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Un Professore 2, Damiano Gavino: “Manuel e Simone legati nel profondo. La tv è meno esplicita nel parlare d’amore”

Intervista a Damiano Gavino, protagonista di Un Professore 2 nel ruolo di Manuel. A 20 anni la sua vita è cambiata improvvisamente, dal lavoro con Gassman al set con Ferzan Ozpetek che lo ha catapultato nel mondo del cinema. Del suo talento dice: “Qualcuno ha visto qualcosa in me, ma non ci penso, mi affido all’istinto”.
A cura di Ilaria Costabile
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Damiano Gavino ha 22 anni e ha iniziato a lavorare come attore da due, quasi per caso, senza neanche troppa convinzione, perché "si, sa è una strada rischiosa". Ma lui, dei rischi, ha deciso di correrli e così si è presentato ai provini di Un Professore ed è stato scelto per il ruolo di Manuel, uno dei protagonisti. La fiction di Rai1 con Alessandro Gassman è arrivata alla seconda stagione e ha già catturato l'attenzione del pubblico. Non solo televisione, ma anche cinema per Damiano che, infatti, è stato protagonista di Nuovo Olimpo, di Ferzan Özpetek su Netflix e per quel ruolo ha avuto l'approvazione anche di un personaggio a dir poco iconico, la dea della musica italiana: Mina, come ci racconta in questa intervista.

Iniziamo da una domanda che solitamente si fa alla fine: nuovi progetti in cui ti vedremo?

(Ride ndr.) Al momento non posso dire nulla, ma sono curioso di sapere dove mi porterà il lavoro fatto finora.

Tra l'altro fare l'attore era più un sogno che una reale intenzione. 

Sì, avrei voluto entrare nel mondo del cinema, che fosse dietro le quinte o davanti, ma probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di imboccare questa strada. Si sa, non è un lavoro che dà tante sicurezze. Ci sono periodi in cui ti innalzano, altri in cui ti lasciano giù, ma ho acquisito una certa consapevolezza, perché ho vissuto sia il lato positivo che quello negativo di questo lavoro.

Fare l'attore è un lavoro in cui bisogna misurarsi con le attese. Come le gestisci?

Mastroianni, se non erro, diceva una cosa di questo tipo “mi faccio pagare per le attese, non per recitare”. Nel recitare fai quello che ti piace, ti diverti nel farlo e tiri fuori tutte le tue emozioni, ma di attese ce ne sono molte, anche sul set. Magari cambiano un’inquadratura, cambiano luci, sono cose che richiedono tempo e tu devi cercare di trattenere l’emozione che hai portato nel primo ciak anche in quello successivo. È un’attesa continua, ma quando aspettare diventa facile riesci ad essere più pronto.

Hai detto più volte che Alessandro D'Alatri (il regista di Un Professore scomparso lo scorso maggio ndr.) ti ha iniziato a questo mondo. Ti ha mai detto cosa ha visto in te da fargli pensare che potessi essere un bravo attore?

Ricordo perfettamente quel primo provino e sarò sempre grato ad Alessandro per il coraggio che ha avuto nel volermi, nonostante la casting gli avesse detto che non avevo mai recitato. Disse che gli avevo portato una proposta bellissima, diversa da quelle che gli erano state presentate negli altri provini. Poi, mi guarda e dice “tu hai gli occhi tristi”. Da lì abbiamo capito che avremmo potuto portare in Manuel quella malinconia che un po' mi appartiene, insieme alla voglia di spaccare il mondo, quella rabbia un po’ incompresa, che rende il mio personaggio pieno di sfaccettature, già evidenti nella prima stagione.

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C'è qualcosa che D'Altatri ti ha lasciato che hai portato anche in questa seconda stagione?

Certo, Alessandro è riuscito a creare una sintonia tra tutti noi, compresa la troupe. Si sono creati dei rapporti umani davvero bellissimi. Penso a quello tra me e Claudia Pandolfi o tra me e Nicolas (Maupas ndr.). Pensa che ci siamo incontrati al suo primo provino, gli davo le battute, poi ci hanno fatto scambiare e di fatto ho sostenuto un altro provino. La nostra amicizia è nata lì. Sono legami che abbiamo portato avanti, ma non perché li avesse creati Alessandro, perché sono stati autentici fin dal primo momento.

