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Covid 19

Fase due, i documenti del governo che spiegano come si decide se riaprire o chiudere di nuovo

Il nuovo Dpcm, il decreto del ministero della salute e il documento del Comitato Tecnico Scientifico spiegano quali saranno i criteri cui il governo si atterrà per il passaggio da una fase all’altra e per decidere quando e come allentare le misure di contenimento dell’epidemia da coronavirus. Un vero e proprio percorso a ostacoli verso il ritorno alla normalità. O meglio, alla “nuova” normalità.
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Nella comunicazione del governo, il Dpcm in vigore dal 4 maggio segna la partenza della cosiddetta “Fase 2”, che coincide con un sensibile allargamento delle aziende e delle imprese che possono tornare a lavorare a pieno regime, nonché con un leggero allentamento delle misure di restrizione delle libertà personali. Il decreto contiene anche una serie di misure per disciplinare la ripresa delle attività nei singoli settori, riportando tra gli allegati i protocolli sottoscritti con le parti sociali e i rappresentanti delle categorie. L’ultimo allegato, il numero 10, contiene invece maggiori dettagli su quello che è il piano complessivo del governo per traghettare il Paese verso la normalità. È un documento importante, perché aiuta a capire un punto centrale della strategia del governo: quando cadranno le altre misure di contenimento e in quali casi invece si procederà a ritroso, con nuovi lockdown (selettivi o no). Unitamente al documento presentato dal Comitato Tecnico e Scientifico (sul lavoro di ISS e con dati Inail e Istat) e al decreto del ministero della Salute sul monitoraggio del rischio sanitario, costituisce il fulcro della strategia complessiva del governo per l'uscita dal lockdown e per il progressivo passaggio tra le diverse "fasi".

Nel suo discorso in Parlamento, Conte ha spiegato come il monitoraggio del rischio sanitario sarà lo strumento che scandirà i ritmi del passaggio da una fase all’altra e la durata delle stesse. La scelta di abbandonare la Fase 1, ovvero il lockdown, è dettata da quella che il Comitato tecnico scientifico definisce “presenza di standard minimi di qualità della sorveglianza epidemiologica”; una strategia più articolata, invece, determinerà il passaggio da una fase all'altra o l'applicazione eventuale di lockdown selettivi, limitati cioè ad aree specifiche. Si tratta di valutazioni complesse, basate una serie di fattori e di indicatori, nonché sui report del Comitato tecnico scientifico del ministero della Salute e delle singole Regioni. Proviamo a capire qualcosa in più, incrociando le informazioni in nostro possesso.

Perché non è possibile riaprire tutto e dire addio al lockdown

Il Comitato tecnico scientifico ha consegnato al governo un report che prevede un’ampia serie di simulazione sui diversi scenari che verrebbero a determinarsi con le differenti ipotesi di riapertura. L’indicatore da tenere in considerazione è sempre R0, che, stando ai tecnici, al momento ha un valore che oscilla tra 0,5 e 0,7. Nella lettura del Comitato tecnico scientifico “è evidente dalle simulazioni che se R0 fosse anche di poco superiore a 1 (ad esempio nel range 1.05-1.25) l’impatto sul sistema sanitario sarebbe notevole”, dunque ogni ipotesi di riapertura va valutata con la massima cautela. Conte in Parlamento ha spiegato come a guidare le mosse del governo sarà ancora il principio di precauzione (nella sua doppia declinazione di carattere giuridico e scientifico), anche tenendo conto del fatto che la conoscenza scientifica sul tema è ancora lacunosa e non pienamente soddisfacente.

Il report fornisce ai decisori le stime epidemiologiche per 46 diversi scenari di riapertura con “suscettibilità omogenea per età” e per 46 scenari con “suscettibilità eterogenea per età”: si tratta di 92 configurazioni diverse della crescita di R0, che dipendono essenzialmente dai livelli di riaperture dei singoli settori e da come sarà tutelata la popolazione per fasce di età.

Lo studio è effettuato con lavoratori divisi in 7 macro-settori (servizi essenziali, salute pubblica, manifattura, commercio, edilizia, alloggi/ristorazione, altro), considerando quelli in smart working al pari di quelli inattivi e assumendo che nel caso di riapertura di alcuni settori produttivi ci possa essere un aumento dell’utilizzo dei trasporti sia da parte dei lavoratori che da parte del pubblico, con un aumento di contatti del 20%. Il range di opzioni messo a disposizione dai tecnici è molto ampio e non rende semplice la scelta del decisore politico. Si passa da uno scenario di “riapertura totale” (in cui R0 sale a 2,25 e determina una saturazione delle terapie intensive a inizio giugno, con un picco di oltre 150mila ricoveri in terapia intensiva), a quello di simil lockdown, con aperture minime e strettissimo controllo dell’età delle persone che tornano al lavoro (con R0 contenuto tra 0,6 e 0,7). In mezzo, differenti simulazioni che mostrano come si possano prevedere graduali riaperture contenendo i rischi, favorendo quei settori i cui addetti sono meno esposti e in modo da tenere sotto controllo il valore di R0. Il decreto con cui dal 4 maggio ripartiranno alcune attività è modellato proprio su tali valutazioni.

