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Bielorussia, proteste contro il regime: più di mille persone arrestate e poi scomparse nel nulla

In Bielorussia i manifestanti continuano a scendere in piazza contro il regime del presidente Aleksandr Lukašenko. L’Ong per la difesa dei diritti umani Viasna riporta una lista di oltre mille persone fermate dalla polizia bielorussa lo scorso 8 novembre, la maggior parte delle quali nella capitale Minsk. Dall’inizio delle proteste nell’agosto scorso, sono ormai migliaia i manifestanti arrestati, caricati a bordo di furgoni e spariti nel nulla. La maggior parte di loro sono donne. E non si contano più le torture e gli stupri da parte delle forze di polizia.
A cura di Daniela Brucalossi
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In Bielorussia non si fermano le proteste contro il regime di Aleksandr Lukašenko. E neanche le violenze nei confronti dei manifestanti. L’Ong per la difesa dei diritti umani Viasna riporta una lista di oltre mille persone fermate dalla polizia locale lo scorso 8 novembre, la maggior parte delle quali nella capitale Minsk. Dall’inizio delle proteste nell’agosto scorso, sono ormai migliaia i manifestanti arrestati, caricati a bordo di furgoni e poi spariti nel nulla. La maggior parte di loro sono donne. E non si contano più neppure le torture e gli stupri da parte delle forze di polizia.

Il paese si trova in uno stato di sciopero generale dal 26 ottobre scorso. La mobilitazione era stata annunciata dalla leader dell’opposizione in esilio Svetlana Tikhanovskaya: se il presidente Aleksandr Lukašenko non avesse dato le dimissioni, aperto un’inchiesta sulle torture dei cittadini arrestati negli ultimi mesi e liberato i prigionieri politici entro la mezzanotte del 25 ottobre si sarebbe scatenato un grande sciopero generale. Il capo del regime non ha dato nessun segno di apertura e, così, la mattina del 26 ottobre migliaia di studenti, operai, pensionati e piccoli imprenditori sono scesi in piazza a Minsk.

Il 65enne Lukašenko detiene il potere in Bielorussia dal 1994: ha vinto ogni elezione grazie a un sistematico controllo dei media e a una continua repressione delle opposizioni. Prima della data delle ultime elezioni presidenziali, che si sono tenute il 9 agosto scorso, il capo del regime ha fatto arrestare due dei suoi oppositori, lo youtuber Sergei Tikhanovsky e l’ex banchiere Viktor Babaryko, e ha impedito a Valery Tsepkalo, ex ambasciatore bielorusso presso gli Stati Uniti, di candidarsi. A causa delle intimidazioni Tsepkalo ha deciso di rifugiarsi in Russia con i suoi figli.
A quel punto Lukašenko sembrava destinato ad ottenere il sesto mandato consecutivo. Non si aspettava certo che a candidarsi all’opposizione unendosi in una coalizione anti governativa (Vmeste) sarebbero state le mogli di Tikhanovsky e Tsepkalo, Svetlana Tikhanovskaya e Veranika Tsepkalo, e Marija Kolesnikova, rappresentante di Babaryko.

Nelle elezioni del 9 agosto, Lukašenko ha subito una sconfitta disastrosa che non ha voluto ammettere, annunciando invece di avere conseguito la vittoria con l’80% dei voti. Questa presa forzata del potere è stata la miccia che ha scatenato le feroci manifestazioni popolari degli ultimi mesi. Solo 15 paesi nel mondo hanno riconosciuto l’insediamento di Lukašenko come legittimo presidente della Bielorussia, tra cui Russia, Armenia, Moldova, Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, Azerbaigian, Cina, Turchia, Siria, Vietnam, Venezuela, Nicaragua. Mentre gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea hanno chiesto a gran voce lo svolgimento di nuove elezioni. Nonostante le principali leader della coalizione anti governativa siano state messe fuori gioco, con Svetlana Tikhanovskaja che è stata espulsa dal paese e Marija Kolesnikova che si trova ora in prigione, la protesta popolare non si è di certo affievolita.

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