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Ascesa, caduta e ritorno di Paolo Gentiloni, il nuovo Commissario Europeo

Dalla sconfitta alle primarie per il sindaco di Roma, sino alla nomina nella nuova Commissione guidata da Ursula von Der Leyen, passando dal ministero degli esteri alla presidenza del Consiglio. Ritratto di Paolo Gentiloni, un perdente di successo, dalle origini nobili e dal passato maoista. Che oggi si ritrova in Europa, alfiere della nuova maggioranza Pd-Cinque Stelle.
A cura di Redazione
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La fine è il mio inizio, diceva lo scrittore Tiziano Terzani. E quella sera del 5 dicembre del 2012, la carriera politica di Paolo Gentiloni, oggi candidato dal governo italiano a rappresentare l’Italia nella nuova commissione europea di Ursula von Der Leyen, sembrava davvero essere arrivata a un vicolo cieco. Le primarie per il candidato sindaco di Roma, infatti, restituirono a questo contraddittorio rampollo della nobiltà romana, discendente della casata dei conti Gentiloni Sivieri, già portavoce del sindaco Rutelli, già ministro delle telecomunicazioni per Romano Prodi, la più sonora della sconfitte. Primo Ignazio Marino, col 55% dei consensi. Secondo David Sassoli col 27%. Terzo lui, con il 15%.

Erano mesi di subbuglio. Un anno esatto prima, il 5 dicembre del 2011, le lacrime di Elsa Fornero e la stangata da 30 miliardi della manovra Salva Italia avevano sancito la fine della fugace luna di miele tra gli italiani e il governo Monti e l’inizio di quella parabola antipolitica che avrebbe portato all’elezione di Federico Pizzarotti a Sindaco di Parma (26 maggio 2012), alla prima sfida di Matteo Renzi a Pierluigi Bersani (13 settembre), al boom del Movimento Cinque Stelle alle elezioni del 24 e 25 febbraio del 2013.

Una serie di fortunati eventi

Per i dem, la non-vittoria di Bersani è un terremoto. Nel nuovo che nasce, fatto di rottamatori come Renzi, di giovani turchi Orlando e Orfini, di rompiscatole come Pippo Civati e di alieni come Marino – eletto sindaco di Roma nel giugno seguente – sembrava non esserci più alcun posto, se non in terza o quarta fila. Né Gentiloni, che del barricadiero che occupava il Liceo Tasso e fondava il Movimento dei Lavoratori per il Socialismo di ispirazione maoista non ha più nemmeno l’ombra, sembra pretendere altro.

La fine è l’inizio, però. Perché da quel momento una serie di fortunati eventi si incarica di cambiare il destino del mite Paolo. La prima tessera del domino cade il 1 novembre del 2014, e curiosamente riguarda proprio la scelta rappresentante del governo italiano nell’allora neonata Commissione Europea guidata da Jean Claude Juncker.  Una scelta che Matteo Renzi, fresco di scalata alla presidenza del consiglio e del 40,8% alle elezioni europee, sceglie la sua ministra degli esteri Federica Mogherini che viene nominata alta rappresentante alla politica estera comunitaria. Uno smacco per Massimo D’Alema, che puntava a quella carica e che da quel momento giurerà vendetta a Renzi. Un’opportunità per Paolo Gentiloni, che Renzi sceglie per sostituirla.

Dai gialloverdi ai giallorossi

La seconda tessera del domino è la sconfitta referendaria di Renzi al referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016. Quella stessa sera, quando il rottamatore fiorentino si dimette sotto lo sguardo della moglie, tutti pensano che si andrà rapidamente a nuove elezioni, un po’ come oggi. Matteo Renzi allora, come Matteo Salvini oggi, commettono il medesimo errore: nel dimettersi, sottovalutano le resistenze del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a interrompere anzitempo la legislatura. Ad approfittare della loro imprudenza da pokeristi, ieri come oggi, è di nuovo il mite Paolo, che il 12 dicembre, otto giorni dopo, giura da Presidente del Consiglio, e pur senza sfigurare, accompagna il Pd alla più cocente delle sconfitte, quella del 4 marzo del 2018, quella che porta Giuseppe Conte e la maggioranza Cinque Stelle-Lega al governo.

Sembra finita, di nuovo, per Paolo Gentiloni, mentre l’Italia scopre l’amore folle per nuovi leader muscolari come Luigi Di Maio e Matteo Salvini, e per nuovi miti mediatori come il premier Giuseppe Conte. La storia però fa giri lunghissimi. E le tessere del domino continuano a cadere. Succede che Matteo Salvini stravince le elezioni europee dello scorso 26 maggio, ma rimane isolato in Europa, dove socialisti, popolari e liberali tengono botta. Succede che Merkel e Macron trovano l’accordo per nominare Ursula von Der Leyen presidente della Commissione Europea, anche grazie ai voti del Movimento Cinque Stelle, ma senza quelli della Lega. Succede che dopo quel voto, per la prima volta, Salvini adombra a un patto occulto tra Pd e Cinque Stelle e comincia a minacciare quella crisi di governo che troverà il suo showdown a cavallo di Ferragosto. Succede che assieme a Zingaretti, Gentiloni è tra i più scettici di fronte all’ipotesi di un’alleanza tra Pd e Cinque Stelle, con Matteo Renzi che arriva addirittura ad additarlo come il sabotatore per eccellenza che orienta la linea politica di Repubblica e dell’Huffington Post, in una lezione nella sua scuola di politica per under 30. Succede che nasce il governo Conte Bis e che il suo primo atto sia quello di nominare Paolo Gentiloni come rappresentante italiano in Commissione Europea. Succede che, ironia della sorte, Gentiloni si ritroverà a rappresentare l’Italia assieme al Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che condivise con lui la sconfitta delle primarie, in quella notte romana del 5 dicembre 2012. E la fine è davvero l’inizio.

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