Pinguini Tattici Nucleari: “L’artista deve schierarsi altrimenti non sa di niente: in Palestina situazione terribile”

I Pinguini Tattici Nucleari si stanno preparando alla partenza del loro tour negli stadi che comincerà il 7 giugno da Reggio Emilia, forti del successo degli ultimi singoli, Islanda e Bottiglie vuote, che li ha uniti a max Pezzali. Una collaborazione che i fan attendevano da anni e che si è realizzata solo quando tutte le parti hanno trovato il tempo per poterci lavorare senza fretta. La band bergamasca è una delle rivelazioni di questi ultimi anni, in grado di unire ai numeri in streaming anche persone fisiche ai propri concerti che da anni fanno tutto sold out, come avvenuto per alcune date di questo tour negli stadi, come a Milano (10 giugno), Treviso (14 giugno), Torino (17 giugno) e Roma (4 luglio). A Fanpage Riccardo Zanotti ed Elio Biffi, due sesti della band, hanno raccontato, tra le altre cose, il loro incontro con Pezzali, com'è cantare negli stadi e ricreare l'intimità col pubblico, della fama, di cambiamento e di di Palestina e messaggi di pace,
Negli Stadi, in cui c'è meno intimità, come riuscirete a creare il rapporto che avete col pubblico in luoghi più piccoli?
Elio: È una sfida sempre complicata però ci è sempre piaciuto molto cimentarci in questa cosa, fin da quando eravamo nei piccolissimi club, perché ci siamo resi conto che il gioco di interazione, lo scambio di energie fra sopra e sotto il palco, è la cosa che rende unico il momento di un live.
Riccardo: Essere in sei aiuta da quel punto di vista, perché mentre nei concerti degli artisti singoli, c'è una sola persona che è un po' l'epicentro di tutto, anche dall'attenzione del pubblico, noi riusciamo a muoverci e a coprire il palco di più, prendendocelo capillarmente, e secondo me il pubblico ci percepisce come più vicini.
Com'è stato l'incontro con Max Pezzali?
E: Suonavamo nei piccoli club, nelle feste della birra, e in una di quelle serate suonammo dalle parti del Pavese. La sera stessa ci scrissero dei nipoti di Max, a cui lui vuole molto bene, invitandoci a incontrarlo perché già all'epoca, quindi ben prima di Sanremo, ben prima di qualsiasi cosa, lui ci aveva intercettati. Quindi l'abbiamo conosciuto di persona e forse una cosa che ci lega, anche proprio per forma mentis, è una certa forma di curiosità per il mondo che poi riverbera all'interno delle canzoni. È un grande osservatore della sua realtà e di quello che ha attorno, con questa curiosità instancabile, e questa cosa qui ce l'abbiamo un po' anche noi ed è forse la cosa che fin dall'inizio gli ha fatto pensare che potessimo essere amici.
R: Max è in tutto e per tutto ciò che Max rappresenta, non c'è nessuna finzione letteraria o di personaggio e questa cosa, sai, è quasi paradossale, perché tu lo incontri una sera nel Pavese, a casa sua o in un ristorante e ti parla di quanto costa il pane, di cose normalissime, una cosa che con altri artisti non capita. Non c'è una facciata con lui, c'è solo una faccia, quindi è un piacere.
Tra l'altro è interessante perché i fan aspettavano solo il momento in cui questa cosa doveva succedere, ci avete messo un po' di tempo, come mai?
R: L'impegno suo, l'impegno nostro, il momento propizio va cercato perché altrimenti tutto è fatto con fretta e quando le cose sono fatte con fretta spesso non portano ai risultati sperati, non tanto a livello di numeri quanto di alchimia, di empatia personale. Noi abbiamo fatto dei giorni di promozione con Max che sono stati tra i più divertenti mai visti, anche i giorni di fotoshooting che abbiamo fatto, che di solito sono abbastanza noiosi, con lui sono stati divertentissimi. Cercavano proprio questa cosa: un momento in cui entrambi potevamo respirare e vivercela nel modo migliore, è stata così ed è stato bellissimo.
Cantate: "Chi pensava che ci vuole un terapista pure per curare un sold out", quali sono le problematiche che creano questo burnout?
R: Io penso che noi esseri umani e soprattutto le persone che si occupano di un campo creativo, artistico, sono fatte per non stare bene, quindi quando sei lì che scalpiti per arrivare a un minimo risultato stai malissimo perché non ce la fai, e l'abbiamo fatto per anni, quando voli alto, invece, fa ancora più male quando cadi in picchiata. La nostra paura in questo momento è proprio quella di dover ripetere sempre questi successi di questi anni, quando nella realtà dei fatti non è possibile.
