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Una disamina della prescrizione penale in attesa delle modifiche

L’istituto della prescrizione sembra essere prossimo alla riforma, si spera non con l’ennesimo intervento disorganico e spinto da esigenze propagandistiche. Le proposte iniziali prevedono una soluzione moderata, e circoscritta a poche fattispecie, mentre un ultimo emendamento contempla una riforma profonda dell’istituto in questione: interruzione definitiva dopo la condanna di primo grado e decorrenza dal momento in cui la notitia crimins sia trasmessa alla procura.
A cura di Redazione Diritto
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Questo articolo è a cura del Dott. Francesco Marangolo, laureato in giurisprudenza Federico II, con tesi in procedura penale "la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello". In Italia, l'interesse prevalente è diretto all'ambito penalistico, a Londra collabora con studi anglo italiani e si occupa dei rapporti dei clienti Italiani con la pubblica amministrazione Inglese

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Che cos’è la prescrizione?

La prescrizione è un istituto giuridico che si basa sul decorrere del tempo. Si tratta di una categoria che si rinviene tanto in ambito penalistico quanto in quello civilistico, ovviamente con conseguenze differenti ma con un comune denominatore: la certezza dei rapporti e delle situazioni giuridiche.

Il quid pluris della prescrizione in ambito penale

In ambito penalistico, invero, è possibile reperire un’ulteriore ratio sottesa alla presenza dell’istituto in esame, ovvero l’ordinamento – che con la norma penale tende a circoscrivere e punire il comportamento ed il disvalore sociale che si è posto in essere violando la fattispecie – presume un decremento del disvalore stesso: in sintesi, dopo un certo periodo di tempo – che aumenta con l’aumentare del disvalore sociale e della tipologia di offesa al bene giuridico, sino ad arrivare alle categorie di reati imprescrittibili – l’ordinamento ritiene non più coerente con la funzione rieducativa della sanzione penale perseguire il reato, senza darsi alcun limite temporale. Buona parte della dottrina, inoltre, rinviene nel principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1 Cost.) un ulteriore presupposto del limite temporale al perseguimento del reato; nello specifico, il soggetto che viene punito dopo che sia decorso un termine considerevole sarebbe un soggetto differente rispetto a colui che ha commesso il fatto.

Il termine di prescrizione

Il termine prescrizionale per i reati è stabilito dall’art. 157 codice penale: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria…”. La norma generale, quindi, prevede una prescrizione corrispondente al massimo di pena detentiva stabilita per il reato preso in considerazione, con un limite minimo. Nei commi successivi la norma in questione precisa altresì che la pena  deve essere presa in considerazione senza le eventuali circostanze, a meno che non si tratti di circostanze ad effetto speciale (aumento o diminuzione superiore rispetto ad 1/3) o circostanze che se presenti prevedano l’applicazione di una pena differente da quella prevista dalla rubrica in oggetto. A ciò si aggiunga che sussistono alcuni reati che non si prescrivono, perché dagli stessi consegue un disvalore sociale molto grave, l’omicidio doloso ne è emblema.

Quando inizia a decorrere il termine

La decorrenza del termine è variamente atteggiata a seconda della tipologia di reato: per il reato consumato dal  giorno della consumazione, per quello tentato dal giorno in cui cessa l’attività del soggetto, in caso di reato permanente o continuato dal momento in cui è cessata la permanenza o continuazione.

Quando raddoppia il termine

L’art. 157 c.p. prevede una serie di casi in cui il termine prescrizionale viene raddoppiato; una macrocategoria (spesso oggetto di rinvio esterno) è quella prevista dall’art. 51, comma 3bis e 3 quarter codice di procedura penale: si tratta di ipotesi delittuose particolarmente gravi, seppur eterogenee (si va dall’associazione mafiosa ai reati in materia sessuale) sia in quanto ad oggetto di tutela sia in quanto a condotta e relativo disvalore sociale. Uno dei comuni denominatori è senz’altro il forte allarme sociale destato da ognuna delle fattispecie ricomprese – è chiaro, dopotutto, come la categoria in questione si sia ampliata progressivamente  nel tempo, con il manifestarsi di nuove condotte particolarmente preoccupanti – o comunque mediaticamente risonanti -, senza però tener conto di alcune differenze strutturali dei singoli reati che forse avrebbero preferito dei raggruppamenti differenti.

Sospensione ed interruzione

Avendo a che fare con la decorrenza di un termine, e quindi con il passare del tempo, l’istituto della prescrizione si relaziona molto spesso con eventi sospensivi ed interruttivi. I casi di sospensione si presentano quando vi sia richiesta di autorizzazione a procedere, deferimento della questione ad altro giudice, impedimento delle parti o dei difensori o su richiesta dell’imputato o del difensore; una volta concluso il periodo di sospensione, il termine riprende a decorrere da dove si era fermato. L’interruzione, al contrario, comporta una nuova decorrenza dei termini, gli atti che comportano tale evento interruttivo sono numerosi, e previsti dall’art. 160 codice  penale, tra i vari: sentenza di condanna, decreto di condanna, ordinanza che applica la misura cautelare, ordinanza che convalida fermo o arresto, interrogatorio reso dinanzi al PM o al giudice, invito a presentarsi a rendere interrogatorio etc…

Il limite al termine prescrizionale in caso di interruzione

Il codice, però, al fine di non indebolire l’istituto in ambito penalistico, stabilisce un principio fondamentale, previsto dall’art. 161, comma 2 codice penale: “Salvo che si proceda per i reati di cui all’art. 51, comma 3bis e 3quarter, del c.p.p., in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all’art. 99 comma 2, c.p., di due terzi nel caso di cui all’art. 99 comma 4 c.p., e del doppio nei casi di cui agli artt. 102, 103, 105 c.p.”. La prima macrocategoria è già stata configurata, per gli altri casi si tratta delle ipotesi di recidiva, di abitualità e di professionalità. Ciò che rileva quì, ai fini dell’analisi, e però la previsione generale che pone un limite invalicabile – ¼ del termine prescrizionale – di aumento, anche in caso di più eventi interruttivi.

Il c.d. “caso Taricco” e la disapplicazione in malam partem

La norma in oggetto, in previsione di un interruzione con efficacia limitata, è stata oggetto di una – già – celebre sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; seppur la questione centrale si sia, come ovvio, spostata verso altro tema (la previsione dei giudici europei di una disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice del singolo paese, anche quando questo comporti una soluzione in malam partem per l’imputato), il rilievo di tale pronuncia si è protratto anche nei mesi successivi; a tal proposito, è stata investita di una questione di legittimità costituzionale la Consulta, la quale potrebbe eludere il problema sollevato dai giudici europei – non pronunciandosi nel merito sulla possibilità di ammettere una disapplicazione del giudice a quo della norma nazionale a favore degli interessi UE, pur se questo comporti conseguenze in malam partem per l’imputato – ma potrebbe, al contrario, sollecitare l’intervento del legislatore in materia di prescrizione penale, andando anche a legittimare – necessità che dovrebbe essere estranea al legislatore – un eventuale intervento che pare essere prossimo.

Dott. Francesco Marangolo

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