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Opinioni

Vecchi contro giovani: da Trump alla Brexit il voto dei millennial sta cambiando il mondo

È vero, cresce sempre più il voto di protesta contro l’establishment. Ma il divario più grande nel voto è fra vecchi e giovani. I secondi cercano il cambiamento, ma anche diritti e più equità.
A cura di Michele Azzu
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Se Hillary Clinton fosse riuscita a conquistare gli elettori giovani forse oggi Donald Trump non sarebbe il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Lo rivelano i dati dei principali exit poll negli USA. Il 55% dei giovani di 18-29 anni ha votato per Hillary Clinton, mentre il 37% avrebbe preferito Donald Trump. Ma nonostante le preferenze siano andate a sinistra, l’8% degli elettori giovani ha votato per un terzo candidato, quasi un giovane su 10.

Se questa fetta di voto fosse andata a Clinton, Trump sarebbe stato sconfitto. Hillary ha infatti ottenuto una performance peggiore di Obama nel voto fra i giovani, ed inferiore alle aspettative. Nel 2008 fra i 30-39enni Obama ottenne il 54%, contro il 51% di Clinton. E il gap aumenta se scendiamo con l’età: fra i 25-29enni Obama ebbe il 66%, Clinton il 53%. Fra i 18-24enni Obama il 66%, Clinton il 56%.

Il voto dei millennial, e cioè dei giovani nati fra il 1982 e i primi anni 2000, sta diventando una demografica sempre più importante nelle elezioni e nei referendum di tutto il mondo, e in particolare era un punto su cui la campagna di Hillary aveva fatto affidamento. Già, perché il suo concorrente alle primarie della sinistra americana, Bernie Sanders, aveva conquistato un grande successo fra i giovani del paese con le sue posizioni di sinistra radicale.

Il voto dei giovani sta diventando, sempre più una variante decisiva nei momenti elettorali: imprevedibile, radicale, di protesta. E in netto contrasto col voto degli elettori over 50. Come in queste elezioni americane: decisivo perché Clinton avrebbe vinto se avesse mantenuto la performance di Obama fra i giovani, o il successo di Sanders. In contrasto col voto della popolazione anziana: vecchi per Trump, giovani per Hillary.

Sta succedendo in tutto il mondo. Al recente referendum per la Brexit del Regno Unito – in cui il 52% degli elettori votò per uscire dall’UE – la maggioranza dei giovani votò per rimanere dentro l’Unione Europea. Fra i 18-24enni addirittura il 73% votò contro la Brexit, fra i 25-34enni il 62%. All’aumentare dell’età, invece il voto diventa opposto. A seguito del voto, circolarono in rete messaggi virali in cui i giovani accusavano gli anziani di avere: “rubato loro il futuro”, la possibilità di vivere e lavorare all’estero, oltre ad aver reso sensibilmente più caro e complicato anche viaggiare.

Alle recenti elezioni in Spagna, il voto dei giovani è andato a tutti meno che ai tradizionali partiti di maggioranza (a destra il PP e a sinistra il PSOE), e si è diviso fra il movimento radicale di sinistra Podemos e il nuovo partito di centrodestra Ciudadanos, cresciuto in meno di un anno dall’1.4% di consensi fra i giovani a un 14% secondo i dati del CIS, l’istituto spagnolo di studi sociologici. Mentre Podemos vanta circa un terzo del proprio elettorato fra i giovani, a differenza del partito di governo di destra, il PP di Mariano Rajoy ora nuovamente al governo, che fra i giovani trova solo un 11% del proprio consenso.

Dinamiche simili sono presenti in tutta Europa e in America. Lo si è visto anche in Grecia, alle politiche del 2015 il voto dei giovani portò al governo il radicale Alexis Tsipras, e sempre i giovani avrebbero votato all’80% al referendum di un anno fa per respingere il piano di austerity dell’Unione Europea. A seguito dell’imposizione del piano di austerity dopo il fallimento delle trattative della Grecia, il consenso dei giovani verso il governo Syriza sarebbe crollato al 18%, e ora, secondo i sondaggi Alco, il primo partito fra i giovani sarebbe il neo-fascista Alba Dorata.

Anche in Italia il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è la prima scelta dei giovani, mentre PD e partiti di destra trovano la maggior parte del loro sostegno fra gli over 50. Secondo Desmopolis, il movimento dei pentastellati sarebbe la prima scelta fra chi ha meno di 45 anni, mentre il suo consenso fra gli over 60 sarebbe molto basso, attorno al 15%. E anche nelle recenti elezioni dei sindaci del M5S a Roma e Torino si è visto un forte supporto dagli elettori giovani: secondo l’Istituto Piepoli, Virginia Raggi ha preso il 25% dei propri voti fra gli under 35 e il 23% fra i 35-44enni. Oltre un quarto del successo del sindaco di Roma è stato dovuto agli studenti.