Tutti gli scenari considerati, però, restituiscono l’immagine di un Paese che non è ancora fuori dall’emergenza e rendono necessario adottare una serie di misure di precauzione come precondizione a ogni riapertura, ovvero: utilizzo delle mascherine, igiene delle mani, mantenimento del distanziamento sociale, rafforzamento delle attività di tracciamento del contatto e ulteriore aumento di consapevolezza dei rischi epidemici nella popolazione. Complessivamente, si legge nel report, tenuto conto dell’incertezza legata alla funzionalità dei DPI (su cui non c’è unanimità), i risultati ottenuti suggeriscono che:

  • la riapertura delle scuole aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica con conseguenze potenzialmente molto critiche sulla tenuta del sistema sanitario nazionale;
  • per tutti gli scenari di riapertura in cui si prevede un aumento dei contatti in comunità, la trasmissibilità supera la soglia epidemica, innescando quindi una nuova ondata epidemica;
  • nella maggior parte degli scenari di riapertura dei soli settori professionali (in presenza di scuole chiuse), anche qualora la trasmissibilità superi la soglia epidemica, il numero atteso di terapie intensive al picco risulterebbe comunque inferiore alla attuale disponibilità di posti letto a livello nazionale (circa 9000);
  • se l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 15%, gli scenari di riapertura del settore commerciali alla comunità potrebbero permettere un contenimento sotto la soglia epidemica solo riuscendo a limitare la trasmissione in comunità negli over 60 anni;
  • se l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 25%, gli scenari di riapertura del settore commerciale e di quello della ristorazione alla comunità potrebbero permettere un contenimento sotto la soglia solo riuscendo a limitare la trasmissione in comunità negli over 65 anni.

Come si articolerà la fase due

Chiarito il perché non sia possibile procedere a tappe forzate nella riapertura di settori e attività produttive, proviamo a capire come il governo intende procedere. In linea generale, il passaggio da una fase all’altra si renderà possibile quando saranno soddisfatti 5 criteri, ovvero: la stabilità della trasmissione, la fine del sovraccarico dei servizi sanitari, l’implementazione dell’attività di readiness, l’abilità nel testare tempestivamente tutti i casi sospetti, la possibilità di garantire adeguate risorse per il contaci-tracing, l’isolamento e la quarantena. Il primo step della Fase 2 (che nel diagramma di flusso di cui parlavamo all’inizio è indicato come Fase 2A) partirà il 4 maggio proprio perché si ritiene che da quella data in poi possano essere soddisfatti questi criteri, in tutto o in parte.

Un punto fondamentale sarà la rivalutazione costante della situazione, per essere in grado di rilevare eventuali campanelli d’allarme e, magari, tornare indietro con nuovi lockdown selettivi. Come funzionerà questo meccanismo?

Per spiegarlo, abbiamo bisogno di chiarire alcuni termini. A partire dall’ormai noto R0, il numero di riproduzione di base, che rappresenta il numero medio di casi generati da un singolo caso in una popolazione completamente suscettibile alla malattia (come noto, se questo valore è maggiore di 1 siamo ancora in presenza di una crescita importante della malattia); poi consideriamo Tg, ovvero il tempo di generazione, che è l’intervallo che passa tra l’infezione di un infettore primario e quelle dei suoi casi secondari; infine Rt, ovvero il numero medio di infezioni prodotte da ciascun individuo infetto dopo l’applicazione delle misure di contenimento dell’epidemia. Rt è un parametro fondamentale perché di fatto ci restituisce la trasmissibilità della malattia nel contesto attuale, ovvero in presenza delle misure di contenimento. Come ci ha spiegato il professor Pregliasco, il coronavirus ha “un R0, in media, di 2,5 casi secondari, mentre l’indice di trasmissibilità Rt, in questo momento, è compreso tra 0,2 e 0,7, perché abbiamo realizzato dei sistemi di contenimento che ci stanno permettendo di ridurre il numero di casi”.

A inizio epidemia, per capirci, Rt era intorno a 3, nei giorni immediatamente precedenti al lockdown aveva un valore compreso fra 2,2 e 2,6, dopo il lockdown è intorno allo 0,6 (dati Fondazione Kessler).

Il passaggio alla fase successiva

Dunque, come funzionerà il monitoraggio? Quando scatterà il via libera per la fase successiva? In quali casi si procederà con nuovi lockdown? La decisione non sarà affidata a un solo indicatore, ma a una serie di elementi e valutazioni del rischio epidemico. Il decreto del ministero della Salute che sarà diffuso a breve (e che abbiamo avuto modo di visionare) spiega come, preliminarmente, per passare da una fase all’altra sarà necessario che migliori di almeno il 60% il trend del numero dei casi sintomatici per mese (sia quelli con ricovero che quelli con sistema di sorveglianza domiciliare) e del numero dei casi con storia di trasferimento o ricovero in terapia intensiva (per le prime due settimane anche il 50% sarà considerata soglia accettabile).

