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Italiani: popolo di santi, poeti e “haters”, molto prima di Salvini

Nel luglio 1986, quando non esistevano né Internet né Social Network, Radio Radicale per 35 giorni lasciò gli italiani liberi di esprimersi: fu una pioggia di insulti, bestemmie, offese razziste, sessiste. Ben 800 ore di nastri che oggi sembrano la scatola nera di un’Italia destinata allo schianto.
A cura di Andrea Melis
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Se i social network piangono (Facebook, Instagram e WhatsApp sono stati "down" in mezzo mondo per una giornata scatenando il panico negli utenti), i media classici non ridono. In queste ore quasi 20 mila persone hanno firmato un appello per provare a salvare Radio Radicale. Tra i firmatari della petizione anche grandi nomi della cultura e dei media: Rocco Papaleo, Alessandro Haber, Luca Barbarossa, Jimmy Ghione, Alessandro Gassmann, solo per citarne alcuni. Non è la prima volta e forse non sarà l'ultima che l'esistenza di questa emittente scomoda sarà messa a repentaglio.

Radio Radicale d'altronde non è una radio qualunque: da 40 anni garantisce dirette parlamentari e segue le attività di tutte le istituzioni, e il prossimo 21 maggio rischia di vedersi revocata la convenzione con lo Stato Italiano grazie a cui sopravvive. Ma soprattutto Radio Radicale vanta un record unico al mondo: quello di aver dimostrato prima di chiunque altro di quale pasta siano fatti gli italiani, due decenni prima dell'avvento dei social network.

Era il 10 luglio 1986 quando, per attirare l'attenzione sulla profonda crisi finanziaria che rischiava di portare Radio Radicale alla bancarotta, l'emittente installò 30 segreterie telefoniche programmate per rimandare in onda senza filtri messaggi non più lunghi di 60 secondi. Prima di Internet, Social Network, Smartphone e di qualunque altro accesso diretto ai media, si rese protagonista di un fatto sociale senza eguali che oggi resta archiviato in 511 musicassette e 161 nastri.

Gli italiani ne approfittarono a migliaia, protetti dall'anonimato: non esistevano ancora indirizzi IP e schede Sim, si telefonava dalle cabine telefoniche. E se all'inizio furono telefonate goliardiche per trasmettere il suono del mare, chi una pernacchia, chi per canticchiare o lasciare messaggi d’amore (o semplicemente farsi pubblicità  gratuita invitando furbescamente gli ascoltatori a servirsi presso la sua panetteria o officina meccanica), in breve tempo l'odio prevalse travolgendo tutto, facendo emergere il peggio degli italiani, o forse semplicemente la vera essenza del popolo che siamo: a migliaia dal Nord insultarono i terroni del Sud, e altrettanto avveniva dal Sud al Nord. Le tifoserie e le rivalità calcistiche proruppero in minacce di morte e sberleffi che annunciavano le violenze che oggi vediamo avvenire negli stadi.

L'odio per gli extracomunitari era costante, le ingiurie per colore della pelle, razza e religione gridate al telefono in quei 35 giorni che purtroppo non sconvolsero l'Italia, anticipavano tutto dei tempi che viviamo. I settentrionali si auguravano che l’Etna eruttasse per distruggere la Sicilia, i meridionali invitavano Gheddafi a bombardare Milano o Torino… Ma nessuno veniva risparmiato: bestemmie e odio contro la Chiesa, i politici, le forze dell'ordine, i gay, i diversi, i portatori di disabilità, perfino i paninari e i cantanti, mode e idoli in voga all'ora. Fu un'esplosione spaventosa di violenza, antisemitismo, sessismo, frustrazione, solitudine, rabbia che mi ha ricordato tremendamente la deriva che oggi i social network stanno rendendo normalità.

In breve tempo, Radio Radicale batté tutti i record, diventando l’emittente più chiamata e ascoltata d’Italia, dandoci una lezione che nessuno ascoltò: l'odio vende e fa audience più di qualunque altra merce. Chi chiamava riusciva a prendere la linea solo dopo molte ore, o nel cuore della notte. Ma allora Matteo Salvini frequentava le scuole medie, a Palazzo Chigi sedeva un certo Bettino Craxi al suo primo governo, che cadrà proprio in quei giorni (1 di agosto 1986), i doppiopetti grigi della DC esprimevano una maggioranza forte di 225 parlamentari, tra i quali c'erano nomi come Andreotti, Forlani, Scalfaro, Gava, Spadolini. Insomma, un governo catto-socialista supervisionato dal Vaticano. La distanza formale del Paese con quella strana realtà che fu subito ribattezzata "Radio Parolaccia" era abissale: per la prima volta avvenivano liberamente in diffusione nazionale reati gravissimi come il vilipendio delle istituzioni, l'apologia di fascismo, la diffamazione, le minacce e chi più ne ha più ne metta.

Per questo, sommersa da denunce, interpellanze parlamentari e articoli di giornali indignati, la magistratura di Roma intervenne il 14 agosto con un decreto di sequestro degli impianti che venne operato da tre funzionari della Digos e due tecnici della Questura i quali si presentarono a Radio Radicale e portarono via tutte le segreterie telefoniche. L’emittente dovette ripiegare trasmettendo musica classica, e lunghe maratone di monologhi solitari del leader Marco Pannella, che vinse comunque la battaglia, ottenendo due mesi dopo la convenzione Governativa che oggi l'emittente rischia nuovamente di perdere.

L'esperimento venne ripetuto altre due volte, in altrettanti momenti di crisi ed ebbe gli stessi identici risultati: una volta nel 1990, riempiendo 92 musicassette, e l'ultima volta nel 1996 dove si raggiunse l'apice di ben 12.400 musicassette e 411 nastri zeppi d'odio, offese e rancore. Una vera scatola nera dell'animo del popolo italiano, che gli esperti avrebbero dovuto analizzare per salvarci dalla rotta che puntava dritto sul Paese di oggi, illuso di provenire da un passato di Santi, Poeti e Navigatori, anziché fare i conti col nostro essere antica terra di fascisti, razzisti e odiatori. Fu anche la riprova che con le leggi si possono bloccare i mezzi ma non estirpare i contenuti dalle pance del popolo. Per quello serve la cultura.
Buon ascolto, magari non è ancora troppo tardi, neppure trentatrè anni dopo, per far rotolare la pietra tombale dal sepolcro della nostra umanità e fermare non solo i cambiamenti climatici ma anche quelli sociali.

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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