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La battaglia di Renzi contro il reddito di cittadinanza è un flop: solo 5mila firme per cancellarlo

L’ex premier aveva annunciato una grande mobilitazione in tutta Italia. Ma non ha mai avviato la campagna di sottoscrizioni per il quesito referendario, né è stato istituito un comitato promotore. E va male anche l’iniziativa simbolica sul sito di Italia viva. M5S attacca: “Abituati alle sue sparate”.
A cura di Stefano Iannaccone
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Il Reddito di cittadinanza è al centro di una furiosa battaglia politica, come accade ormai dalla sua istituzione. C’è infatti chi, come il centrodestra e Italia viva, vuole la cancellazione e chi, come il Pd e ovviamente il Movimento 5 Stelle, vuole conservarlo e al massimo fare qualche miglioramento. Ed è difficile prevedere come andrà a finire. Di sicuro c’è un altro punto: sulla legge, nel 2022, non si terrà alcun referendum, nonostante gli annunci dei mesi scorsi fatti da Matteo Renzi e dai principali esponenti di Iv. La raccolta firme, di fatto, non è mai iniziata.

Del resto anche sul sito ufficiale di Italia Viva la simbolica petizione online, lanciata ad agosto, ha ottenuto risultati deludenti: le sottoscrizioni, dopo oltre due mesi, sono a quota 4.930, meno della metà rispetto all’obiettivo minimo fissato di 10mila firme. In media sono poco meno di 70 al giorno, tutt’altro che un movimento di massa. E peraltro per l’adesione sarebbe sufficiente l’inserimento di un semplice indirizzo mail, a patto che sia funzionante. Niente richieste di documenti particolare, né la necessità di avere lo Spid.

Le intenzioni bellicose sulla raccolta firme per una consultazione popolare sono così state accantonate. “La verità è che noi dobbiamo prendere 500mila firme, casa per casa, tavolino per tavolino. E le prenderemo con una straordinaria mobilitazione di Italia Viva, comune per comune”, scriveva Renzi nella sua news del 9 agosto, prefigurando una grande campagna. L’ex presidente del Consiglio aveva lanciato un guantone di sfida sul Rdc: “Sono certo che appena vedranno mezzo milione di persone pronte a chiedere il referendum sul Reddito di cittadinanza, gli altri partiti abbandoneranno i toni polemici e il sarcasmo di queste ore”. Infine, Renzi indicava la necessità di dare un timing alla sua iniziativa: “Stiamo stilando il calendario preciso della raccolta firme”. Anche perché, al netto delle proroghe, la scadenza per la consegna delle firme in Corte di Cassazione è fissata per legge al 30 settembre. Tuttavia, i banchetti non sono mai stati allestiti, né ad agosto né nelle settimane successive. E, in realtà, non risulta la costituzione di un comitato promotore, necessario per avviare il progetto referendum.

Eppure, per giorni, Italia viva ha continuato a premere sull’acceleratore. In primis il deputato Luigi Marattin, presidente della commissione Finanze alla Camera e da sempre nemico giurato del Rdc: “Ci aspettiamo l’adesione di chiunque abbia a cuore la cultura del lavoro, integrata dal sacrosanto sostegno per chi rimane indietro, e non dell’assistenzialismo”, disse in un’intervista, immaginando il supporto di numerose forze politiche. Anche la capogruppo alla Camera, Maria Elena Boschi, scandiva a inizio settembre: “Il referendum sul reddito di cittadinanza proposto da Italia Viva ha già avuto l’effetto positivo di portare tutti i partiti a chiedere di cambiare quello che, fino a quel momento, sembrava intoccabile”.

Un altro pasdaran renziano, il deputato Luciano Nobili, twittava, rilanciando una dichiarazione al Tg2: “Oggi a Ponte di Legno con i 500 ragazzi della scuola di formazione #MeritarelEuropa che vogliono futuro e competenze, presentiamo il referendum per cancellarlo ed utilizzare quelle risorse per creare lavoro”. E sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizzava, qualche giorno dopo, il presidente dei senatori di Iv, Davide Faraone: “Abbiamo il dovere di riconoscere che da quando è stato posto il tema del referendum sul reddito di cittadinanza da Italia Viva da parte di tutte le forze politiche ci sia stata una riflessione comune sul fatto che vada modificato”.

Ma il referendum era solo una creatura mediatica. “Ormai siamo abituati alle sparate di Renzi”, dice a Fanpage.it il deputato del Movimento 5 Stelle, Sebastiano Cubeddu. “Qualche mese fa – aggiunge il parlamentare del M5S – è arrivato addirittura a dichiarare di voler cancellare il Reddito di cittadinanza per riaffermare l’idea che ‘la gente deve soffrire'. È evidente che non sa di cosa sta parlando. Due percettori su 3 sono bambini, ragazzi, anziani, persone diversamente abili”.

Il progetto referendum, quindi, si è arenato. Perché se dalla sede virtuale del sito, si conta il 49% dell’obiettivo minimo, è ancora più complicato prevedere una mobilitazione popolare nei prossimi mesi. Del resto nemmeno la novità della firma digitale, introdotta proprio ad agosto, ha cambiato le carte in tavola: Italia viva non ha aperto le danze per raccogliere le sottoscrizioni. E non si può dire sia una questione di tempi: la mobilitazione sulla cannabis, che in pochi giorni ha raggiunto il traguardo della 500mila firme, è iniziata molto dopo rispetto alla famosa enews firmata Renzi.

Certo, Iv ha garantito di voler promuovere la consultazione il prossimo anno. Il rinvio, però, rischia di essere definitivo: nella migliore delle ipotesi dovrebbe essere calendarizzata nel 2023, anno in cui sono in programma le Politiche. Così, alla alla fine, sarà il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in accordo con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, a dire cosa vorrà davvero farne. Con il referendum finito nel cassetto delle provocazioni per la soddisfazione del Movimento 5 Stelle: “Il fatto che in Manovra vi sarà un potenziamento delle risorse destinate al Reddito di cittadinanza – chiosa Cubeddu – è un segnale inequivocabile che la strada tracciata è quella giusta. Noi siamo in prima linea per migliorarlo e renderlo più efficace, ma chi si batteva per la sua cancellazione si rassegni”.

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