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Nuovi referendum all’orizzonte: l’11 gennaio Consulta decide su quesiti Cgil su Jobs Act

I tre questiti mirano sostanzialmente al ripristino dell’articolo 18, alla cancellazione dei voucher e al ritorno della resposablità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore. Nel caso in cui l’iter referendario andasse avanti, sarebbe una bella rogna per il governo Gentiloni, nato dalle ceneri dell’esecutivo di Renzi: il voto potrebbe sostanzialmente trasformarsi in un secondo plebiscito sull’operato dell’ex presidente del Consiglio.
A cura di Claudia Torrisi
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Torino, sciopero generale CGIL e UIL

Il prossimo 11 gennaio la Corte Costituzionale deciderà sull'ammissibilità delle richieste relative ai tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro e jobs act promossi dalla Cgil raccogliendo oltre 3 milioni di firme. I tre questiti mirano sostanzialmente al ripristino dell'articolo 18, alla cancellazione dei voucher e al ritorno della resposablità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore. In caso di risposta positiva della Consulta, il governo dovrà fissare una data per il voto, tra il 15 aprile e il 15 giugno. A meno che in quel lasso di tempo non venissero indette le elezioni: in qual caso slitterebbe tutto di un anno.

Il primo quesito riguarda la materia degli appalti, e prevede che in caso di violazioni nei confronti del lavoratore rispondano sia la stazione appaltante che l'impresa appaltatrice.

Volete voi l'abrogazione dell'articolo 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30", comma 2,limitatamente alle parole "Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti," e alle parole "Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori." ?

Si tratta, sostanzialmente, di intervenire sulla legge Biagi, così come modificata dalla legge Fornero e ripristinare le garanzie per i contributi dei lavoratori delle aziende che subappaltano lavori.

Il secondo quesito, "Abrogazione delle norme che limitano le sanzioni e il reintegro in caso di licenziamenti illegittimi", chiede un ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abrogando la norma del Jobs Act che ha liberalizzato i licenziamenti econonomici.

Volete voi l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempoindeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183" nella sua interezza e dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" comma 1, limitatamente alle parole "previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile"; comma 4, limitatamente alle parole: "per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili," e alle parole ", nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto" ; comma 5 nella sua interezza ; comma 6, limitatamente alla parola "quinto" e alle parole ", ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi” e alle parole ", quinto o settimo"; comma 7, limitatamente alle parole "che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento" e alle parole"; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo"; comma 8, limitatamente alle parole "in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento", alle parole "quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di" e alle parole ", anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti".

Il terzo e ultimo quesito, infine, riguarda la questione "voucher", ossia il lavoro accessorio, definito dalla Cgil la "nuova frontiera del precariato".

Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"?

Nel caso in cui l'iter referendario andasse avanti, sarebbe una bella rogna per il governo Gentiloni, nato dalle ceneri dell'esecutivo di Renzi. Il voto, infatti, potrebbe sostanzialmente trasformarsi in un secondo plebiscito sull'operato dell'ex presidente del Consiglio, considerato anche che il Jobs Act è stato uno dei provvedimenti su cui si è puntato di più. Al tal proposito, interpellato dall'Ansa, il mistro del lavoro Giuliano Poletti ha commentato che "se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile. Sulla data dell'esame della Consulta è tutto come previsto".

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