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Riconoscimento del figlio con il testamento

La Cassazione del 2.2.2016 n. 1993 ha stabilito che la possibilità che il testamento abbia come contenuto solo disposizioni di carattere non patrimoniale (587 cc) impone, comunque, che sia ravvisabile un “testamento”. Perché esista un testamento, occorre che l’atto esprima una volontà destinata a produrre i suoi effetti dopo la morte del disponente. Il testamento, infatti, rappresenta l’unico tipo negoziale con il quale taluno può disporre dei propri interessi per il tempo dopo la sua morte. Non è esclusa, quindi, l’esistenza del testamento, qualora esso contenga soltanto disposizioni di carattere non patrimoniale (come il riconoscimento di un figlio ex 254 cc) ma è necessario che la morte sia assunta come punto di origine (ovvero come causa) dell’effetto derivante dal riconoscimento.
A cura di Paolo Giuliano
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Il testamento (pubblico o olografo) viene definito come l'atto con il quale il testatore dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Dalla stessa definizione di testamento è semplice dedurre che questo negozio contiene disposizioni (a titolo di erede o a titolo di legato) patrimoniali, del resto, rientra nell'ambito degli atti a contenuto patrimoniale decidere se un determinato bene andrà dopo la morte a Tizio o a Caio.

La naturale presenza di disposizioni patrimoniali nel testamento, non esclude la contemporanea presenza nel testamento di (alcune) disposizioni non patrimoniali (come, ad esempio, il riconoscimento di un figlio, infatti, l'art. 254 c.c.,  contiene un'elencazione tassativa delle forme dell'atto di riconoscimento di figlio nato al di fuori del matrimonio, potendo esso ammettersi o nell'atto di nascita, oppure con apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, resa davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo).

Quindi, è possibile che un testamento contenga

  • un'unica disposizione patrimoniale
  • più disposizioni patrimoniali,
  • un insieme di disposizioni patrimoniali e non patrimoniali
  • un'unica disposizione non patrimoniale

Su quest'ultimo aspetto occorre spendere qualche parola, infatti, se – di solito – il testamento  contiene più disposizioni (patrimoniali), nulla esclude che possa contenere un'unica disposizione patrimoniale o un'unica disposizione non patrimoniale. Del resto,  l'art. 587 c.c., al comma 2, afferma che le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento (quale, ad esempio, il riconoscimento ex art. 254 c.c., i cui effetti si producono alla morte del testatore: art. 256 c.c.) hanno efficacia, se contenute in un atto che abbia la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale.

Non è esclusa, quindi, l'esistenza del testamento, qualora esso contenga soltanto disposizioni di carattere non patrimoniale,

In questa situazione il problema non è se il testamento può essere costituito da un'unica disposizione di carattere non patrimoniale (come il riconoscimento di un figlio) o da un'unica disposizione patrimoniale (lego il quadro di Michelangelo al mio amico Marco), ma individuare quali requisiti formali devono essere presenti affinché un documento sottoscritto da una persona possa essere qualificato come testamento (olografo) poter contenere una valida disposizione non patrimoniale (riconoscimento di figlio).

Requisiti irrinunciabili per avere un testamento sono (sicuramente) le forme proprie del testamento (pubblico o privato), del resto la formalità e la solennità dell'atto è necessario al fine di garantire la libertà di testare, la certezza e la serietà della manifestazione di volontà del suo autore e la sicura determinazione del contenuto delle singole disposizioni. A questo scopo la legge richiede ad substantiam che il testamento, seppur a contenuto soltanto non patrimoniale, venga redatto in una delle forme espressamente stabilite (art. 601 ss. c.c.).

E' necessaria anche la presenza dell'elemento funzionale tipico del testamento (non è sufficiente solo l'elemento formale)

La funzione tipica del negozio testamentario consiste nell'esercizio da parte dell'autore del proprio generale potere di disposizione mortis causa (cioè per il tempo successivo alla sua morte). Quindi, perché sia individuabile un testamento occorre rinvenire nel documento il proprium dell'atto di ultima volontà, nel senso che nell'atto deve essere espressa un'intenzione negoziale destinata a produrre i suoi effetti dopo la morte del disponente. Il testamento, infatti, rappresenta l'unico tipo negoziale con il quale taluno può disporre dei propri interessi per il tempo della sua morte.

Applicando questi principi al riconoscimento del figlio naturale effettuato con testamento si può dire che, affinché la dichiarazione di riconoscimento di un figlio nato al di fuori del matrimonio possa intendersi inserita in un testamento, del quale pure esaurisca il contenuto, giacché l'atto risulta sprovvisto di disposizioni di carattere patrimoniale, occorre che esso riveli la sua natura di atto mortis causa («per il tempo in cui avrà cessato di vivere»), nel senso che la morte sia assunta dal dichiarante come punto di origine (ovvero, appunto, come causa) del complessivo effetto del regolamento dettato con riguardo a tale situazione rilevante giuridicamente.

Se è quindi corretto assumere che l'art. 587 c.c. non postula la necessaria «patrimonialità» di tipo dispositivo-attributivo, ovvero il necessario riferimento ai «beni» del testatore, il testamento non può non consistere in un atto di «regolamento» mortis causa degli interessi del testatore, allorchè tali disposizioni non patrimoniali evidenziano, comunque, la fisionomica essenziale inefficacia sino al momento della morte del testatore.

Perché un atto possa qualificarsi come testamento (sia pure inteso come forma vincolata, autonoma dal proprio naturale contenuto attributivo, in quanto includente soltanto disposizioni di carattere non patrimoniale), pur non essendo necessario l'uso di formule sacramentali, è necessario riscontrare in modo univoco dal suo contenuto che si tratti di atto «di ultima volontà», ovvero, appunto, di un negozio mortis causa, (produttivo di effetti solo dopo la morte del testatore) in maniera da distinguerlo, per rimanere proprio al caso del riconoscimento del figlio nato al di fuori del matrimonio, da una mera enunciazione del fatto della procreazione.

Quindi, non si è in presenza di un testamento quanto non si evince dal documento un'intenzione negoziale volta a produrre l'effetto accertativo della filiazione dopo la sua morte, e perciò non sussiste la natura di atto mortis causa, nel quale la morte sia individuata come momento di insorgenza della regolamentazione dettata.

Cass., civ. sez. II, del 2 febbraio 2016, n. 1993 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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