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Il mutuo dissenso processuale

La Cassazione del 21.10.2014 n. 26907 ha stabilito che se entrambe le parti chiedono la risoluzione del contratto – pur attribuendo l’inadempimento all’altra parte – si verifica la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nel mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto del quale il giudice non può non prendere atto.
A cura di Paolo Giuliano
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Il contratto (inteso come l'accordo tra due o più parti), come ogni elemento naturale o umano, ha una sua nascita, una sua vita e una sua fine.

La fine del contratto può essere naturale (perchè, ad esempio, è previsto nello stesso contratto un termine finale) oppure può essere concordemente voluta dalle parti (anche prima della fine naturale del contratto). Questo scioglimento "amichevole" oppure "concorde" oppure, (quanto meno), uno scioglimento del contratto che prescinde dall'intervento del giudice è regolato dall'art. 1372 c.c. il quale prevede che "Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge".

In concreto lo scioglimento di un contratto in base al mutuo consenso ex art. 1372 c.c. avviene tramite la manifestazione della volontà delle parti (le stesse che hanno stipulato il contratto che si intende cancellare), volontà, si ripete, diretta a porre fine al contratto.  L'elemento caratterizzante la fattispecie è proprio l'esistenza della concorde (es espressa) volontà delle parti avente ad oggetto la fine del contratto.

Quella descritta in precedenza può essere definita come una fine "amichevole" del contratto,  ma la fine del contratto può essere traumatica (o non amichevole) ed attuata tramite l'intervento del giudice, se, ad esempio, una delle parti non adempie alle sue prestazioni o obblighi (e la parte adempiente chiede la risoluzione giudiziaria del contratto e l'altra parte contesta la risoluzione).

Sempre nell'ambito dell'estinzione giudiziale del contratto, può capitare che entrambe le parti, in sede processuale, dichiarano (espressamente) di non volere far proseguire il rapporto contrattuale, ma si accusano, a vicenda, di inadempimento, cioè, in sede processuale, occorre solo individuare la parte a cui addebitare la responsabilità della fine del rapporto (qualcosa di simile all'addebito in sede di separazione e divorzio)  oppure, sussistono delle accuse reciproche di inadempimento (ed entrambe le parti chiedono la risoluzione del contratto).

Resta da chiedersi se dalle due ipotesi prospettate ( 1. dichiarazioni processuali concordi di non voler continuare il rapporto o dichiarazione della mancanza di interesse alla prosecuzione del rapporto e mera individuazione della parte a cui addebitare la fine del contratto e 2. reciproche richieste di risoluzione del contratto) è possibile desumete una volontà (contrattuale) implicita di sciogliere il contratto per mutuo consenso ex art. 1372 c.c. e, quindi, se è possibile che il giudice dichiari sciolto per mutuo consenso il contratto ex art. 1372 c.c. (anche quando nessuna domanda, in tal senso, è stata posta dalle parti).

Per poter fornire una risposta al quesito occorre distinguere le due ipotesi, infatti (partendo dall'ipotesi sub 2) in presenza di reciproche domande di risoluzione del contratto è difficile ipotizzare una volontà negoziale (anche se presunta) e concorde di sciogliere il contratto simile a quella prevista dal 12372 c.c. anzi, la situazione è diametralmente opposta, perché senza l'inadempimento di una delle parti, probabilmente il rapporto contrattuale sarebbe proseguito (questo però non significa che non sussiste un elemento "coincidente" o un fine comune: lo scioglimento del contratto.

Diversa è la situazione (indicata sub 1) nella quale le parti concordano (in modo separato e con mere dichiarazioni processuali) sulla non prosecuzione del rapporto (o nella mancanza di interesse per la prosecuzione del rapporto), ma occorre (o è necessario) addebitare la fine del rapporto ad una delle due.

Per quanto quest'ultima situazione (sub n. 1) può sembrare simile all'art. 1372 c.c. se ne discosta perché manca una volontà negoziale (reciproca, espressa e diretta) della parti ex art. 1372 c.c. (e, certo, il giudice non può sostituire la propria volontà a quelle delle parti).

Resta solo da chiedersi se le diverse (e non reciproche) dichiarazioni delle parti sulla risoluzione del contratto possono portare allo scioglimento del contratto, per una sorta di "acclarato" (processualmente) atto atipico di mutuo dissenso; oppure si è solo in presenza di un "evento" o un "fatto" processuale, sulle quali entrambe le parti  concordano: per cui il contratto è risolto (probabilmente per inadempimento e senza la necessità di una sentenza di risoluzione), ma occorre  solo individuare il responsabile dello stesso.

Cass. civ. sez. III, del 21 ottobre 2014 n. 26907 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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