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Tutto quello che non ha funzionato per la riapertura delle scuole in un anno di Coronavirus

Quello della scuola è stato probabilmente uno dei dossier più delicati e complessi da gestire in un Paese alle prese con una crisi sanitaria gravissima. Possiamo dire che sia andato tutto bene? No, gli errori, le mancanze e i ritardi ci sono stati. E se un anno fa non eravamo preparati a quello che sarebbe successo con la pandemia di coronavirus, lo scorso settembre, all’avvio del nuovo anno scolastico, il Paese avrebbe dovuto essere pronto. Ma così non è stato.
A cura di Annalisa Girardi
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La scuola è un punto fondamentale per la ripartenza del Paese dopo l'emergenza coronavirus. E sarà quindi una delle priorità del nuovo governo. In questi giorni si sta parlando molto di come saranno gli esami di maturità per gli studenti delle superiori o delle modifiche al calendario scolastico per gli alunni delle elementari, in modo da permettere almeno ai più piccoli di recuperare qualche giornata in aula dopo un anno quasi interamente trascorso al computer con le lezioni online. Con il nuovo esecutivo e il passaggio dalla Cinque Stelle Lucia Azzolina al tecnico Patrizio Bianchi pare che ci sarà anche un cambio di passo nella gestione dell'emergenza Covid-19 nella scuole. Che sono state uno dei temi centrali degli scontri tra le forze politiche, i quali hanno poi portato alla crisi di governo e alla caduta del Conte bis.

L'ultimo anno ha stravolto il mondo della scuola. E sono moltissimi i bambini e gli adolescenti che dovranno fare i conti per anni con le conseguenze delle chiusure. Quello della scuola è stato probabilmente uno dei dossier più delicati e complessi da gestire in un Paese alle prese con una crisi sanitaria gravissima. Possiamo dire che sia andato tutto bene? No, gli errori, le mancanze e i ritardi ci sono stati. E se lo scorso 23 febbraio, quando il governo con il decreto Io Resto a Casa ha chiuso le scuole di ordine e grado per fermare i contagi, ancora poco si sapeva di quello a cui si sarebbe andati incontro, lo scorso settembre, all'avvio del nuovo anno scolastico, il Paese avrebbe dovuto essere preparato. Ma così non è stato.

Sulla scuola a settembre l'Italia doveva essere pronta

Mancanza di insegnanti, aule inadeguate, strumentazione antiquata. Questi sono problemi strutturali della scuola italiana, con cui docenti, personale scolastico, studenti e famiglie si trovano a dover fare i conti ogni settembre. Ma l'anno scorso, tra orari scaglionati, spazi ridotti e lavoratori fragili, si sapeva che ci sarebbero stati molti più buchi da coprire. La scuola ha occupato gran parte degli sforzi del governo per la ripartenza dopo il lockdown della scorsa primavera. E anche una fetta non indifferente di polemiche sulla gestione dell'emergenza coronavirus. All'inizio del nuovo anno scolastico, che per diversi studenti è durato in presenza solo poche settimane, si sono riaffacciati una serie di problemi che la scorsa estate avrebbero dovuto essere risolti. Ma così non è stato: dall'insufficienza di docenti, alla scarsità di spazi, allo screening nelle classi e i banchi a rotelle, ecco tutti i nodi che a settembre non erano ancora stati sciolti.

Mancano gli insegnanti

Ogni anno, a settembre, la scuola ricomincia e tante cattedre sono ancora vuote. Un copione, purtroppo, visto e rivisto nel nostro Paese, che però l'anno scorso ha contribuito a rendere ancora più complessa una situazione già di per sé delicatissima. Dopo mesi di chiusura, era fondamentale arrivare al nuovo anno scolastico con tutti gli insegnanti in aula. Un obiettivo che doveva tenere conto della rimodulazione degli orari, della necessità di separare alcune classi per avere nuclei più piccoli e del fatto che molti lavoratori fragili non sarebbero stati in grado di ricoprire il loro ruolo.

È il 6 agosto quando la ministra dell'istruzione, Lucia Azzolina, annuncia un piano di assunzioni per oltre 84mila precari. "Assumeremo 84 mila e 808 insegnanti precari a tempo indeterminato. Un grandissimo segnale di attenzione di questo governo", sostiene. Ma appena un mese più tardi, al netto delle promesse dell'estate, da tutta Italia le scuole denunciano la mancanza di insegnanti. Il 2 settembre la segretaria generale della Cisl Scuola, Maddalena Gissi, afferma che su 85 mila cattedre, 50 mila siano ancora vuote. E nonostante ci siano 753 mila supplenti pronti a prendere posto, le nuove graduatorie provinciali non sono ancora pronte. Il 9 settembre a lanciare l'allarme è l'Associazione nazionale dei presidi, che segnala come l'organico non sia stato ancora pienamente assegnato. Allo stesso tempo i presidi avvertono su altre criticità, come l'assenza di spazi necessari per fare lezione e la mancata consegna dei nuovi banchi monoposto. Il 14 settembre circa 5,6 milioni di studenti tornano in classe. Ma ci sono ancora 60 mila cattedre da assegnare, un problema di per sé critico che colpisce però particolarmente una precisa categoria di studenti. Sono gli alunni con disabilità: circa 170 mila non ritrovano più il docente di sostegno che li seguiva l'anno precedente.

