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La causa della risoluzione del contratto per inadempimento

Cassazione 14.2.2019 n. 4450 Nel giudizio di risoluzione di contratto per inadempimento, la deduzione di un fatto diverso da quello originariamente posto a fondamento della domanda non si traduce in una mera emendatio libelli, ma – comportando l’introduzione di un nuovo tema di indagine – si configura come un mutamento della causa petendi inammissibile, anche quando il comportamento successivamente dedotto costituisce, a sua volta, violazione degli obblighi contrattuali.
A cura di Paolo Giuliano
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Risoluzione del contratto

Il legislatore prevede che, nei contratti a prestazioni corrispettive, se una delle due prestazioni non viene eseguita (se, quindi, una delle due parti contrattuali è inadempiente) si verifica lo scioglimento del contratto (risoluzione del contratto) e il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento a carico della parte non adempiente.

Fatti o i motivi o le cause alla base della risoluzione del contratto e del conseguente risarcimento del danno

La risoluzione del contratto e il conseguente risarcimento del danno sono l'elemento generale e costante che deriva dall‘inadempimento, ma in ogni inadempimento variano i fatti (o i motivi) che sono alla base dell'inadempimento.

Ad esempio i fatti o i motivi dell'inadempimento, in presenza di un preliminare avente ad oggetto la vendita di un immobile, possono essere il mero rifiuto di stipulare il contratto definitivo oppure la presenza sul bene oggetto del preliminare di un'ipoteca trasferimento.

Plurimi fatti o eventi alla base della risoluzione del contratto per inadempimento

La risoluzione del contratto (e il conseguente risarcimento del danno) può basarsi su un unico fatto o evento oppure su diversi eventi o fatti, tutti autonomamente sufficienti a giustificare la risoluzione.

Dal punto di vista del diritto sostanziale è irrilevante se la risoluzione può essere giustificata da un unico fatto o evento oppure da plurimi fatti ed eventi.

Dal punto di vista processuale l'indicazione nell'atto di citazione di uno solo (dei diversi inadempimenti) può determinare delle conseguenze, infatti, occorre valutare se è possibile ottenere la risoluzione del contratto accogliendo una domanda di risoluzione (e del risarcimento conseguente) basata su un fatto diverso da quello originariamente dedotto in citazione.

Preclusioni processuali e risoluzione del contratto per inadempimento

Con l'entrata in vigore della I. n. 353 del 1990, il legislatore ha imposto delle rigide preclusioni processuali. A tutela di queste preclusioni, è stato affermato che il giudice può rilevare d'ufficio la tardiva proposizione di una domanda nuova, (o della modifica della stessa violando i termini entro cui può essere effettuata la modifica).

Inoltre, sempre a presidio delle preclusioni processuali si deve escludere, che la mancata opposizione della controparte alla domanda nuova o alla modifica della stessa consegua la tacita accettazione del contraddittorio in ordine a tale domanda preclusa.

Preclusioni e motivi di inadempimento introdotti ad colorandum

Nel sistema delle preclusioni processuali non assume rilevanza, ai fini della novità della domanda, la circostanza che il nuovo motivo di inadempimento viene introdotto "ad colorandum" per provare un (ulteriore) inadempimento già provato documentalmente, soprattutto quando il giudice pone a base della risoluzione non l'originario motivo di contestazione indicato in citazione, ma il diverso motivo di inadempimento indicato dopo la scadenza dei termini preclusivi.

Risoluzione del contratto per inadempimento vincolato ai fatti dedotti in citazione

Su queste basi è stato affermato il seguente principio:  nel giudizio avente a oggetto la risoluzione di contratto per inadempimento, la deduzione di un fatto diverso da quello originariamente posto a fondamento della domanda non si traduce in una mera emendatio libelli, ma – comportando l'introduzione di un nuovo tema di indagine – si configura come un vero e proprio mutamento della causa petendi inammissibile in corso di causa, indipendentemente dal fatto che il comportamento successivamente dedotto costituisca, a sua volta, violazione degli obblighi contrattuali (Cassazione civile, sez. I, 28/01/2015, n. 1611; cfr. Cass., Sez. 2, 30 dicembre 2009, n. 28102; 18 ottobre 1978. n. 4686; 16 marzo 1968. n. 857).

Detto principio non risulta scalfito dalla nota pronuncia a Sezioni Unite del 15.6.2015 n. 12310, che ha ammesso la modifica della domanda, nei termini di cui all'art.183 c.p.c., in relazione al "petitum" ed alla "causa petendi", sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali.

Cass., civ. sez. II, del 14 febbraio 2019, n. 4450  

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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