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“Io sono figlio di un prete italiano, voglio parlare con Papa Francesco”

Gerald Erebon, kenyano di 30 anni, dice di essere il figlio di un sacerdote italiano, missionario nel suo Paese. “La mia vita è stata sempre molto dura. Sono cresciuto sentendomi nella famiglia sbagliata” dice. E a proposito del presunto padre: “Ci sono persone pronte a testimoniarlo ma lui non vuol saperne. Non si è mai sottoposto al test del Dna”.
A cura di Biagio Chiariello
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“Io sono figlio di un prete italiano, voglio parlare con Papa Francesco”. A chiederlo è Gerald Erebon, un ragazo kenyano che dopo 30 anni di silenzio ha deciso di uscire allo scoperto.  “Mio padre è un missionario della Consolata – dice Gerald -. Ci sono persone pronte a testimoniarlo ma lui non vuol saperne. Non si è mai sottoposto al test del Dna per colpa dei suoi superiori che vogliono solo allungare l’attesa. Il Papa dovrebbe avere il bisogno di sapere la realtà di essere il figlio di un prete cattolico”. Gerald racconta di aver subito nella sua infanzia molti atti di bullismo a causa del suo aspetto, evidentemente misto: “Ero molto diverso dai miei fratelli e parenti – racconta -. Ero un ragazzo di razza mista, con un differente colore della pelle, di capelli e con tratti diversi dai bambini del villaggio, delle scuole che ho frequentato e perfino in casa mia”.

La madre di Gerald, morta alcolizzata a 36 anni, si chiamava Sabina e aveva 17 anni quando restò incinta. All’epoca lavorava come cuoca presso la parrocchia di Archers Post, un insediamento nella contea di Samburu, in Kenya. Quando la pancia ha cominciato a farsi evidente, padre Mario, il prete per il quale lei cucinava ogni giorno, è stato trasferito e sostituito da un nuovo pastore, e un giovane autista nero è stato assunto da un giorno all’altro. Da allora Gerarld è stato cresciuto con la convinzione che quest’ultimo fosse suo padre. Ma il ragazzo ha sempre saputo che non era così, anche perché dal colore della pelle era evidente.

E anche nel villaggio ne erano consapevoli, tanto da chiamarlo Mario, "con il nome di mio padre", e tutti lo soprannominavano ‘mzungu' "che in swahili – spiega – significa persona di carnagione chiara/europea". "La mia vita è stata sempre molto dura – continua -. Sono cresciuto sentendomi nella famiglia sbagliata; spesso piangevo e mi azzuffavo a scuola e nel villaggio. Mi vergognavo per essere diverso da tutti gli altri bambini".

Gerald sostiene di aver incontrato “più volte” quello che sostiene essere suo padre, e che ormai ha 84 anni, ma “senza risultato”. Per anni i missionari della Consolata gli hanno pagato la retta scolastica, ma oggi anche quel sostentamento sarebbe venuto meno. “Ho aperto una pagina su GoFundMe – il suo appello -. Spero che qualcuno possa contribuire alla mia raccolta fondi per proseguire gli studi”.

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