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Primarie PD 2023

Cosa deve fare ora Elly Schlein per riconquistare gli elettori del Partito Democratico

Elly Schlein è riuscita a capovolgere il risultato dei circoli, e contro ogni pronostico è diventata la prima segretaria del Pd. La parte difficile però arriva adesso. Schlein dovrà convincere elettrici ed elettori che hanno scommesso su di lei che qualcosa di buono possono ancora aspettarsi, che il Pd non è solo il partito dell’establishment e che un’opposizione energica e convincente al centrodestra è ancora pensabile.
A cura di Annalisa Cangemi
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La vittoria di Elly Schlein, nuova segretaria del Pd, è prima di tutto una lezione per i disfattisti. Chi pensava che queste primarie sarebbero state un flop, sulla scia delle ultime regionali, ha dovuto ricredersi: l'affluenza sopra il milione ha dimostrato che lo strumento delle primarie funziona ancora, e c'è voglia di un centrosinistra che possa fare da contrappeso alla destra.

Il popolo dem ha risposto alla chiamata ai gazebo, e la partecipazione è stata in linea con quella registrata negli ultimi anni (tenendo anche conto del fatto che il consenso del Pd è sceso ed è sotto il 20%). Ma il dato più rilevante è che la prima segretaria donna del partito, contro ogni pronostico e aspettativa, è riuscita a rovesciare completamente il voto nei circoli, che aveva invece fatto intravedere a Stefano Bonaccini la possibilità di farcela.

Il capovolgimento del risultato degli iscritti è non solo un problema per la neo segretaria, che dovrà giostrarsi tra complicati equilibri interni, ma è anche il segnale chiaro della volontà degli elettori: mai come ora domandano discontinuità, una scossa, un taglio netto con il passato, per risollevare un partito ormai moribondo che non accende più alcun entusiasmo, e che ha rappresentato ultimamente l'usato sicuro buono per la cabina elettorale, quando non c'era proprio niente di meglio da votare per provare a contrastare l'ascesa della destra.

La richiesta di cambiamento e la prima leadership femminile

È arrivata lei, e ha promesso di cambiare tutto, facendosi portavoce di una sinistra che per essere davvero nuova e di rottura non può che essere ecologista e femminista. Schlein incarna il rinnovamento, e su questo impegno si gioca tutta la sua credibilità politica. Quante volte le abbiamo sentito dire che "o si cambia o si muore": questo per lei è il momento di dimostrarlo, perché prima di poter tener testa alla destra che è al governo il Pd deve riconquistare la fiducia, prima in sé stesso e poi quella degli elettori, uscire dalla marginalità e ritrovare coraggio e visione.

Qualcosa però ieri è successo, è inutile negarlo. Avevamo letto analisi sbrigative di validi commentatori, che avevano visto in Schlein e Bonaccini nient'altro che due facce della stessa medaglia. Una valutazione forse troppo affrettata, per una politica che ormai non è più quella dei partiti, ma è quella dei leader che con la loro fisicità si impongono sulla scena, al di là delle ideologie. Nel momento in cui a Palazzo Chigi c'è Giorgia Meloni, prima premier donna, non era più tempo di rimandare la scelta di una leadership femminile nel Pd, e gli elettori lo hanno capito molto prima dei vertici del partito. In questo, soprattutto, Schlein e Bonaccini non erano intercambiabili. Non era più tempo insomma per un leader uomo, bianco, etero. Bonaccini era "il vecchio modello", come lo aveva definito la sua sfidante, "un Pd già visto", e non avrebbe potuto traghettare il partito verso qualcosa di minimamente attrattivo per la maggior parte dei giovani e delle donne di questo Paese.

Non è vero che in questa campagna elettorale è mancata una dicotomia: il voto di ieri è stato un bivio per un partito in piena crisi d'identità, un ballottaggio tra il centrismo moderato e liberista (di renziana memoria) di Bonaccini e la sterzata a sinistra di Schlein, soprattutto sui temi del lavoro e del precariato. Ha prevalso la svolta socialista annunciata da Schlein, una svolta che da tempo chiedevano diversi esponenti dem, da Orlando a Provenzano.

Cosa deve fare il Pd di Elly Schlein per gli elettori

"La mia forza è che non ho nulla da perdere", aveva dichiarato Schlein in un'intervista. E in effetti la sua storia la precede: negli ultimi 7 anni si era tenuta ben lontana dal partito, in aperta polemica con il Pd di Renzi, da cui era uscita sbattendo la porta insieme a Pippo Civati. La parte difficile però arriva adesso. Schlein dovrà convincere elettrici ed elettori che hanno scommesso su di lei che qualcosa di buono possono ancora aspettarsi, che il Pd non è solo il partito dell'establishment e che un'opposizione energica e convincente al centrodestra è ancora pensabile. Non proprio un'inezia.

Non basterà più presentarsi come l'anti-Meloni – che Meloni la riconosca o meno come degna avversaria è irrilevante – fare la guerra alla presidente del Consiglio perché "C'è una grande differenza tra le leadership femminili e le leadership femministe" e "Non tutte le leader donne aiutano le altre donne". Non bastano più gli slogan, anche quelli più efficaci, i dem dovranno essere concreti nelle azioni e nelle parole. Essere giovane e donna era il patentino per guadagnarsi il voto alle urne, ora inizia la vera salita.

Il Pd di Schlein non potrà più permettersi il lusso di essere timido, l'opposizione al governo dovrà essere dura, inflessibile, senza sconti. Mai più dobbiamo essere costretti a sentire frasi come "Meloni è meglio di quanto ci aspettassimo", come ha dichiarato il segretario uscente Enrico Letta al New York Times. Un conto è il rispetto dell'avversario, un altro è essere morbidi con politiche disumane come quelle che l'esecutivo sta mettendo in campo sull'immigrazione.

Le sfide della nuova segretaria del Partito Democratico

Le domande più importanti che Schlein dovrà porsi, ripetendole ogni giorno come un mantra, le ha ricordate qualche giorno fa in un'intervista a La Stampa lo scrittore Emanuele Trevi (che ai gazebo non è andato):

A chiunque dei due (Bonaccini e Schlein ndr) implorerei una riflessione su quella che deve essere la pietra miliare di questa rifondazione: il ritorno di una forte idea laburista nel Paese. Dovrebbero domandarsi che cosa è la povertà e cos'è la giustizia sociale. Come si redistribuisce la ricchezza? Questa è la grande domanda che si deve porre un leader di sinistra.

Ma soprattutto Schlein dovrà smontare parecchi stereotipi, abbattere muri di pregiudizi. Il più odioso è quello che la dipinge come una marionetta pilotata dai soliti capicorrente, come se ancora una volta vedere una donna giovane arrivare in alto causasse una sorta di meccanismo pavloviano: "Se è lì è perché qualcuno l'ha spinta". Se una donna insomma riesce a farsi strada probabilmente non è libera. Un riflesso maschilista che non ammette altre letture, e che stenta a riconoscere una trasformazione profonda, anche se lenta, della società. Elly Schlein dovrà essere brava a svincolarsi da queste dinamiche, dimostrando di non rispondere a nessuno, circondandosi anche di volti nuovi, non solo dei soliti noti.

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Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
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