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Mino Pecorelli, riaperte dopo 40 anni le indagini sull’omicidio del giornalista che custodiva i segreti dei potenti

Dopo 40 anni la Procura ha riaperto le indagini sull’omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista ucciso il 20 marzo del ’79 in un agguato. Sotto esame una pistola Beretta compatibile con i proiettili che hanno ucciso pecorelli in via Orazio. L’arma era in possesso di Domenico Magnetta, personaggio legato ad Avanguardia Nazionale.
A cura di Angela Marino
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La Procura di Roma ha riaperto le indagini sull'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, freddato a colpi di pistola il 20 marzo 1979, in via Orazio a Roma, a pochi passi dalla redazione di ‘Osservatore politico', il giornale che aveva fondato. I magistrati di Piazzale Clodio hanno accolto, dando delega di indagine alla Digos, l'istanza presentata dai legali della sorella del giornalista, Rosita Pecorelli, che lo scorso 16 gennaio chiedeva nuovi accertamenti balistici sull'arma.

Si tratta di indagini su una ‘Beretta 765' sequestrata nel '95 a Monza e di proprietà di un soggetto appartenente ad Avanguardia Nazionale, Domenico Magnetta e volte ad accertare se l'arma sia la stessa dalla quale sono partiti i proiettili di marca ‘Gevelot' e che hanno stroncato la vita del giornalista. La pista è spuntata grazie a un'intervista di ‘Estreme Conseguenze‘ a Vincenzo Vinciguerra. L'ex terrorista nero conferma alla giornalista Raffaella Fanelli di aver saputo che l'arma tenuta nel suo deposito dal Magnetta era la stessa usata per uccidere il giornalista Mino Pecorelli. Della pistola la giornalista aveva appreso venendo in possesso di un verbale contenuto in una cartella del Sequestro Moro.

Nella pistola la chiave del giallo

Proprio le munizioni sembrerebbero essere la chiave del giallo, tanto che già in passato hanno aperto una pista, quella della Banda della Magliana. Nel 1981, infatti, venne scoperto nei sotterranei del ministero della Sanità, il nascondiglio segreto dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) e della Banda della Magliana, dove veniva custodito l'arsenale militare in uso alle due organizzazioni. Proprio in questo contesto vennero scoperti proiettili simili a quelli che uccisero il direttore de l'Osservatore politico.

Il processo a Giulio Andreotti

Il caso Pecorelli era stato chiuso 30 ottobre del 2003, ma aveva visto imputati, come mandanti, l'ex senatore DC, Giulio Andreotti, l'ex boss della Mafia, Gaetano Badalamenti, e i gerarchi di Cosa nostra, Claudio Vitalone e Pippo Calò e come esecutori materiali, Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera. Tutti furono assolti per non aver commesso il fatto, tranne Andreotti e Badalamenti che vennero condannati a 24 anni di reclusione, sentenza annullata dalla Corte di Cassazione.

Chi era Mino Pecorelli

Carmine Pecorelli, poi noto come ‘Mino', nato a Sessano del Molise e di professione avvocato, si avvicinò al mondo del giornalismo quando divenne capo ufficio stampa del ministro Fiorentino Sullo, esponente della Democrazia Cristiana. Grazie alla collaborazione con alcuni giornali affinò la sua capacità critica nei confronti del potere politico, di cui cominciò a fotografare segreti e scandali. Grazie alle sua amicizie nelle alte sfere delle istituzioni, riusciva a mettere insieme informazioni esclusive e di prima mano, che poi convogliò nell'agenzia Osservatore Politico, che diventò punto di riferimento per gerarchie militari, politici di rango, Servizi, nonché per i boss che a Roma detenevano le redini del potere criminale. Il suo nome spuntò anche in una lista di membri della Loggia massonica, Propaganda 2 di Licio Gelli, che finì addirittura al centro, come mandante, di una teoria sull'omicidio di Mino Pecorelli.

Profetizzò il suo omicidio

Possessore dei segreti più scottanti del nostro Paese, nei giorni del sequestro Moro, pubblicò sul suo giornale alcune lettere inedite scritte dallo statista durante la prigionia e fu autore di quelle che vennero definite le ‘profezie'che altro non erano che alcune indiscrezioni. A proposito del sequestro di Aldo Moro, fece riferimento a tale ‘generale Amen' identificato da alcuni nel generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale avrebbe riferito a Cossiga il covo in cui le BR tenevano il capo del governo. Tra le ‘profezie' di Mino, c'era anche quella sul suo omicidio.

L'omicidio Pecorelli, foto della scena
L'omicidio Pecorelli, foto della scena
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