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Opinioni

Letta e i suoi fratelli (degli anni novanta)

I quarantenni al potere hanno la responsabilità di un governo che dovrà prodigarsi nel tentativo di “tenere in piedi” un sogno per il futuro (o meglio quelle poche speranze residue rimaste). Sono quelli degli anni ottanta a dover salvare i loro fratelli minori.
A cura di Federico Mello
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Il subuteo, gli huppie, le prime discoteche, i Duran Duran "per cuccare". Con Enrico Letta al governo, e i nuovi quarantenni al potere – sotto l'egida dei "nonni" Napolitano e Berlusconi – gli anni ottanta vanno al governo. Questo il succo di quanto scritto sul Corriere della Sera da Aldo Cazzullo. Una generazione, dice l'editorialista del Corriere della Sera, "senza grande interesse per la politica, incapaci di solidarietà reciproca, persuasi che il successo fosse un fatto esclusivamente personale e la massima soddisfazione fosse fregare il vicino di banco". Si sa, i racconti "generazionali" non possono che essere "un tanto al chilo", non possono che procedere per generalizzazioni, sintesi collettive di storie che alla fine risultano pur sempre individuali.

Eppure, nella gerontocrazia italiana, se questa è l'ora dei quarantenni, anche i trentenni, i nati negli anni settanta, costituiscono – ancora di più per il loro profilo maggiormente digitale – un enorme deposito di competenze e culture professionali dalle quali attingere. Per questo, da nato del '77, ("chiedi a 77 se non sai come si fa" cantava Giovanni Lindo Ferretti) è forse interessante tracciare un profilo della generazione post Enrico Letta, quella dei suoi fratelli minori e connessi.

E gli anni ‘novanta, allora, sono quelli di Corona, dance spinta in stile "this is the rhythm of the night", delle disco di pomeriggio e degli 883, della provincia che sogna l'Hurley: con un deca non si può andar via. Ma gli anni novanta sono anche quelli del Denim, degli odori di adolescenti grunge, di Kurt Cobain che saluta tutti, da Roma, addio, Rape me my friend, rape me again.

E ancora, Non é la Rai massima summa di brufolose pulsioni giovanili, ma anche Dylan, quello di Beverly Hill che con il suo mento squadrato faceva innamorare le ragazzine come fa oggi il bimbominkia canadese Justin Bieber. Non c'erano i tatuaggi, allora, non ancora, ma c'erano i Ronaldo e il Brasile, i pentium e Windows '95 con tanto di file manager, la Playstation e i primi cellulari Tacs. Ma gli anni Novanta, soprattutto, per quelli che avevano vent'anni allora, era la generazione della salvezza. "È finita la storia" dichiarava lo studioso giapponese Francis Fukuyama: dopo la caduta del Muro e del comunismo il mondo si sarebbe scongelato, il capitalismo avrebbe trionfato diffondendo ovunque ricchezza e democrazia. E i "novanta" c'avevano creduto. C'era un altro studioso, Samuel Huntington, che diceva: adesso arriverà lo scontro di civiltà, i conflitti saranno su base religiosa. Ma chi ci voleva credere? L'undici settembre era di la' da venire, l'economia pompava, l'euro, l'Europa che avrebbe seppellito per sempre la guerra fredda, era dietro l'angolo, in California la New Economy sfondava ogni dubbio, ogni listino; "come ci farete soldi da sti siti web?" chiedeva la mamma, allora ci credevamo ancora: un modo lo troveremo.

I Novanta sono stati così, gli anni della promesse. Umberto Eco faceva proseliti in Scienze della Comunicazione, a Bologna in tremila facevano il test per entrare tra i duecento fortunati. L'economia, d'altronde, sarebbe diventata immateriale, serviva la pubblicità, l'editoria, la semiotica: tutto il resto è noia.

Questo il sogno che ci era stato consegnato. Questo lo spirito che sboccia a Seattle prima e a Genova poi: quello di una generazione che si sentiva fortunata, e non lottava per i suoi salari, per i suoi diritti, no. Lottava per una globalizzazione più giusta, per i diritti dei popoli, contro gli sweat-shop, per l'acqua, per il bilancio partecipativo di Porto Alegre.

Presto, sarebbe cambiato tutto. Gli aerei sulle torri gemelle, il crollo del Nasdaq, l'osannata flessibilità che diventa precarietà a vita, la crisi: né case, né lavoro, né mutui: la laurea in scienze della comunicazione meno utile di un diploma all'Istituto agrario.

Questo il sogno infranto dei Novanta: quelli dell'Erasmus, del "tutto intorno a te", si sono trovati con prospettive peggiore dei loro genitori. Quelli che dovevano portarci a fronte alta il terzo millennio, si sono trovati a rimorchio dei padri, a chieder loro una firma sotto un plico di moduli per farsi fare un mutuo, ad urlare: fateci sopravvivere, almeno.

Questa la generazione dei novanta, questi i fratelli minori, genialoidi e sfigati, degli Enrico Letta. Agli ottanta il compito di dar loro le occasioni alle quali, ormai, non credono più. Se "la fine della storia" era l'illusione dei primi intellettuali globali, oggi, nel "mondo piatto", almeno un sogno per il futuro va tenuto in piedi. Meritiamo un tentativo, l'ultimo rantolo prima di morire sotto la clava della rabbia e dei vaffanculo.

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35 anni, leccese, giornalista. Sono stato blogger, poi Annozero, Il Fatto Quotidiano e Pubblico. Ho scritto «Il lato oscuro delle stelle» : http://goo.gl/nCnaI
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