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Pace fiscale, come cambia il decreto sul condono

Dopo lo scontro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, il decreto fiscale, contenente le norme sul condono, potrebbe cambiare nel Consiglio dei ministri che verrà convocato per sabato. La misura, ad oggi, tiene insieme due elementi opposti tra loro: da una parte il maxi-condono e dell’altra la lotta all’evasione. Quali sono i possibili compromessi che M5s e Lega potrebbero trovare.
A cura di Stefano Rizzuti
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Lo scontro all’interno del governo sul decreto fiscale e sul condono dovrebbe trovare una soluzione domani, quando si riunirà il Consiglio dei ministri per rimettere mano alla norma e capire in che modo venire incontro alle richieste del MoVimento 5 Stelle dopo le accuse lanciate da Luigi Di Maio. Matteo Salvini sarà presente al Cdm, nonostante le minacce iniziali di disertare. Ma una soluzione sembra ancora essere lontana. Per uscire dall’impasse le possibilità non sono molte, soprattutto per riuscire a non scontentare Lega o M5s. Il Corriere della Sera prova a fornire alcune opzioni e spiega cosa potrebbe succedere, ripercorrendo tutta la vicenda. Sostanzialmente, o si sceglie di eliminare la depenalizzazione del reato (con conseguente fallimento del condono) o si opta per l’esclusione dalla sanatoria dei proventi provenienti dall’estero o, ancora, si decide di abbassare il tetto di reddito da regolarizzare.

Il decreto fiscale e il condono

Il decreto legge da una parte opera un maxi-condono, dall’altra raddoppia il periodo di accertamento per i contribuenti che non presentano la dichiarazioni integrativa di redditi evasi. Come spiega il Corriere, si tratta di due elementi in parte opposti, perché si dice sì a un condono ma anche a una maggiore lotta all’evasione. Ad oggi, prima del decreto, è possibile presentare dichiarazione integrativa allo scopo di far emergere i redditi di chi ha evaso. Ma c’è una differenza sostanziale: con il decreto non si pagherebbe più la somma per intero, come avviene oggi, ma con una aliquota forfettaria ridotta del 20%. E in rate di cinque anni, senza interessi e senza sanzioni. La dichiarazione integrativa potrebbe essere utilizzare per far emergere evasione fino a 100mila euro.

Le norme attuali prevedono che si cancelli la punibilità dei reati tributari pagando l’imposta in misura piena. Se il decreto dovesse, come finora previsto, introdurre una riduzione, la cancellazione della punibilità dovrebbe essere resa esplicita nel testo. Altrimenti, difficilmente qualcuno farebbe la dichiarazione integrativa sapendo di dover rispondere di reati tributari. In sostanza, senza la depenalizzazione il condono non avrebbe senso. Nel testo si prevede anche un altro passaggio: la depenalizzazione viene allargata anche a reati molto gravi extra-tributari, come il riciclaggio e l’autoriciclaggio.

Per la lotta all’evasione, invece, il decreto prevede tre anni in più per effettuare gli accertamenti, con i termini che diventerebbero così di sette anni per la dichiarazione infedele e di otto per l’omessa dichiarazione. Ma le norme anti-evasione colpiscono solo quelli che vengono definiti evasori pesanti. Per tutti gli altri, invece, è un vero e proprio condono tombale con tanto di depenalizzazione.

Come potrebbe cambiare il decreto

Come detto, le soluzioni non sono molte. Se si eliminasse la depenalizzazione, il condono praticamente non avrebbe più senso di esistere e nessuno farebbe dichiarazione integrativa. Se si mantenesse, invece, il M5s dovrebbe accettare il condono. Secondo il Corriere, un compromesso potrebbe essere l’eliminazione dalla sanatoria dei proventi da immobili e attività finanziarie detenuti all’estero, che effettivamente non erano compresi nella prima bozza del decreto. Altra possibilità è quella di abbassare il tetto dei redditi da regolarizzare, escludendo anche riciclaggio e autoriciclaggio. In sostanza, si passerebbe da un maxi-condono a un condono più leggero.

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