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Quindi credi che l'autenticità sia stato il valore aggiunto anche nella messa in scena del tuo rapporto con Simone (Nicolas Maupas nrd.)?

Sì, sì, decisamente. Non ci siamo mai soffermati nel fare quelle cose che il pubblico può aver percepito come studiate, ad esempio gli sguardi che ci lanciavamo. Stesso in scena  sentivamo il pericolo l’uno dell’altro nell’affrontare certe situazioni e c'era la voglia di aiutarsi. Lavoravamo ma senza essere maniacali, lasciandoci guidare da quello che stavamo vivendo.

Un Professore è una serie che sin dalla prima stagione ha avuto un successo, anche inaspettato, e che pur essendo un prodotto per ragazzi si ripropone di parlare ad un pubblico adulto. Cosa, secondo te, gli adulti devono imparare dalle nuove generazioni?

Di credere nelle nostre esperienze. Capita che gli adulti non ti prendano sul serio, ogni tanto tendono a screditarti, non come persona ma basandosi su quello che hai vissuto. Sono dell’idea che le nostre convinzioni, quello che abbiamo affrontato, per quanto minimo in quantità, sia magari più profondo e intenso. Quando invecchierò, rispetterò con tutto me stesso l’esperienza di un giovane, perché mi piacerebbe che anche oggi lo facessero con me.

Il rapporto tra Simone e Manuel, soprattutto nella prima stagione, è un po' ambiguo ma si tratteggia quello che potrebbe essere un amore tra due ragazzi. Sei stato protagonista di Nuovo Olimpo, dove invece l'amore viene raccontato in maniera più esplicita. Facendo una differenza tra le due esperienze, credi che nella tv pubblica ci sia più reticenza nel raccontare l'amore con libertà?

Credo ci sia la paura che un amore giovane non possa essere considerato seriamente. Anche a me è capitato di parlare delle mie sofferenze in amore e sono stato guardato come chi non potesse saperne nulla. In realtà è una questione soggettiva, dipende dall'intensità con cui vivi le cose. Poi, è pur vero che tutto quello che accade in scena viene costruito in modo che il pubblico, anche quello adulto, possa riconoscersi. Forse è anche per questo che c’è un blocco nel raccontare l’amore in maniera così esplicita come nel film.

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A proposito di Nuovo Olimpo, c'era qualcuno che vi ha indirizzato nel girare le scene intime che si vedono nel film?

Sì, c’era la figura dell'intimacy coordinator, messa a disposizione da Netflix, e con la quale abbiamo collaborato io e Andrea De Luigi, l'altro protagonista del film, ma anche con Aurora Giovinazzo. Ci è stato spiegato come studiare quel tipo di scene, come farle. Ad esempio io e Andrea non sapevamo come approcciare al corpo del nostro stesso sesso, quindi ci è stato descritto come muoverci in maniera armoniosa. Però la carnalità è passata in secondo piano.

Ovvero?

Ci sono dei sentimenti che prevalgono su quelle scene così intime, ovviamente c'è la passione, ma c'è anche la malinconia, soprattutto quando il mio personaggio e quello di Andrea crescono. Sono sensazioni molto profonde che riescono a far diventare quelle scene di sesso secondarie.

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Abbiamo parlato di amori diversi e Damiano l'amore come lo vive?

Cerco di viverlo in maniera tranquilla, sapendo che alla mia età potrebbe finire da un momento all’altro. Però, posso raccontarti una cosa?

Certamente. 

