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Tadej Pogacar non è l’alieno cattivo del Tour: è un nuovo straordinario campione che merita rispetto

Tadej Pogacar si è preso la maglia gialla sulla prima importante frazione di montagna dell’edizione 2021 del Tour de France, la Grande Boucle in cui si è già imposto sorprendendo tutti l’anno scorso. Una prova di forza assoluta, poi confermata sulla salita di Tignes, che ha scatenato entusiasmi ma anche le solite illazioni che periodicamente sporcano il ciclismo. E campioni assoluti come lo sloveno che si meritano applausi e rispetto.
A cura di Alessio Pediglieri
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Tadej Pogacar è un alieno da combattere e isolare? No, è semplicemente uno straordinario, immenso e umano campione. Il fuoriclasse sloveno ha divorato il Tour alla prima tappa di montagna, ha messo tutti in fila quando ha deciso di staccare il gruppo dei migliori e prendersi l'impegno di vestire la maglia gialla alla prima vera occasione di montagna. Poi, oggi, nella tappa di Tignes ha regalato il bis nell'erta finale, strappando da campione con una progressione impressionante che ha ribadito una supremazia assoluta. Il Tour ha altre due settimane dopo la giornata di riposo, ma potrebbe già concludersi oggi. Per manifesta superiorità.

Una serie di progressioni che ha lasciato gli altri sui pedali e i più sospettosi ai soliti cattivi pensieri: come fa un ragazzo di 21 anni avere quella forza, quella potenza, quella capacità di andare a doppia velocità senza che nessuno riesca a stargli dietro? Subito le vecchie illazioni riemergono come petrolio sull'oceano a due ruote: da anni non si vedeva una prestazione simile, una superiorità così totale e la memoria è tornata ai grandi del passato da Hinault ad Amstrong. Ma proprio nel paragone con quest'ultimo si è aperto l'argomento più spinoso e controverso: tutto regolare?

Tutto regolare, regolarissimo, in un mondo di professionisti dove la regola è andare al massimo, vivere al limite. Delle proprie forze, delle proprie capacità, delle regole – appunto – che governano lo sport. A parità ed equità di trattamento Tadej Pogacar è attualmente una bicicletta avanti a tutti. Ma non è un robot, non è un fenomeno apparso come meteora nell'universo del ciclismo professionistico. E' un ragazzo venuto da lontano, che ha già dimostrato di essere fallibile e che ha voluto far vedere al mondo delle due ruote che con la forza di volontà e la determinazione – unite a doti indiscusse – ci si può riprendere la scena quando si decide.

L'anno scorso si è imposto in un Tour tra i più combattuti di sempre, è stato il volto e il nome nuovo di chi emerge e rischia anche di restare un puntino nello spartito della vita. Quest'anno, quel puntino si è trasformato in una traccia sempre più delineata, con quel numero "1" sulla bicicletta e sulle spalle che pesa più di qualsiasi maglia da indossare, anche la gialla dal leader del Tour. E che ti fa fare imprese importanti e correre rischi enormi, mai richiesti se non dall'orgoglio. Bravissimo nella prima crono individuale, in apnea alla 7a tappa, di nuovo estasiante in salita a Tignes.

Ne è stata dimostrazione soprattutto la settima tappa di questa edizione, la più lunga degli ultimi 20 anni, 251 chilometri dove chiunque avesse un piede sui pedali ha attaccato Pogacar. Che è andato in crisi, come può andare un ragazzo di vent'anni che si vede improvvisamente accerchiato dai nemici che, temendolo, lo attaccano ancor prima che lo faccia lui.

Nella frazione da Vierzon a Le Creusot, vinta da uno straordinario Mohoric, Pogacar ha patito, sudato, faticato più del previsto, restando indietro e cercando semplicemente di limitare i danni. Davanti alle sue difficoltà a nessuno è venuto in mente alcun cattivo pensiero se non quello di "ecco, il classico ciclista cui va bene una stagione". Ma davanti alla progressione in sella sul Colle de Romme, i primi malumori, il "rumore dei nemici" che si fa sentire: "mai visto un così". Sottintendendo cattive abitudini e soliti sospetti che in passato hanno sporcato il ciclismo.

La dimostrazione di umanità si è vista anche nella nona tappa, con una frazione veloce di 150 chilometri dove Pogacar ha atteso fino alla fine, lasciando spazio, gloria, telecamere e platee agli altri. Poi, negli ultimi 8 chilometri è tornato ad essere marziano, facendo il vuoto dietro di sè.

Tant'è, se è pur vero che chi pensa male fa peccato ma a volte ci azzecca, su Tadej Pogacar – al netto di controlli e professionalità – c'è solo da dire che è semplicemente un nuovo e straordinario interprete del ciclismo 2.0. Quello del dopo Hinault, del dopo Hindurain, del dopo Pantani, del dopo Amstrong.
Che fa innamorare con questo sport. Non da combattere, ma da difendere. Godiamocelo.

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