Non ci sono gli spazi necessari

Gli insegnanti non sono gli unici a mancare. Non ci sono nemmeno gli spazi. Con le nuove regole per la riapertura della scuola in sicurezza, racchiuse in un protocollo approvato dal ministero il 6 agosto, le aule possono ospitare meno studenti. Vanno infatti rispettate le distanze anti-contagio tra i banchi e ogni classe deve tenere conto di capienza ridotta rispetto al numero di persone che vi possono rimanere per diverse ore al giorno. Va da sé che siano necessari nuovi spazi, in modo da permettere a tutti gli alunni di fare lezione in presenza. A giugno circa 1 milione di ragazzi e ragazze sono senza aule. Al 14 settembre questi sono ancora 50 mila.

Sono sempre i presidi a lanciare l'avvertimento, ad alcune settimane dalla riapertura delle scuole. "Servono chiarimenti urgentissimi circa l'ipotesi in cui l'istituzione scolastica non abbia la disponibilità di spazi e locali idonei per la didattica in presenza con la garanzia del metro lineare di distanza", scrive l'Associazione dei presidi a inizio agosto, sottolineando come manchino ancora le aule per 400 mila studenti. Al 9 settembre il nodo non si è risolto e i presidi tornano a denunciare la criticità, ribadendo che non sempre gli enti locali sono riusciti a recuperare gli spazi necessari per permettere a tutti di fare lezione.

E i nuovi banchi non sono stati consegnati

Non solo. I presidi avvertono anche che pure la consegna dei nuovi banchi monoposto è in ritardo. I nuovi banchi a rotelle hanno catalizzato gran parte delle polemiche sulla riapertura della scuola durante l'estate: indipendentemente dalla necessità o meno di sostituire gli arredi scolastici in questa precisa fase dell'emergenza, il problema è che in molti casi questi banchi non sono arrivati in tempo. Il bando del commissario straordinario per l'emergenza, Domenico Arcuri, scade il 5 agosto: è chiaro fin da subito che meno di sei settimane non sarebbero mai bastate per produrre, distribuire e montare i nuovi banchi, ma si procede. Il 26 settembre la scuola scende in piazza per manifestare contro tutte le criticità della ripartenza: a quel giorno i dati messi a disposizione dal ministero sui banchi a rotelle non sono ancora stati aggiornati, ma alcuni numeri raccolti dalla stampa segnalano che nelle scuole medie e superiori i nuovi banchi vengono utilizzati solamente dall'1% degli intervistati. Al 23 ottobre altri dati confermano che sono stati consegnati 1,5 milioni di nuovi banchi (tradizionali e a rotelle) su 2,4 milioni. In altre parole, ancora 900 mila mancano all'appello. Entro la fine del mese, assicurano dal ministero, tutti i banchi saranno distribuiti. Ma così non è stato.

Il tracciamento dei contatti nelle scuole è saltato

Il tracciamento dei contatti nelle scuole non funziona. E aver pensato di poter tornare alla didattica in presenza senza un sistema capace di fotografare la circolazione del virus a scuola ha rappresentato semplicemente un salto nel vuoto. Nessuno sa ancora quanti siano effettivamente i contagi nelle scuole. In un'intervista dello scorso 11 novembre Azzolina, rispondendo a una domanda proprio sulla diffusione del Covid-19 nelle scuole, ha detto di non conoscere i numeri effettivi, ma solo la percentuale dei contagi contratti in classe su quelli totali. Circa il 3,5%. Un dato che però fatica a riportare un quadro realistico dell'effettiva trasmissione del virus nelle scuole e che non ci dice nemmeno se i protocolli di sicurezza approvati dal ministero stiano funzionando nel contrastare l'infezione.

Il sindacato Uil Scuola lo scorso 23 novembre, quando già si iniziava a pensare a una data per la ripartenza, sottolineava come il tracciamento del virus fosse completamente assente nelle classi. E come il monitoraggio in mano alle Asl, su cui nel frattempo pesa tutta la gestione dei positivi e dei loro contatti, non fosse destinato a funzionare. Il sistema di tracciamento, visto l'altissimo numero dei contagi, era andato in tilt ovunque e, di conseguenza, i dati sulla scuola erano semplicemente assenti. Ma allora, non sapendo quali fossero i numeri dei contagi in classe, come faceva il ministero a dire che le scuole fossero un luogo sicuro? E come faceva il Comitato tecnico scientifico ad insistere per la riapertura?

