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Opinioni

Cosa sta facendo la Germania per i profughi (e cosa abbiamo fatto noi, in questi anni)

Da dove arrivano i migranti che cercano rifugio in Europa, quali rotte seguono e dove sono diretti. E, soprattutto, cosa sta facendo la Germania e perché l’idea dei benefattori tedeschi è molto ingenerosa (sì, anche nei nostri confronti).
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“Quando parliamo di migrazioni parliamo di esseri umani, come noi, solo che queste persone non possono vivere come noi perché non hanno avuto la fortuna di essere nati in una delle regioni più ricche e più stabili del mondo”. Con queste parole il Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker è intervenuto nel dibattito suscitato dalla nuova (?) ondata migratoria che sta investendo l’Europa. Si tratta di flussi in chiaro aumento, che solo in parte riguardano il nostro Paese, e che seguono rotte ben definite.

I dati più aggiornati sono quelli messi a disposizione da Frontex, ed evidenziano una tendenza chiara. Nel luglio del 2015 il numero di migranti “individuato” alle frontiere degli Stati dell’Unione Europea ha superato le 100mila unità, cifra record quanto a ingressi in un singolo mese sin dall’inizio delle rilevazioni di Frontex (2008); da gennaio a luglio il numero complessivo di ingressi si avvicina alle 340mila unità, mentre nello stesso periodo dello scorso anno erano stati registrati 123.500 ingressi.

Le rotte dei migranti: quanti arrivano in Germania e quanti in Italia

Frontex individua 7 rotte privilegiate per l’ingresso in Europa dei migranti, ma non vi è dubbio che la concentrazione maggiore sia sulla “Central Mediterranean Route”, sulla “Eastern Mediterranen Route” e sulla “Balkanian Route”.

La rotta del Mediterraneo Centrale è quella dei migranti che sbarcano sulle nostre coste (Sicilia, Calabria e in parte minima Puglia) o a Malta salpando dal Nord Africa. Da gennaio a luglio, seguendo tale rotta sono sbarcati poco più di 91mila migranti: circa 25mila provenienti dall’Eritrea, 10mila dalla Nigeria, 10mila da “nazioni non specificate dell’Africa sub sahariana”, 5mila circa dalla Siria.

Coloro che giungono in Ungheria e da lì provano a raggiungere Austria e Germania, seguono principalmente due rotte. La Western Balkan Route, che appunto dall’area balcanica porta al confine serbo – ungherese e la Eastern Mediterranean Route, che vede i migranti attraversare la Grecia, poi la Macedonia e risalire i Balcani fino al confine con l’Ungheria. Si tratta di un’area che complessivamente ha visto l’afflusso di oltre 200mila persone nel solo 2015 (e con numeri in costante crescita, proprio a seguito degli eventi delle ultime settimane). Per la stragrande maggioranza si tratta di profughi siriani (oltre 100mila) e afghani (50mila), ma c’è una forte componente kosovara (25mila circa) e pakistana (10mila).

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Cosa ha deciso la Germania

Nell’annunciare il piano da 6 miliardi di euro per l’accoglienza ai profughi, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che “il fenomeno migratorio di questi giorni cambierà il Paese”, ribadendo in sostanza che la Germania ha un’economia solida e ancora in espansione e può farsi carico dell’accoglienza di chi ha diritto alla protezione internazionale.

La “svolta” è arrivata qualche settimana fa, con la decisione di “sospendere” il trattato di Dublino, o meglio di “aprire le porte ai rifugiati siriani”. In sostanza, Berlino ha concesso a chi arriva sul suo territorio nazionale di chiedere la protezione internazionale “a prescindere” dal Paese europeo di primo approdo (il Regolamento di Dublino impone che la richiesta di protezione debba essere fatta nel Paese di ingresso). Parallelamente, ha avviato modifiche alla procedura per richiedere asilo in modo da velocizzarne l’esame ed eliminare una serie di “controlli aggiuntivi”.

Va ricordato che il governo tedesco stima di ricevere, per il solo 2015, qualcosa come 800mila richieste di asilo: numeri che potrebbero anche aumentare, considerato che solo negli ultimi 5 giorni sono giunti circa 30mila profughi dall'Ungheria. Schauble ha aggiunto che il sistema può sopportare fino a 500mila ingressi ogni anno.

L'arrivo dei richiedenti asilo in Germania è stato reso possibile dalla temporanea sospensione delle leggi sugli ingressi in Ungheria e Austria, senza che vi siano state modifiche effettive al Regolamento di Dublino III (in sostanza, le autorità di Budapest e Vienna stanno operando in deroga, consentendo ai profughi di raggiungere la Germania o addirittura mettendo a disposizione bus e treni speciali). La questione però è tutt'altro che risolta, come testimoniano le tensioni a Roszke.

