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Opinioni

Perché è tutta l’Italia che si deve inginocchiare, non solo la nazionale

Dietro a una nazionale che non sa che fare di fronte a un gesto contro il razzismo c’è un Paese che non sa fare i conti col proprio quotidiano razzismo. Che dovrebbe inginocchiarsi in massa per i lavoratori che muoiono nei campi, per i migranti suicidi nei centri di permanenza, per i sindacalisti ammazzati, per i lavoratori della logistica sfruttati, per i migranti morti in mare e per quelli che teniamo lontani, pagando signori della guerra e dittatori. È questo ciò di cui dobbiamo imbarazzarci: non dei balbettii di Bonucci e delle gaffe di Chiellini.
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La nazionale che si inginocchia a metà, che poi non si vuole più inginocchiare, che poi si inginocchia per solidarietà se lo fa anche la squadra avversaria. I silenzi di Mancini, l’addetto stampa della nazionale che blocca le domande sul tema perché “qui si parla solo di calcio”, i balbettii di Bonucci, la gaffe di Chiellini che confonde razzismo e nazismo. Se cercate motivi di imbarazzo o di vergogna, o anche solo un pretesto per puntare il dito contro i calciatori ignoranti e disimpegnati della nostra nazionale – mentre altrove, dal Belgio alla Germania, dal Galles alla stessa Ungheria, si moltiplicano i gesti simbolici di un Europeo che sta diventando giorno dopo giorno l’evento sportivo più politico di sempre – ne avete da buttar via.

Però, forse, sarebbe il caso di guardare un po’ oltre il dito. E di chiedersi se i nostri azzurri, in qualche modo, non siano essi stessi lo specchio riflesso di un Paese che deve – dovrebbe – fare i conti quotidianamente con la vergogna e l’imbarazzo dei suoi piccoli e grandi razzismi quotidiani.

Ad esempio, giusto ieri, ci saremmo dovuti inginocchiare tutti per Camara Fantamadi, morto a 27 anni per un malore dopo aver lavorato per ore nei campi del brindisino, per sei euro l’ora.

Oppure, già che c’eravamo, potevamo inginocchiarci per Musa Baldé, 23 anni, guineano, morto suicida nel Cpr di Torino, dov’era entrato dopo che a Imperia, tre italianissimi patrioti l'avevano pestato a sangue con spranghe pugni e calci.

Qualche secondo in ginocchio se lo sarebbe meritato pure Adil Belkhadim, sindacalista dei lavoratori della logistica, 37 anni e due figli, investito, trascinato per una decina di metri e ucciso da un camion che ha forzato il blocco dei lavoratori che protestavano per le condizioni inumane in cui lavoravano, davanti ai cancelli di un magazzino di Biandrate, in provincia di Novara.

E già che c’eravamo, potevamo pure rimanere in ginocchio per un po’ per onorare  la memoria delle oltre cinquecento anime morte per arrivare in Europa dalla Libia nei soli primi mesi del 2021, o per le oltre 30mila che già riposano da qualche anno in quelle acque, o dei milioni di profughi che teniamo imprigionati in Libia, a Lesbo o nei campi profughi della Turchia, in cambio di fiumi di denaro elargiti a dittatori e signori della guerra, perché “altrimenti in Europa vincerebbero le destre“.

Ecco: magari quando vi imbarazzate per Bonucci e Chiellini, magari pensate pure a loro, a tutto quel che c’è dietro quelle ginocchia che si piegano, a quello sguardo a terra, a chi quotidianamente subisce quel razzismo che vogliamo combattere a suon di simboli, come se una maglia azzurra che si inginocchia può emendarci da ogni responsabilità. E poi provateci voi, proviamoci noi, a stare in piedi, senza fare i conti con il nostro imbarazzo e con la nostra vergogna.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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