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Opinioni

Il governo Draghi logora chi lo sostiene: così Salvini e Conte si sono incartati da soli

Salvini e Conte non hanno atteso neanche i ballottaggi delle Comunali per aprire la polemica col governo Draghi. Pd e Forza Italia temono di restare col cerino in mano. Insomma, ride solo Giorgia Meloni.
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C’è un vecchio refrain che accompagna da sempre le analisi del voto delle Comunali: non si possono fare confronti con le politiche, non si devono trarre conclusioni da dinamiche locali. Considerazione di assoluto buonsenso, che però spesso finisce col diventare la giustificazione numero uno delle forze politiche deluse dal risultato delle urne. Questa tornata elettorale non ha fatto eccezione. Per quanto i fattori locali abbiano evidentemente avuto un peso decisivo nelle scelte degli elettori, leader ed esponenti politici di primo piano stanno utilizzando i risultati delle Comunali per rafforzare la loro posizioni o, di contro, per giustificare cambi di rotta e di strategia. Così, un voto locale che ha radici e ragioni piuttosto complesse è finito al centro del dibattito politico, soprattutto per le possibili ripercussioni sulla stabilità del governo guidato da Mario Draghi.

A essere del tutto onesti, però, non si faticherà a riconoscere che le posizioni espresse in queste ore dai vari Conte, Salvini, Renzi, non sono altro che l'esplicitazione di ciò che da tempo si mormora nei palazzi della politica, ma non si dice pubblicamente, se non in forma di retroscena e indiscrezione sui giornali. La verità è che da mesi c’è un elefante nella stanza della politica italiana: il ruolo ma soprattutto il futuro del Presidente del Consiglio al termine della legislatura. Nelle settimane immediatamente successive alla mancata elezione alla Presidenza della Repubblica, ci si è comodamente rifugiati nell’espressione "riserva della Repubblica”, che vuol dire tutto e niente. La complicatissima gestione della crisi in Ucraina ha poi fatto passare la questione in secondo piano, regalando una nuova ragion d’essere alla reggenza Draghi. L’avvicinarsi del termine della legislatura, però, impone ai partiti di cominciare a confrontarsi con l’ingombrante figura dell’attuale Presidente del Consiglio, a maggior ragione perché a lui toccherà gestire un autunno che si annuncia complicatissimo e una legge di bilancio rigorosa (aggettivo che si sposa poco con le necessità di leader in piena campagna elettorale).

La presenza di Draghi a Chigi è un problema strategico e prospettico praticamente per tutti. Meloni esclusa, s'intende.

Lo è per il Partito Democratico, che non può caricarsi da solo le critiche e la disillusione dei cittadini rispetto ai limiti di un esecutivo delle larghissime intese. Lo è per l’area centrista, un calderone eterogeneo di sigle, leader e visioni del mondo, che attende speranzoso un sì di Draghi che non arriverà mai. Del resto, piccolo inciso, non c’è una sola ragione al mondo per la quale il Presidente del Consiglio possa accettare di diventare il federatore di un’area che non esiste, che mostra un tasso di litigiosità interno in stile sinistra italiana anni ’90 e sul cui consenso elettorale è lecito avere dubbi. E lo è finanche per Forza Italia, che appunto deve ancora decidere da che parte stare, se contribuire alla ricostruzione della casa dei moderati / liberali, oppure ridursi a debole contrappeso moderato della destra egemonizzata da Meloni e Salvini: quest'ultima opzione non appare esattamente compatibile con il sostegno senza se e senza ma a un governo cannoneggiato ogni giorno da Fratelli d'Italia e anche da parte della Lega.

Il voto locale, infatti, ha rafforzato la corrente del Carroccio che da tempo chiede di rompere con il governo. Il ragionamento di base è chiaro: regalare a Meloni uno spazio di manovra così ampio, per giunta in un momento di insofferenza montante nei confronti dell'esecutivo (e in vista di un autunno caldissimo sul piano delle tensioni sociali), significa restare a guardare un lento travaso di voti dalla Lega a Fratelli d'Italia. I sondaggi sono impietosi: una recente rilevazione Noto segnala Fdi al 22,5% e la Lega al 15%, secondo un trend ormai consolidato. Il sostegno a Draghi vale una tale emorragia di voti? Salvini per il momento si rifugia nel politichese, alternando senso di responsabilità a minacce più o meno credibili ("Sindaci e militanti mi segnalano una crescente insofferenza verso un governo che appare sbilanciato a sinistra su troppi temi, serve un cambio di passo", dice al Corriere della Sera). Parlare di governo Draghi egemonizzato dalla sinistra fa abbastanza sorridere, ma rende bene l'idea dell'impasse in cui è finito il leader leghista. Il problema è che l'appoggio a Draghi nasceva da due necessità: partecipare alla gestione del Pnrr e accreditarsi sul piano internazionale in vista delle elezioni del 2023, quando Salvini avrebbe potuto aspirare al bersaglio grosso. È andata male su entrambi i piani, evidentemente.

Chiunque abbia scelto la via dell'equilibrismo è caduto rovinosamente. Conte e i 5 Stelle ne sono la plastica dimostrazione. Per mesi il capo politico dei grillini si è barcamenato in una posizione di compromesso, tra fronde interne e una corsa alla riconferma che lo sta lentamente logorando. Nessuno poteva aspettarsi che i cittadini premiassero bizantinismi politici o supercazzole programmatiche, ma in pochi avevano pronosticato una batosta di queste dimensioni. Del resto, la versione contiana del Movimento di lotta e di governo non può funzionare prima di tutto perché i 5 Stelle non lottano e non governano, sembrano impegnati in operazioni di piccolo cabotaggio e più interessati a restare in vita. E la linea del "non sono d'accordo ma obbedisco" non sembra la migliore per arrivare con un minimo di forza alle politiche del 2023. Già ora i sondaggi restituiscono percentuali intorno al 10% e sul campo non si arriva neanche in doppia cifra.

Tanto per essere chiari: almeno fino all'autunno, il governo non rischia nulla. Non ci sono le condizioni né il contesto per cambiare l'attuale assetto di governo. Ma saranno mesi complicati, di polemiche strumentali e operazioni di dubbia utilità; ci toccherà assistere ai penultimatum di Conte e Salvini, agli appelli alla responsabilità del Pd e di Forza Italia e ai tentativi di riposizionamento delle schegge impazzite della politica italiana. Con tutta la buona volontà, ma attendersi qualcosa di buono da un simile pastrocchio è sperare in un miracolo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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