Il punto è che i tedeschi non hanno "aperto le porte a tutti", ma solo "a chi ne ha effettivamente diritto". Ovvero, ai profughi che dimostreranno di avere i requisiti per ottenere lo status di rifugiato (non solo siriani, chiaramente). In questo senso vanno interpretate le parole della Merkel sulla inesistenza di un "limite di rifugiati" di cui la Germania potrebbe farsi carico, questione peraltro chiara in base al diritto internazionale. Insomma, il ragionamento della cancelliera è stato chiaro: ti viene accordata la possibilità di fare richiesta di asilo in Germania (e non nel Paese di primo arrivo), se hai diritto alla protezione, allora devi ottenere lo status di rifugiato, indipendentemente dal numero di rifugiati già presente.

La situazione resta però molto complessa e tutt’altro che risolvibile in tempi brevi, come spiega Marco Bascetta sul Manifesto:

Ci sono da sta­bi­lire i cri­teri di ammis­sione e di esclu­sione. In un primo momento sem­brava che le porte della Ger­ma­nia si doves­sero aprire ai soli siriani. Una discri­mi­na­zione rispetto ad altre aree di con­flitto armato non ammessa dalla Costi­tu­zione tede­sca. Tut­ta­via non è ancora chiaro chi avrà diritto allo sta­tus di rifu­giato. Di certo non chi pro­viene dai paesi bal­ca­nici (Alba­nia, Ser­bia, Kosovo, Bosnia) dichia­rati sicuri. Il cri­te­rio è sem­plice: una volta dichia­rato un paese «sicuro» il rim­pa­trio sarà imme­diato. Ma que­sta defi­ni­zione si pre­sta alle più arbi­tra­rie e inte­res­sate sem­pli­fi­ca­zioni. Tanto più che in molti paesi la «sicu­rezza» garan­tita alla mag­gio­ranza, spesso non lo è altret­tanto per le minoranze.

Cosa sta facendo l'Italia

La questione dei "migranti" provenienti dai Paesi balcanici è l'aggancio migliore per parlare di ciò che sta succedendo (e non da adesso) nel nostro Paese. Sulle nostre coste sbarcano, infatti, non solo profughi provenienti da Paesi in guerra o nei quali le libertà individuali sono oggetto di restrizioni, ma anche i cosiddetti "migranti economici" (la questione terminologica sta assumendo una rilevanza sempre maggiore, e vi consigliamo di leggere qui, qui ma anche qui).

Le statistiche del 2015 restituiscono un quadro piuttosto complicato: dall’inizio dell’anno sono sbarcati circa 30mila eritrei (in fuga dalla coscrizione obbligatoria e da una sanguinosa guerra civile), 15mila nigeriani (parte dei quali fugge dalle violenze di Boko Haram), poco meno di 10mila somali, 6mila sudanesi e 6mila siriani (i profughi siriani hanno praticamente abbandonato la rischiosa rotta mediterranea, anche in relazione alle decisioni tedesche). Si ripropone anche per l’Italia, dunque, il problema sul “che fare” di coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale (sulle lentezze burocratiche, gli errori e le contraddizioni del sistema per la richiesta di asilo torneremo più avanti). Le differenze con la Germania sono però enormi, data la provenienza dei “migranti da rimpatriare” e la situazione negli Stati di destinazione dei rimpatri.

Renzi qualche mese fa a Montecitorio era stato perentorio: “Dobbiamo essere chiari: nel momento in cui si arriva in Italia senza titolo, le procedure di rimpatrio devono essere velocizzate. Non si fanno accordi di cooperazione con chi non accetta il rimpatrio”. La linea era (è?) sostanzialmente la stessa della Merkel: chi ha diritto all’asilo (alla protezione sussidiaria o a permessi umanitari) sarà accolto, chi non ne ha diritto deve essere rimpatriato. E qualche settimana dopo Alfano aveva diffuso anche i dati: sul totale delle domande di asilo nel 2015, il 6% ha ottenuto la status di rifugiato, il 18% protezione sussidiaria, il 25% permessi umanitari. Solo nel 2015 è stato disposto il rimpatrio di circa 1200 persone, circa il 50% dei detenuti nei Centri di identificazione ed espulsione.

Questa volontà, però, presenta delle contraddizioni intrinseche, anche a prescindere di ogni valutazione di senso sulla opportunità di rimandare indietro persone che evidentemente fuggono in cerca di una vita migliore, rischiando la morte prima nel viaggio verso la Libia poi sulle carrette del mare, disposte ad affidarsi a trafficanti di morte pur di ottenere una possibilità.

