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Le parole ‘ministra’ o ‘senatrice’ non entrano nel linguaggio del Senato: bocciata proposta M5s

Bocciato l’emendamento al nuovo regolamento del Senato, che avrebbe introdotto la parità di genere nel linguaggio istituzionale.
A cura di Annalisa Cangemi
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Poteva essere una piccola rivoluzione culturale, e invece nessun passo avanti per la parità di genere per il nuovo regolamento del Senato. Non è stato approvato l'emendamento del M5s, presentato dalla senatrice a Maiorino, che è stato votato a scrutinio segreto, su richiesta di Fratelli d'Italia. La norma avrebbe introdotto nel linguaggio istituzionale scritto i termini ‘ministra' e ‘senatrice', oppure ‘la presidente', in pratica la declinazione al femminile per tutti i ruoli, con l'abbandono del genere unico. La proposta aveva ottenuto il parere favorevole dei relatori nella Giunta per il Regolamento di Palazzo Madama, e per entrare in vigore avrebbe dovuto ottenere l'ok dall'Aula. Ma la proposta ha ricevuto solo 152 voti favorevoli, non sufficienti a raggiunge la maggioranza assoluta necessaria per questa votazione (60 i voti contrari e 16 astenuti).

Via libera invece alla riforma del regolamento del Senato con 210 voti favorevoli, 11 contrari e 2 astenuti. La modifica al regolamento del Senato si è resa necessaria dopo la riforma costituzionale ha ridotto di un terzo i parlamentari, portando i senatori a 200 e i deputati a 400. Il nuovo testo entrerà in vigore dalla prossima legislatura, così come il taglio dei parlamentari. Resta incompiuta, salvo sorprese, la riforma del regolamento della Camera dove le modifiche sarebbero dovute essere approvate a giorni

Ma niente da fare per la parità di genere nelle comunicazioni ufficiali a Palazzo Madama, non sarà previsto "l'utilizzo di un linguaggio inclusivo". In base al testo il "Consiglio di presidenza stabilisce i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell'attività dell'amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l'adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l'utilizzo di un unico genere nell'identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne". Inoltre le proposte di adeguamento del testo sarebbero passate al vaglio della Giunta per il Regolamento.

Le proteste

Molte le contestazioni procedurali in Aula, soprattutto da parte del M5s, ma la presidente Elisabetta Casellati le ha respinte, definendole "pretestuose e inaccettabili".

Insorge il Pd: "Ciò che è avvenuto oggi al Senato è gravissimo. Fratelli d'Italia con la complicità di tutta la destra ha manifestato cosa pensa del ruolo delle donne nella società, chiedendo il voto segreto sull'emendamento che avrebbe consentito di utilizzare la differenza di genere nel linguaggio ufficiale di un'istituzione importante come Palazzo Madama. I nodi vengono al pettine", ha commentato la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione Femminicidio. "Il linguaggio è un fattore fondamentale di parità. Verbalizzare la differenza vuol dire riconoscerla, negarla vuol dire chiedere l'omologazione. Il ruolo non è neutro, è maschile. Impedire alle donne di essere riconosciute nel ruolo che svolgono significa dare per scontato che quel ruolo sia appannaggio maschile. Il tema non si è mai posto per maestra o infermiera, chiediamoci perché si pone per parlamentare o presidente. Negare questo passo di civiltà e di progresso a una delle più importanti istituzioni del Paese racconta molto dei rischi che una cultura reazionaria può innescare".

"Al Senato la destra affossa l'emendamento per introdurre nel regolamento la parità di genere nel linguaggio ufficiale. È evidente che di parità di genere non ne vogliono sentire neanche parlare. O con il loro oscurantismo o con noi. La scelta è tutta qui", ha commentato su Twitter la senatrice del Pd, Anna Rossomando.

"Respinto ora con voto segreto l’emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato la parità di genere nel linguaggio ufficiale. Se questo è l’anticipo del nuovo Parlamento, abbiamo un motivo in più per lottare con forza. La nostra Italia crede nell’eguaglianza", ha scritto su Twitter la senatrice Pd Monica Cirinnà.

"La destra chiede il voto segreto per affossare l'emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato la parità di genere nel linguaggio ufficiale. Questa è la destra reazionaria che vuole guidare il Paese: per loro le donne non esistono neanche nel linguaggio", ha detto la presidente dei Senatori Pd, Simona Malpezzi, su Twitter.

"Il voto del Senato contro la parità di genere nella comunicazione istituzionale è una vergogna Le parole sono importanti, chi vuole la parità la pratica anche nel linguaggio. Il sessismo della destra ha impedito si raggiungesse la maggioranza. O noi o loro, con noi la parità", ha affermato la dem Cecilia D'Elia.

"Al Senato oggi si è persa una grande occasione per rendere inclusivo e paritario il linguaggio istituzionale con la mancata approvazione dell'emendamento Maiorino al regolamento che aveva lo scopo di aprire all'uso della distinzione di genere nel linguaggio delle comunicazioni istituzionali e nel Regolamento. FdI lo ha ritenuto una questione ‘etica e di coscienza', chiedendo il voto segreto che la presidente Casellati ha prontamente concesso. È evidente la misoginia di chi ha votato contro rifiutando l'utilizzo del femminile e confermando così l'imposizione del solo maschile. Una vergogna a cui si dovrà porre rimedio nella prossima legislatura". Lo affermano in una nota le parlamentari e i parlamentari del Movimento cinque stelle del gruppo Pari opportunità.

"Eppure – continuano – l'emendamento non imponeva nessun obbligo ma apriva alla possibilità di scelta, che oggi non esiste in quanto nelle comunicazioni formali, nelle relazioni illustrative dei disegni di legge e nel Regolamento è prescritto solo il maschile. È triste constatare ancora una volta che gli italiani sono molto più avanti delle istituzioni che dovrebbero rappresentarli sul tema della parità di genere".

"Pur nel rispetto che il governo deve al Parlamento, segnalo che è grave quel che è accaduto oggi in Senato: l'ennesimo esempio di come ci si riesca a sottrarre a comuni responsabilità verso il Paese pensando che le cittadine e i cittadini non vedano e non sappiano mai. Realizzare la parità tra donne e uomini è creare sviluppo, è crescita, è democrazia per il nostro Paese. È stato ed è l'impegno del presidente Draghi e del governo". Lo sottolinea in una nota la ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti.

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