Perché?
R: Perché la musica cambia, il mondo cambia, tutto va avanti e tu provi a muoverti con il flusso, ma non ci riuscirai sempre nel modo più congeniale e perfetto. E speriamo che ci sia gente ora, ma ci sarà anche in futuro quando le cose andranno meno bene, chissà!
Però vi siete costruiti un bel catalogo, con canzoni amate e forti, questo non aiuta rispetto a questo discorso?
E: Sì, ci aiuta, però dall'altra parte, giusto per essere un po' sdrammatizzanti, comincia a essere complicato comporre una scaletta. È davvero difficile ormai lasciare da parte qualcosa perché tanto di quello che abbiamo fatto è molto amato, come dicevi, e quindi diventa sempre più obbligata la strada di quei brani: però non ci piace pensare che noi siamo solo quello, siamo sempre altro, siamo sempre in definizione, in via di cambiamento.
R: Il tema è anche che se un musicista parte con la presunzione di voler riempire i palazzetti, gli stadi, è un conto, un conto molto commerciale che si fa, e va bene perché i numeri ci sono, però dall'altra noi speriamo di riempire un po' – passami il termine – le anime. Tornando alla tua domanda sul catalogo, l'idea è di riuscire a fare delle canzoni che si appiccichino come dei tatuaggi alla gente perché più che altro ci fa sentire amati e ci farà sentire anche realizzati nel futuro.
Esiste una paura di cambiare?
E: Posso dire una cosa che sembra un po' da vecchio saggio? Crescere è cambiare, in generale nella vita, quindi anche artisticamente. Noi che siamo cresciuti insieme ci siamo visti cambiare, abbiamo modificato idee, convinzioni, quanto siamo cambiati incontrandoci! Conoscerci ci ha fatto sicuramente capire che l'unico modo per sopravvivere nel mondo è cambiare e quindi ci abbiamo fatto abbastanza la pace. Certo, forse adesso se ci dici "Facciamo un pezzo hip pop domani in cui rappiamo quattro barre a testa" ti diciamo "Mh, forse no", però chissà.
R: La paura che ho riguardo al cambiamento è che tu scalpiti tutta la vita per farti ascoltare da cantautore e il pericolo è che a un certo punto sia tu a non ascoltare più gli altri, perché ti ascoltano e basta e tu non ascolti più le storie, gli input, le impressioni degli altri, non tanto sui giudizi riguardo alle nuove canzoni, ma più proprio le storie di vita, non essere più ricettivo, perché il vero problema è che a una certa tutti noi, presi in una stanza, siamo noiosi, a meno che tu non sia Marilyn Monroe o Fidel Castro. Cioè, a un certo punto esaurisci le cose da dire se non sei in grado di aprirti al mondo esterno, di ascoltare storie altrui, di scriverne anche tante volte, a un certo punto non gliene fregherà più a nessuno di quello che hai da dire, perché l'hai già detto 5, 6, 7 volte.
Siete una delle poche band che sono sono riuscite a sopravvivere nei 4-5 anni in cui il pop ha avuto, a livello di numeri e classifiche, qualche difficoltà rispetto al rap, la trap, l'urban, eccetera. Voi siete riusciti a rimanere là e adesso si sta riassestando tutto…
R: Però ti lancio una provocazione, secondo me il pop non esiste come concetto, è troppo effimero. Tu dici che il pop se l'è passata male, ed è vero per il pensiero comune, ma ciò che va, in qualche modo, è pop, quindi la trap, il rap e via dicendo, anche con sfumature diverse, sono sinonimo di un sentimento popolare comune che è per forza pop. Noi, banalmente, facevamo qualcosa che sarebbe potuto andare anche 10-20 anni fa, in questo ti do ragione, ma dall'altra abbiamo cercato il nostro modo di fare pop un po' complementare, un po' laterale, ma comunque la gente di quella cosa ha bisogno, di melodia, di armonia, di strumenti suonati. Certo, magari non è un sentimento maggioritario, però noi sapevamo che c'era un sostrato per questo, perché come dicevamo prima abbiamo girato i club, abbiamo visto che c'era del fermento, già quando eravamo ragazzini, quando abbiamo iniziato e sapevamo che questa strada, martellandola, sarebbe stata quella giusta, per noi, almeno.

Da Pinguini tattici nucleari è facile fare nuove amicizie? La gente si avvicina perché siete Elio e Riccardo o perché siete quelli dei PTN?
E: Per me è bello andare e vivere spazi e realtà in cui questo mio vissuto è laterale. Ma non è sempre facile, effettivamente comincia a essere una fase della vita in cui molto spesso le persone arrivano perché noi siamo la storia che abbiamo costruito. Però questa cosa pone già dei ruoli che a volte effettivamente rompono un po' la possibilità di fare incontri sinceri e scambi belli. Abbiamo imparato a gestirlo, però.