Al 30 novembre, però, alcuni dati saltano fuori. Il ministero risponde alla richiesta Foia (l'istanza di accesso generalizzato) di Wired circa il numero di studenti e lavoratori della scuola che hanno contratto il Covid-19. Al 31 ottobre questi, afferma il ministero, sono 64.980. Chiaramente è impossibile sapere se si sono contagiati a scuola, sull'autobus, piuttosto che a casa, vista la mancanza di tracciamento. Ma questo dato ci dice già qualcosa in più rispetto alle sole percentuali comunicate dal ministero. E cioè che una classe su tre è a rischio. In media, in una ogni tre aule si verificano dei contagi, esponendo non solo gli studenti al pericolo di contrarre l'infezione, ma anche tutte le loro famiglie e la loro cerchia di contatti.

Dove sono i test rapidi?

C'è poi il capitolo dei test rapidi. Il 29 settembre, a scuola già ricominciata, il Comitato tecnico scientifico dà il via libera all'utilizzo di questi test nelle scuole. Arcuri ne chiede subito 5 milioni e stabilisce che l'offerta per la fornitura sia presentata entro l'8 ottobre. Ma nelle settimane successive, così come accade in tutto il Paese, il sistema di tracciamento crolla anche nelle scuole. L’11 novembre, in un’intervista, Azzolina ammette che il contact tracing nelle scuole è saltato e punta il dito contro le Asl: "Il ministero dell'Istruzione da metà agosto chiede i test rapidi. Il commissario Arcuri ne ha comprati 13 milioni: è importante farli nelle scuole, perché così si evita di mandare in quarantena intere classi. Io i test li chiedo da metà agosto. Ma non bisogna pensare alla scuola come un problema ora, perché la scuola è un formidabile mezzo di tracciamento. Il problema di fondo è che le Asl sono in affanno".  Il 18 novembre, parlando della riapertura dopo la seconda ondata, la ministra aggiunge: "I test rapidi devono essere fatti nelle  scuole. Li chiediamo da tempo e so che il  commissario Arcuri ne ha comprati in gran quantità e serve una buona organizzazione per farli anche nelle scuole". Ma a quel punto gran parte delle scuole nel Paese sono già chiuse.

La scuola italiana non è attrezzata per le lezioni online

Con il Dpcm del 3 novembre torna la didattica a distanza. Ma le scuole non sono pronte. Secondo un’indagine del portale Skuola.net del 12 settembre, 1 alunno su 5 non dispone di un dispositivo elettronico personale su cui poter studiare (nel Mezzogiorno si arriva a 2 alunni su 5). C’è anche un problema di connessione sul territorio nazionale. Secondo l’Istat in Italia 1 famiglia su 4 non ha un accesso internet a banda larga (per poter sostenere le attività di didattica a distanza). Al Sud questa mancanza interessa il 30% delle famiglie. Inoltre, spesso gli insegnanti non hanno inoltre ricevuto la preparazione necessaria per poter gestire le lezioni online.

La riapertura in disordine dopo Natale

Le scuole rimangono chiuse per circa due mesi: lo resteranno fino a dopo Natale. Già a dicembre il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, chiedeva che gli studenti tornassero in classe il prima possibile, pur ammettendo di non conoscere i dati dei contagi nelle classi. Le preoccupazioni per una seconda ondata e la curva in risalita hanno però tenuto gli studenti a casa fino al termine delle vacanze di Natale. Durante le feste il ministero insiste affinché subito dopo l'Epifania gli studenti tornino in classe, definite anche dagli esperti un luogo sicuro. Ma le autorità locali non la pensano allo stesso modo e quasi tutti, andando nella direzione contraria a quella per cui preme il governo centrale, firmano delle ordinanze per ritardare la riapertura delle scuole, convinti che questa possa far riscoppiare i contagi. Il 18 gennaio le scuole superiori della zona gialla riaprono in modo disordinato, seguendo le ordinanze regionali più che una direttiva nazione. E non mancano i problemi: in tutta Italia si registrano mezzi pubblici stracolmi e assembramenti davanti agli istituti.

Delle difficoltà che si continuano a registrare. E con la diffusione delle varianti che preoccupa medici e scienziati e la richiesta di una stretta generale alle misure anti-contagio richiesta dagli esperti, sempre più scuole rischiano di essere costrette a richiudere i battenti.

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