Regione per Regione si valuterà poi se siano stabili o in diminuzione il numero dei casi riportati alla Protezione Civile nei 14 giorni precedenti e il trend settimanale dei casi per data di diagnosi / prelievo riportati alla sorveglianza integrata o alla sentinella Covid-net. Infine, un fattore determinante sarà dato dal valore di Rt, che dovrà essere inferiore a 1, e dall’assenza di focolai di trasmissione sul territorio regionale per cui non sia stata rapidamente realizzata una valutazione del rischio o istituita una zona rossa sub-regionale. A questo proposito, Brusaferro in conferenza stampa ha specificato che gli eventuali interventi di creazione di nuove zone rosse saranno “chirurgici” e il sistema di monitoraggio si baserà sulla capacità di ricostruire la catena di contatti e sulla specificità dei singoli casi. In altre parole, non conterà solo il numero di contagi, ma la loro dislocazione territoriale, la presenza di ulteriori fattori di rischio e via discorrendo. Come spiegano dal ministero della Salute, dunque, nel caso in cui si registrasse un trend di casi in aumento per un intervallo di 4 o 5 giorni e non fosse possibile isolarli con misure sub-regionali (mini zone rosse, appunto), ci si vedrebbe costretti a tornare alla fase precedente.

Controllare la circolazione del virus, mantenere Rt sotto l’1, significa insomma potersi permettere ulteriori gradi di libertà. Passare dunque alla fase successiva, anche attraverso allentamenti specifici su base regionale, ma solo grazie a stringenti griglie di valutazione.

E siamo solo alla 2B.

La fase di transizione avanzata

Fermo restando la rivalutazione periodica di tutti gli indicatori di cui abbiamo parlato, l'obiettivo del Governo è quello di giungere il più velocemente possibile alla Fase 2B, che è quella della vera e propria "convivenza con il virus". Fondamentale sarà però controllare altre due tipologie di indicatori, quelli di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti e quelli di risultato relativi a stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari.

Il governo appare (finalmente) consapevole della necessità di implementare in maniera massiccia la capacità di testing, contact tracing e gestione degli isolamenti. Con la partenza dell'indagine statistica attraverso i test sierologici, si riuscirà ad avere un quadro chiaro della diffusione del contagio su base nazionale, ma nel frattempo è necessario incrementare la capacità di rintracciare e isolare i contatti dei contagiati, oltre che di migliorare la risposta del sistema sanitario nell'attività di diagnosi. È un sistema in salute quello che riesce a intervenire in modo efficace e tempestivo, dunque fra gli indicatori che determineranno il passaggio da una fase all'altra ci saranno: il tempo fra la data di inizio dei sintomi e quella di diagnosi, la percentuale di tamponi positivi fra quelli effettuati (escludendo il re-testing degli stessi soggetti), il numero di operatori sanitari coinvolti in tutte le attività, compreso il contact tracing (si prevede che per la gestione e ricerca dei contatti ci sia non meno di un operatore ogni diecimila abitanti). Fondamentale sarà la capacità delle singole Regioni di ottenere risultati efficaci nelle "attività di indagine epidemiologica, di tracciamento dei contatti, di monitoraggio dei quarantenati, di esecuzione dei tamponi (da eseguirsi in strutture centralizzate, drive in o simili), di raccordo con l'assistenza primaria, di inserimento nel sistema informativo". Per valutare lo sviluppo di tali indicatori sono previste delle griglie molto rigide, con valutazioni periodiche (settimanali quanto a numero di tamponi, mensili per le altre indagini).

Come faremo a capire se le cose stanno andando bene

Per capire se il quadro è complessivamente in miglioramento, il governo intende avvalersi di stringenti criteri di valutazione sulla stabilità della trasmissione e sulla tenuta dei servizi sanitari. Di alcuni abbiamo già parlato in relazione al "monitoraggio" (valore di Rt, numero di focolai e numero di casi per dati di diagnosi), qualche ulteriore considerazione meritano invece gli indicatori relativi allo stato del sistema sanitario e delle strutture specializzate. Il primo dato da tenere in grande considerazione è quello relativo al tasso di occupazione dei posti letto nei reparti di terapia intensiva per i pazienti Covd-19. Il monitoraggio sarà su base giornaliera e l'allerta scatterà ogni qual volta si registrerà un aumento superiore al 30%. Sotto controllo dovranno essere tenuti anche i ricoveri in ospedale dei pazienti Covid-19 e gli accessi in pronto soccorso: l'allarme scatterà nel caso di un aumento del 40%.

Tutti gli elementi di cui abbiamo parlato porteranno a una classificazione del rischio per ogni Regione, che sarà aggiornata settimanalmente. Qualora si registri un rischio alto / molto alto, o anche un rischio moderato ma non gestibile con le normali misure di contenimento, si interverrà con misure ad hoc, se necessario anche con nuovi lockdown.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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