuccio, in questa frase ho evitato di esplicitare il genere, non serve molta fantasia per farlo, anche se non si può fare sempre, spesso è scomodo quindi l'opzione per l'asterisco resta forte.)

Ci sono ragioni stringenti da ambo le parti: quando si parla di nuove norme linguistiche non serve fretta, serve invece la serenità di chi è consapevole di trovarsi sempre davanti al solito canovaccio dell'affermazione o della reiezione di una consuetudine. C'è una novità, chi la propone ne è entusiasta, c'è resistenza e insofferenza da parte di tanti altri, e chi è più paziente nel sostenere l'uso o nell'osteggiarlo la vince. Oggi l'asterisco è un segno arbitrario usato per trascendere il genere là dove è importante trascenderlo per questioni d'inclusione. Magari arriverà a un'affermazione pacifica, magari prenderanno piede altre soluzioni. Va bene comunque. Non c'è da essere infastiditi. Ma è una questione reale e importante: passarci sopra dicendo "in italiano si fa così" (oltre a non intendere che l'italiano siamo noi) significa non comprendere un problema, un disagio vero.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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