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Le due domande (senza risposta) che tengono in sospeso la Serie A e il calcio italiano

Tra il governo e i vertici del calcio italiano prosegue il confronto sulla possibilità di completare la stagione. Dopo il no alla ripresa degli allenamenti di squadra dal 4 maggio, anche sulla possibile ripresa del 18 maggio permangono dei dubbi. La partita si gioca attorno ai quesiti più delicati inevasi del protocollo medico preparato dalla Federcalcio.
A cura di Sergio Chesi
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Il primo tentativo è andato a vuoto. Non sono bastate le 47 pagine di protocollo preparate dalla commissione medico-scientifica della Federcalcio per convincere il governo a sbloccare la ripresa degli allenamenti delle squadre di calcio a partire dal 4 maggio. C'è ora un'altra data cerchiata in rosso: il 18 maggio, giorno su cui il premier Conte si è sbilanciato in conferenza stampa e successivamente il ministro dello sport Spadafora ha frenato. "Nulla è scontato", ha precisato sollevando un enorme interrogativo sulla possibilità di far davvero ripartire la complessa macchina della Serie A. Quella che qualcuno prova a far passare come una lotta tra fazioni opposte, in realtà, è una partita dalla quale tutti vogliono uscire vincitori con la ripresa del campionato. E si gioca proprio attorno al protocollo medico che dovrà garantire le migliori condizioni di sicurezza possibili per gli atleti.

La prima versione è stata rispedita indietro dal governo, perché il piano preparato "non appare sufficiente". Sono diverse le zone d'ombra su cui il Ministero dello Sport pretende maggior chiarezza e attenzione dalla commissione medico-scientifica della FIGC. Dal numero dei controlli alla tipologia dei test, per citarne alcune. Ma due domande spiccano nettamente su tutte le altre e sono quelle a cui bisognerà trovare in fretta una valida risposta. Semplici nella forma, complesse nella natura del problema, ragion per cui arrivano dall'interno stesso del sistema calcio, prima ancora che dal governo.

Cosa succede in caso di un nuovo caso positivo all'interno di una squadra? In realtà la risposta alla madre di tutte le domande è già presente nel protocollo. È racchiusa in una pagina, la penultima, titolata ‘NOTE aggiuntive allo stato attuale in caso di sospetto o "positività"‘. Le contromisure illustrate rappresentano uno dei motivi per cui il governo ha ritenuto "non sufficiente" la prima stesura del protocollo. La possibilità che si presenti un nuovo caso positivo, alla ripresa delle attività, è ritenuta molto alta e l'eventualità finirebbe per rimettere nuovamente in discussione ogni programma, se non gestita a dovere. Il piano predisposto è stato considerato approssimativo, dalle istituzioni ma anche da buona parte dei medici dei club di Serie A (inizialmente rappresentati da Rodolfo Tavana, responsabile sanitario del Torino, poi dimessosi dalla carica a conferma di un fronte non del tutto compatto).

Gli stessi medici che s'interrogano ponendosi il secondo quesito chiave: di chi è la responsabilità medico-legale di un nuovo contagio (e delle eventuali complicazioni)? Un tema che interessa in senso più ampio anche i club, con risvolti che vanno dal fronte giuridico a quello assicurativo, e che non trova risposte immediate nel protocollo o, più in generale, nel piano di ripresa del campionato. Sono le società di Serie A, in primis, a pretendere chiarezza su questi aspetti. Situazione di stallo in cui il governo ha trovato terreno fertile per guadagnare tempo e rimandare ogni decisione, consapevole di quanto un eventuale chiusura definitiva possa avere effetti devastanti per l'industria del calcio – di riflesso – per tutto lo sport italiano.

Uno scenario estremo, al quale nessuno spera di dover arrivare. Ma che impone risposte chiare ed efficaci alle domande che tengono in sospeso il calcio italiano e la Serie A.

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