In primo luogo, confligge con quello che Briguglio descrive come un tacito meccanismo di elusione, che ha sostanzialmente evitato il collasso del nostro sistema di accoglienza:

L’amministrazione italiana, un po’ per inefficienza, un po’ per esercitare una pressione nei confronti degli altri Stati UE, un po’ per scansare immediatamente una parte degli oneri, ha creato i presupposti per un aggiramento di fatto del regolamento Dublino 3, ritardando di molto l’identificazione (con rilevazione delle impronte digitali) e la verbalizzazione delle eventuali domande di asilo dei profughi, e lasciando loro libertà di circolazione (incurante del fatto che, in mancanza di una richiesta d’asilo o di altra ragione umanitaria grave, lo straniero che sbarchi sulle coste italiane dovrebbe essere rimpatriato). L’obiettivo è quello di sfruttare l’interesse di molti degli stranieri sbarcati a raggiungere paesi del Nord Europa, caratterizzati, rispetto all’Italia, da un welfare più generoso e da un mercato del lavoro più ricco di prospettive. Se uno di questi stranieri riesce a entrare – poniamo – in Germania o in Francia, sfruttando l’esiguità dei controlli alle frontiere interne e a presentare lì la propria domanda di asilo, diventa difficile, per lo Stato che ha ricevuto la domanda, dimostrare che la responsabilità spetta all’Italia, non essendovi traccia del passaggio dell’interessato dal nostro paese.

In secondo luogo non tiene conto dei costi dei rimpatri forzati, dei limiti del ricatto sui fondi per la cooperazione internazionale e della difficoltà di identificare un folto numero di migranti. Infine, non risolve il problema, perché dilata i tempi di permanenza nei centri di accoglienza / identificazione.

 

Il sistema di accoglienza in Italia (e in Germania?)

Rispetto alla Germania, il nostro Paese deve fare i conti anche con il pattugliamento delle coste, il soccorso in mare e la prima assistenza ai migranti. Problemi di enorme complessità, per i quali abbiamo ottenuto il sostegno europeo, prendendo anche decisioni molto, molto discutibili dal punto di vista umanitario. Ma, in generale, la scelta del Governo italiano è chiara: salvare la vita a chi rischia di naufragare in mare, portare in salvo i migranti e attendere (ancora) il via libera dell'Onu per le azioni di contrasto agli scafisti approvate dalla Ue. Insomma, ancor prima di richieste di asilo, identificazioni, espulsioni e rimpatri, c'è da organizzare la rescue dei migranti e la vera e propria accoglienza.

Del sistema di accoglienza abbiamo parlato più volte: al momento, nelle diverse strutture (5 Cie, 4 Cpsa, 10 Cda / Cara e 1860 strutture temporanee) sono ospitate circa 100mila persone, con ulteriori 20mila posti che saranno messi a disposizione nelle prossime settimane. Si tratta di richiedenti asilo, rifugiati, "migranti economici" oppure di persone che hanno ricevuto un primo diniego per le varie forme di protezione ma hanno fatto ricorso.

Ogni ospite dei centri ci costa circa 35 euro al giorno, per l'anno in corso si prevede che la spesa complessiva superi gli 800 milioni di euro, mentre solo dalla Ue otteniamo circa 200 milioni di euro l'anno.

Sulla necessità di ricalibrare il sistema dell'accoglienza non ci sono dubbi. Ma non tenere conto delle specificità del "sistema Italia", esaltando a prescindere un "modello tedesco" (che ancora non esiste e che non abbiamo mai realmente visto alla prova) è operazione strumentale e faziosa, anche al di là delle differenze strutturali tra una economia in espansione ed una che sta faticosamente uscendo da una lunga crisi.

I 6 miliardi di euro sbloccati dal Governo tedesco serviranno a mettere in piedi progetti che vadano oltre la semplice accoglienza, con un inserimento lavorativo, formativo: insomma, un percorso di vera integrazione. Che, ma questo diciamolo sottovoce, in Italia abbiamo sperimentato da tempo con lo Sprar (certo con risorse drammaticamente inferiori). Ma fino a qualche settimana fa, non mesi o anni, la situazione in Germania era questa.

Ora, siamo tutti contenti del cambio di paradigma della Merkel. E ci mancherebbe. Ma parlare di modello tedesco, così, sulla fiducia, ci sembra quantomeno prematuro. Oltre che ingeneroso.

E la sintesi migliore è di Luca Bottura:

Ogni giorno navi della nostra Marina militare salvano vite umane nel Canale di Sicilia. Lo fanno pure ora che la missione Mare Nostrum è diventata Triton, anche sulla spinta di Merkel e C., e teoricamente avrebbe valenza ben poco umanitaria.

Associazioni religiose, laiche, semplici cittadini si incaricano quotidianamente, in una sorta di Resistenza civile, di equilibrare l’Italia orrenda e diffusa che sfrutta i clandestini. Un’Italia trasversale che parte dai campi di pomodori del sud e arriva fino alle Langhe, dove i raccoglitori d’uva sono schiavi ucraini e moldavi.

Siamo un Paese molto migliore di quel che crediamo di essere.

Ma ce ne vergogniamo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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