Stiamo assistendo a un fenomeno importante: la spaccatura del voto per generazioni. Che idealmente potremo identificare come un voto radicale e di cambiamento fra i più giovani, spesso diretto a terzi partiti anti-establishment o di sinistra radicale, contrapposto al voto conservatore e verso i vecchi partiti maggioritari, in particolare a destra, per gli over 50. Nei referendum, poi, una forte componente del voto “contro” è sostenuta dall’elettorato giovane. Certo, ci sono grosse differenze fra i paesi, soprattutto fra Unione Europea e Stati Uniti, dove i sistemi politici ed elettorali scontano numerose differenze.

In America il voto dei millennial è una questione decisiva perché da quest’anno sono diventati la generazione più numerosa del paese con 75.4 milioni di persone fra i 18 e i 34 anni, sorpassando i “baby boomers” fra i 51 e 69 anni che si attestano a 74.9 milioni. E questo divario è destinato ad aumentare nei prossimi anni. La stessa cosa non accade in Europa, dove in tutti i paesi la popolazione anziana supera i giovani con un rapporto di 2 a 1. In Italia, ad esempio i millennial costituiscono solo il 19% della popolazione, mentre gli over 50 sono il 47%. La media UE non è troppo diversa, costituita solo per il 24% da millennial.

Siamo appena all’inizio di questi fenomeni, e non è facile tracciare un disegno complessivo fra questi paesi così diversi. Nel caso americano, poi, è importante considerare che il “voto di protesta” è quello a Donald Trump. Suo il carattere anti-establishment della campagna, condotta da outsider contro i “poteri forti” della finanza, degli industriali, delle lobby. E allora, si dirà, perché i giovani non hanno votato Trump? In realtà, quello che emerge da questi dati è il poco successo dei giovani verso Clinton, percepita come establishment, e certo non radicale come Sanders. Il carattere del voto millennial, insomma, qui starebbe più nel rifiuto di supportare Clinton che nel sostegno all’anti establishment xenofobo Trump.

Già, perché se i numeri parlano di una spaccatura fra generazioni alle urne, sembra che i millennial non votino il cambiamento a prescindere. Lo fanno, com’è ovvio, conformemente alle proprie priorità. Quali? Secondo la camera di commercio americana, ad esempio, il più grande obiettivo dei giovani americani, oggi, sarebbe la felicità. Una scoperta che può sembrare banale, ma che va confrontata con i baby boomers, per cui il principale obiettivo era ricchezza e successo.

Secondo i dati del PEW Research Centre, la principali preoccupazioni dei millennial sarebbero quelle economiche rispetto alla generazione dei propri genitori, vissuti nel boom economico. E qui le condizioni reali di vita e lavoro dei millennial, in Europa come in America, fanno il paio con gli studi sulle priorità di questa generazione. Perché se è vero che i giovani d’oggi sono sostanzialmente più poveri dei propri genitori, sembra che questa realtà materiale faccia il paio con una rinnovata ricerca di valori altri dal denaro e dalla posizione sociale.

Illuminanti, a questo proposito, le motivazioni espresse dagli elettori giovani al recente referendum britannico per l’uscita dall’Unione Europea: in quel caso, il tema più importante per i 18-24enni fu il lavoro, gli investimenti e l’economia. Subito dopo, la priorità per i millennial britannici era la tutela dei diritti umani. Ad andare a vedere le preoccupazioni degli elettori più anziani, invece, loro che hanno vinto quel referendum, il primo tema era il controllo dell’immigrazione.

Per farla breve, non avendo più accesso a potere e successo, i giovani d’oggi ripiegano sulla soddisfazione personale, sulla ricerca di un lavoro che rende felici, sulla tolleranza, sulla sostenibilità. Per queste ragioni i millennial che oggi votano in maniera così imprevedibile sembrano preferire sì candidati e movimenti di rottura, ma principalmente di sinistra, radicali, che parlano di diritti ed equità lontano dall’establishment.

Sembra chiaro perché, dunque, né Trump né Clinton abbiano rappresentato i candidati ideali per questa generazione. Il primo troppo razzista, la seconda troppo establishment. Insomma, con le dovute differenze, quello che emerge da questi numeri, è ben rappresentato dal pensiero dell’economista americano premio Nobel, Joseph Stiglizt: “I giovani d’oggi vedono il mondo attraverso la lente dell’equità intergenerazionale”.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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