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Opinioni

Siamo un Paese razzista, prendiamone atto

Forse non lo eravamo e lo siamo diventati. Ma ora lo siamo. Non c’è dubbio alcuno. E del nostro razzismo dobbiamo prendere atto. Registrare lo stato retrivo della nostra società. Solo essendo consci di questa situazione potremo provare a risolverla.
A cura di Federico Mello
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Viene da chiedersi: quando è ricominciato tutto? Quando l'immigrazione è tornata ad essere un problema di ordine pubblico, quando il rigurgito razzista ha ripreso a vomitare il suo odio sociale?

La risposta è semplice: da quando abbiamo un ministro di origine africana. «Un ministro non “di colore” ma nero» come dice la stessa Cecile Kyenge. Al momento della sua nomina qualcuno ha storto la bocca. «In un paese normale – il ragionamento – gli immigrati sono medici, avvocati, notai e parlamentari. Relegare al ministero dell'integrazione una donna di origine africana, vuol dire ghettizzare gli immigrati. In un altro Paese non succederebbe mai».

Sulla carta il ragionamento fila. Il problema, però, è che in Italia, dove di fatto non esiste mobilità sociale, l'integrazione è un miraggio allo stato puro. Non abbiamo immigrati tra i professionisti, non tra i professori universitari, nessuno tra gli anchorman che ci fanno compagnia dagli schermi televisivi. Così come i figli di operai, da noi, continuano a fare gli operai, così gli immigrati, di prima e seconda generazione, si scontrano contro un soffitto di vetro che trasforma il colore della pelle in una colpa.

Siamo un Paese razzista, forse non lo eravamo e lo siamo diventati. Ma ora lo siamo. Non c'è dubbio alcuno.

Cecile Kyenge è stata nominata ministro il 28 aprile 2013, meno di un mese fa. Qualche giorno dopo, a Padova, vicino a una scuola, compare una scritta: “L'Italia non è meticcia! Kyenge rimpatriata subito”. I siti neo-nazi si scatenano: “Scimmia congolese”, “Governante puzzolente”, “Negra”, “Vile essere”.

Il 5 maggio la Kyenge è ospite di Lucia Annunziata a “In mezz'ora”. Lì lancia la sua proposta: «Sì alla cittadinanza italiana per chi è nato nel nostro Paese». Così comincia una pioggia battente di insulti che dura ancora oggi. E che peggiora con il folle massacro perpetrato da Mada Kabobo – i deficienti ragionano così: se c'è un ghanese pazzo e criminale, tutti gli immigrati lo solo.

A Macerata, un'altra scritta: “Kyenge torna in Congo”. Poi interviene il leghista Matteo Salvini – che verrà smentito da Roberto Maroni – : «I clandestini che il ministro di colore vuole regolarizzare – la sua dichiarazione – ammazzano a picconate: Cecile Kyenge rischia di istigare alla violenza nel momento in cui dice che la clandestinità non è reato, istiga a delinquere».

Altre scritte a Pistoia: “Kyenge fuori dai coglioni”, “Sparate alla Kyenge, non ai carabinieri”. Non poteva poi mancare il solito, squallido, Borghezio: «Il ministro? – dice a La Zanzara – Mi sembra una brava casalinga, non un ministro del governo. Balotelli l’ha accolta con favore? Ma lui non fa il ministro, tira calci al pallone e va bene anche un congolese o un africano per farlo. E poi gli africani sono africani appartengono a un etnia molto diversa dalla nostra. Non hanno prodotto grandi geni».

E ancora ieri, a Roma, Forza Nuova diffonde un volantino con frasi del tipo: “L’immigrazione uccide. No Ius soli. Kyenge dimettiti”. Non ha aiutato a svelenire il clima neanche un post del capo del secondo partito italiano. In un rigurgito destrorso, che periodicamente torna per strizzare l'occhio al forza-leghismo, Beppe Grillo si è chiesto: “Quanti sono i Kabobo d'Italia? Centinaia? Migliaia? Dove vivono? Non lo sa nessuno”. Tirando fuori anche casi di violenza ad opera di immigrati, Grillo ha subito raccolto il plauso di Ignazio La Russa.

Sono solo alcuni esempi di una dibattito pubblico incivile, di un odio strisciante che si fa interprete di chi crede ancora, istintivamente, negli stereotipi razziali. Fare finta che tutto ciò non esista, non sia vero, pensare che sia un “danno” un ministro nero all'integrazione, vuol dire non partire dalla realtà nella quale viviamo. Dobbiamo prendere atto, invece, del nostro razzismo. Registrare lo stato retrivo della nostra società, renderci conto che, per chi non è bianco e italiano, ruoli apicali e prestigiosi sono banditi: “per tirare calci ad un pallone va bene pure un africano” la logica segregazionista di Borghezio.

Solo essendo consci di questa situazione potremo provare a risolverla. Solo capendo che serve lo Stato, le leggi, educazione e cultura, potremo fare un passo avanti. E forse, almeno su questo, dovremmo ammettere che, no, destra e sinistra non sono uguali. Chi lo dice lo fa soltanto per racimolare qualche voto sciacallando sulla pelle di persone in carne e ossa. Lo fa per fatturare, non certo per cambiare in meglio il Paese.

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35 anni, leccese, giornalista. Sono stato blogger, poi Annozero, Il Fatto Quotidiano e Pubblico. Ho scritto «Il lato oscuro delle stelle» : http://goo.gl/nCnaI
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