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Migrante suicida nel Cpr di Torino, dopo l’aggressione Musa è stato lasciato solo

Nessun supporto psicologico per Musa, il migrante morto suicida a 23 anni nel Cpr di Torino due settimane dopo essere stato pestato da tre italiani a Ventimiglia. Il giovane originario della Guinea, già espulso dal territorio italiano perché irregolare, era stato portato subito dopo le dimissioni dall’ospedale della città ligure nel Centro di permanenza per i rimpatri del capoluogo piemontese. L’ultimo a vederlo è stato l’avvocato Gian Luca Vitale che si occupava del caso: “Era molto provato e mi ha chiesto perché fosse lì”.
A cura di Chiara Ammendola
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La procura di Torino ha aperto un'inchiesta sulla morte di Musa Balde, il migrante morto suicida a 23 anni nel Cpr del capoluogo piemontese, a due settimane di distanza dall'aggressione avvenuta a Ventimiglia dove era stato preso a sprangate da tre uomini. Sono infatti tanti i punti da chiarire sul decesso del giovane originario della Guinea che si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola recuperate nella stanza del Centro di permanenza per i rimpatri dove era arrivati nei giorni scorsi in attesa di essere rimpatriato. Lo sa bene l'avvocato che si era occupato del caso dopo l'aggressione subita da Musa: "L'ho incontrato due volte, giovedì e venerdì scorso – spiega il legale Gian Luca Vitale – era molto provato e mi ha chiesto perché fosse lì". Secondo Vitale il 23enne non ha ricevuto il supporto adeguato dopo l'aggressione del 9 maggio scorso. "Quando gli ho mostrato il video in cui viene aggredito dai tre uomini – continua il legale – mi ha spiegato che quegli uomini lo hanno aggredito mentre chiedeva l'elemosina e non perché aveva provato a rubare un cellulare come invece hanno raccontato".

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Subito dopo essere stato malmenato dai tre italiani, Musa era finito in ospedale e dopo le dimissioni con una prognosi di dieci giorni a causa delle ferite riportate è stato trasferito nel Cpr di corso Brunelleschi a Torino, dove si è consumata la tragedia nella notta tra sabato e domenica. Secondo l'avvocato Vitale, il 23enne non si dava pace per essere stato chiuso in quella struttura, e soprattutto perché sarebbe stato rimpatriato di lì a breve visto che era già stato espulso in passato. Una situazione psicologica piuttosto fragile che necessitava di particolare attenzione, così come confermato anche da Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale: "Una persona affidata alla responsabilità pubblica – dice Palma – deve essere presa in carico e trattenuta nei modi che tengano conto della sua specifica situazione, dell'eventuale vulnerabilità e della sua fragilità. Questo non è avvenuto".

Migrante si suicida dopo aggressione: aperta inchiesta sulla sua morte

Monica Gallo, garante per i detenuti del comune di Torino e referente per il monitoraggio delle condizioni delle persone accolte proprio nel Centro di corso Brunelleschi spiega: "Musa era estremamente vulnerabile, sono addolorata – non so quante visite psicologiche psichiatriche abbia ricevuto, ma quel caso doveva avere la massima attenzione". Intanto proprio la garante Gallo si è messa in moto per tentare di rintracciare i parenti del giovane migrante in Guinea, mentre la procura di Torino ha aperto un'inchiesta per permettere gli accertamenti necessari a chiarire cosa sia accaduto.

Sulla vicenda sono intervenuti anche gli attivisti di Lasciateci entrare, associazione che si occupa del monitoraggio all'interno dei Cpr. "Balde non riusciva a capire perché fosse stato rinchiuso in quella struttura – scrivono in un lungo post di denuncia pubblicato quest'oggi – l'ultima persona ad avere parlato con lui è stato il suo avvocato difensore, Gianluca Vitale che, notando la fragilità del suo stato psicologico aveva infatti chiesto una perizia a un importante centro che si occupa di vulnerabilità psichica dei migranti". Quella di Musa non è l'unica morte registrata nel Cpr di corso Brunelleschi: nel 2019 il caso di un migrante bengalese di 32 anni, vittima di violenza all’interno dello stesso centro e posto in isolamento punitivo per 22 giorni.

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