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Dialetti d'Italia

Perché a Napoli la “saittella” si chiama così?

Qual è l’origine della curiosa parola? Ma soprattutto, il suo significato è soltanto quello letterale oppure può accadere che esso diventi metafora di qualcosa di più? Sebbene derivi dal latino e nasca nel Medioevo, il termine ha poco a che fare con la storia: ecco perché.
A cura di Federica D'Alfonso
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Come definire un luogo infimo e disgustoso, simbolo di una condizione altrettanto bassa e misera? Senza troppi giri di parole, come spesso avviene nel dialetto, il napoletano ha scelto un’immagine immediata ed inconfondibile: una parola che viene da molto lontano e che, nel gergo vernacolare, riunisce in sé una grandissima varietà di significati che vanno ben oltre quello letterale. Questa parola è “saittella”: ma come viene utilizzata e, soprattutto, dove nasce?

Camminando per strada a chiunque è capitato di vederla: si tratta, molto banalmente, dell’apertura situata solitamente fra il marciapiede e l’asfalto deputata a raccogliere le acque piovane che altrimenti allagherebbero la carreggiata. Direttamente connessa alla rete fognaria, la feritoia raccoglie molto spesso oltre all’acqua rifiuti di ogni genere: non è insomma un bello spettacolo né un luogo su cui soffermarsi troppo.

Ebbene, a Napoli questo piccolo segreto dell’ingegneria civile è chiamato “saittella”: una parola che effettivamente non ha nulla a che vedere con il termine da cui si origina. La “saiettera”, come veniva chiamata in volgare toscano, era l’apertura attraverso la quale, nei castelli medievali, i soldati lanciavano le frecce in caso di attacco. Un’etimologia semplice che a sua volta affonda le radici nel latino “sagitta” che, appunto, vuol dire “freccia”. Non altrettanto semplice però è capire le numerose sfumature di significato che la “saittella” ha conquistato in napoletano.

"Int'a saittella", in modo figurato

Esistono infatti numerosi modi di dire che coinvolgono la sfortunata saittella ma che nulla hanno a che fare con le frecce o con le strade: esempi di come il dialetto riesca a trasformare un semplice “oggetto” funzionale in qualcosa di più. Quando qualcuno commette un errore o compie un gesto disonorevole scende talmente in basso da finire “inta a' saittella”: una condizione infima, disonorevole, talmente bassa da non meritare altri aggettivi.

Ma la saittella, nella saggezza popolare napoletana, può essere anche luogo in cui imparare: un luogo difficile, duro, da cui però è possibile trarre insegnamenti preziosi. Quando questo non avviene è grave, e il modo più giusto per dirlo è ricordare che nonostante si sia passati molti anni “int’a saittella” non si è stati capaci di “addivintà zoccola”: non trarre vantaggio dalle situazioni, qualsiasi esse siano, “adattandosi” per così dire all’ambiente, non è saggio. E ci va di mezzo anche il povero topo (la cui etimologia dialettale, per inciso, deriva anch’essa dal latino “sorcula”).

 

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