R: Allora, devo dire la verità, io divento molto amico degli anziani che non sanno giustamente neanche chi siamo e quindi divento molto amico con il signore che porta fuori il cane. Poi a volte magari capiscono chi sei perché vedono qualcosa in televisione, ma comunque ormai c'è il rapporto. Quindi, ecco, devo dire questa cosa, sì, con gli anziani mi relaziono molto bene, è faticosissimo relazionarsi con gli artisti e coi colleghi. Quella cosa, soprattutto per noi, devo ammettere che non abbiamo grandi amicizie perché tante volte viviamo in mondi un po' diversi, ma te lo dico senza essere polemico.
Siete tra i pochi che hanno preso posizione per il popolo palestinese, durante i live leggete una poesia di Mahmoud Darwish. Potreste fregarvene e non rischiare critiche feroci, perché è così importante impegnarsi?
E: Tu citi quello che facevamo un anno fa, il tempo è passato e poche cose sono cambiate, quelle che sono cambiate, a mio parere, a nostro parere, sono cambiate in peggio. Quindi è questo il motivo per cui era importante accendere una luce, accendere una candela almeno ogni tanto per riflettere sulla fortuna che abbiamo noi qui e sulle sfortune che esistono altrove e in particolare nella striscia di Gaza all'epoca.
E oggi?
E: Oggi la situazione, secondo noi, è terrificante, il mondo sembra leggermente accorgersene un po' di più. Per noi, però, è stato importante aver dato un po' di luce a questa cosa, tra l'altro, cercando di trovare un modo che fosse il più lineare, positivo e umano possibile, senza poter essere tacciati di essere piromani di altri fuochi e altre violenze. Per noi la cosa più importante era uno sguardo umano sulla sofferenza e questa conferenza continua.
Avere un megafono, quindi è una responsabilità?
R: Se nessuno fa da amplificatore per queste cause, si tratta soltanto di fare la hit più leggera, più importante che ci sia – che è un gioco che capiamo e va bene – perde un po' di senso il riuscire a parlare a tante persone. Perché il pop, attenzione, ha anche dei doveri in qualche caso, nei casi più virtuosi, secondo me. Noi cerchiamo essere tali, non lo siamo stati sempre, non lo saremo sempre, però su certi temi, secondo me, ti devi schierare, altrimenti poi di fatto non sai di niente. Preferisco sapere di qualcosa e sbagliare. Io ricordo sempre questa frase che per me è stata formativa e importantissima di Pasolini che dice: "L'artista – e secondo me ancora di più l'artista pop – ha il dovere di parlare e il diritto di sbagliare". Però se non parli mai, se non ti schieri mai in nessun campo perde il senso, per noi quantomeno.
Vi ha mai creato problemi questa cosa?
R: Non direi che ci ha causato problemi perché il nostro pubblico capisce che anche il modo in cui ci siamo espressi era un modo, come diceva Elio prima, delicato e corretto, secondo me. Dall'altra, sicuramente, dei fan che ci hanno scritto online, portando anche le rimostranze dell'altra parte, ci sono stati e ci abbiamo parlato tranquillamente. Noi non ci siamo mai tirati indietro di fronte al dibattito e anche solo allo scambio, al confronto, perché tante volte ci arricchiti anche da parti che non immaginavamo potessero arricchirci. Quindi noi siamo sempre pronti al dialogo. Dall'altra parte, insomma, a un anno di distanza da quel tour in cui ci siamo espressi sul palco, le cose sono solo che peggiorate, la situazione si è esacerbata in negativo e quindi auspichiamo al più presto la fine di questi queste angherie, di questa disumanità.
Le date di TOUR STADI 2025, organizzato e prodotto da Magellano Concerti
- 07 giugno 2025 – Reggio Emilia – RCF Arena (Campovolo)
- 10 giugno 2025 – Milano – STADIO SAN SIRO – SOLD OUT
- 11 giugno 2025 – Milano – STADIO SAN SIRO
- 14 giugno 2025 – Treviso – ARENA DELLA MARCA – SOLD OUT
- 17 giugno 2025 – Torino – STADIO OLIMPICO GRANDE TORINO – SOLD OUT
- 21 giugno 2025 – Ancona – STADIO DEL CONERO
- 25 giugno 2025 – Firenze – VISARNO ARENA
- 28 giugno 2025 – Napoli – STADIO DIEGO ARMANDO MARADONA
- 04 luglio 2025 – Roma – STADIO OLIMPICO – SOLD OUT