Parlando con un amico che non è stato fidanzato per più di quattro anni e adesso sta frequentando una persona, mi ha raccontato di aver provato un’emozione fortissima, che lo ha portato alle lacrime nel vedere che la ragazza stava lasciando casa sua dopo essere stati insieme. Mi ha spiegato che non capiva se perché fosse riaffiorato il dolore di un qualcosa che è appena finito o perché stava riprovando sensazioni potenti, che solo l’amore può farti vivere. Probabilmente è stata una reazione scaturita da entrambe le cose. La commozione è un qualcosa che arriva quando avverti un'emozione dettata dall'amore o da un'esperienza altrettanto forte, ed è una cosa bellissima. Spero di vivere così intensamente quello che provo.

E le tue emozioni sei riuscito a canalizzarle anche in scena?

Lo faccio seguendo il mio istinto, è come se portassi ciò che ho provato finora nella vita mettendomi nei panni di un’altra persona. L’ho fatto sia con Manuel che con Enea, soprattutto con Enea, anche perché il mio personaggio nel film cresce e vive un’età che io non ho vissuto, oltre a vivere anni lontani da quelli in cui sono cresciuto.

Hai detto di essere differente da Enea, come ti descriveresti?

Sì, sono differente da Enea. Però una cosa in comune con lui ce l'ho e l'ho portata anche nel film, ovvero avvertire un bisogno sia emotivo che fisico di entrare in contatto con una persona, seppur la si conosca da poco. Oltre a questa cosa, che ho trasmesso ad Enea, io Damiano cerco di essere una persona molto disponibile e generosa, soprattutto cerco di vivere il mio privato nella maniera più riservata possibile.

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A questo proposito, Un Professore ti ha cambiato la vita, come si vive l'ondata di popolarità?

È una cosa molto affascinante e particolare percepire che le persone si emozionano nel vederti. Con il lavoro che faccio tramuto in verità un sentimento e racconto una storia nella quale alcuni si riconoscono. Però vedere che anche adulti mi chiedono una foto tremando mi fa sorridere e provo anche un po' di tenerezza, perché sono tranquillissimo. Ad ogni modo, mi fa piacere e capisco che ad un certo punto si possa perdere la testa, la popolarità può creare dipendenza.

Una terza stagione di Un Professore ci sarà?

(Ride ndr.) Boh, non lo so, non si sa ancora.

E a quando un film con Lea (Gavino sua sorella ndr.)?

Mi auguro presto. È una cosa alla quale dobbiamo stare attenti, non possiamo fare dieci film insieme, anche perché ci somigliamo. Non abbiamo fretta nel farlo, sappiamo la rarità di questa cosa e vogliamo sfruttarla per un progetto dal grande valore narrativo.

Damiano e Lea Gavino, fonte Instagram
Damiano e Lea Gavino, fonte Instagram

Non c'è competizione tra voi?

No, assolutamente, anzi, c'è molta collaborazione. Nel primo provino di Un Professore lei mi ha aiutato molto, non era scontato. Lea prima di prendere un sì, ha avuto tanti no, io al primo provino ho preso un sì. Avrebbe potuto darle fastidio, però così non è stato e anzi, quando riceviamo dei self tape da fare ci aiutiamo a vicenda.

Che effetto fa sentirsi dire da Mina "È meraviglioso, ma lui da dove è uscito?"

È successo durante il primo incontro con Ferzan, una specie di secondo provino. Avevo preparato alcune scene che mi avevano inviato, anche se poi mi chiesero di fare altro. Dopodiché, Ferzan mi dice, dal nulla: “Sai, Mina ha visto il tuo provino e ha detto che sei meraviglioso, mi ha chiesto da dove fossi uscito”. Sono tornato a casa che non ci credevo. Mi tremavano le gambe, è stata una sensazione incredibile, perché percepisci che un mostro sacro della musica italiana ti ha visto e ha notato in te qualcosa. È una sensazione che mi porterò dietro per tutta la vita.

E quindi, hai del talento, ce l'hai.

Non lo so. Qualcuno vede questa cosa in me, cerco di non pensarci, proprio perché non sono consapevole delle qualità attoriali che ho, perché non le ho mai studiate. Mi affido all'istinto e mi dico "non ci pensare al talento, alla tecnica, fai e basta".

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