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Quando il “piede a martello” diventa un fallo da espulsione nel calcio

L’entrata con “piede a martello” costata a Tonali l’espulsione in Benevento-Milan è solo l’ultimo episodio rientrante in questa casistica discusso tra moviola e regolamento. Le entrate con il cosiddetto “piede a martello” non sono tutte uguali, e non basta intervenire in questo modo per vedersi sventolare in faccia il cartellino rosso. Molti altri fattori concorrono alla decisione disciplinare dell’arbitro, tra i quali la velocità dell’impatto e l’altezza della gamba. Soltanto in alcuni casi si configura il “grave fallo di gioco”, che da regolamento prevede l’espulsione.
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Il calcio è uno sport dinamico in cui a volte gli episodi avvengono in frazioni di secondo e ad una velocità particolarmente elevata. Ecco perché i fotogrammi non saranno mai in grado di descriverlo a dovere, né per analizzare le azioni più importanti, né per esaminare gli episodi arbitrali. Non sarà mai esaustiva – infatti – la ricostruzione dell’entità e della forza di un fallo fatta a partire da un fotogramma: gli “scatti” di un episodio possono essere utili se si tratta di ricercare un dato oggettivo come pallone dentro o fuori, oppure se il contatto è avvenuto oppure no. Ma la reale intensità con la quale avviene un intervento, e gli effetti che può potenzialmente portare all’avversario, la si può ricostruire soltanto guardando l’intera azione nella sua dinamica. Per questo motivo i vari interventi con “piede a martello” che vengono screenshottati o fotografati sembrano tutti uguali. Vengono utilizzati dalle tifoserie come prova per dimostrare un’ipotetica disparità di trattamento, senza tener conto che nel calcio due episodi identici semplicemente non possono esistere: variano certamente velocità, punto di impatto, altezza della gamba e tanti altri fattori che è possibile rilevare soltanto in video, o – meglio ancora – in presa diretta dall’arbitro.

È anche questo il motivo per cui quando un direttore di gara va al Var per rivedere un intervento con “piede a martello”, le prime immagini che gli vengono fornite mostrano l’intera azione fallosa. Magari rallentata per cogliere alcune sfumature, magari zoomata per coglierne altre, ma si tratta sempre di un video. Il frame viene fermato soltanto in caso di dubbi oggettivi, che rappresentano solo una parte della valutazione dell’arbitro sull’accaduto, e contribuiscono alla decisione del colore del cartellino: giallo o rosso.

“Piede a martello”, cosa dice il regolamento?

Chiariamolo subito: il regolamento non prevede la dicitura “piede a martello”. Si tratta di una formula giornalistica che sta ad indicare un’entrata  con il piede posizionato a 90 gradi e la caviglia bloccata rispetto alla gamba. Una circostanza sicuramente pericolosa, che il regolamento ingloba nel concetto di “grave fallo di gioco”. “Un tackle o un contrasto – si legge nel manualeche mette in pericolo l’incolumità di un avversario o commesso con vigoria sproporzionata o brutalità deve essere sanzionato come grave fallo di gioco. Qualsiasi calciatore che, in un contrasto per il possesso del pallone, colpisca un avversario da davanti, di lato o da dietro, utilizzando una o entrambe le gambe, con vigoria sproporzionata o che metta in pericolo l’incolumità di un avversario, si rende colpevole di un grave fallo di gioco”.

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Ai legislatori del calcio non interessa quindi misurare a quanti gradi è posto il piede o quanti Newton di forza sono coinvolti nel contrasto: le regole sono poste a tutela del calciatore e nel caso in cui venga “messa in pericolo” l’incolumità di chiunque prenda parte al gioco è prevista l’espulsione. Questo significa che non c’è bisogno che si verifichi un infortunio: basta il semplice rischio di provocarlo per guadagnarsi l’uscita anticipata dal campo.

I fattori per decidere tra ammonizione ed espulsione

Come detto, non è sufficiente che un piede colpisca “a martello” un avversario per causare automaticamente l’espulsione per l’autore del fallo. Ci sono diversi fattori che “concorrono” alla sanzione disciplinare: tra questi probabilmente il più importante è stabilire se il ginocchio di chi commette l’infrazione sia piegato oppure disteso. Questo perché nella seconda ipotesi, l’energia dell’intervento non si disperde né viene attutita dal movimento della coscia, e si concentra tutta nello scarpino, con il rischio di causare seri danni all’avversario. È il caso della recente espulsione di Juan Cuadrado contro la Fiorentina.

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Il bianconero era stato inizialmente ammonito dall’arbitro, che da dove era posizionato aveva avuto una percezione alterata dell’intervento. Il Var in questi casi può e deve segnalare all’arbitro che l’infrazione è passibile di espulsione, lasciando poi al direttore di gara la decisione finale. Per Cuadrado è stata la peggiore possibile, seppur corretta: espulsione diretta.

Alto fattore determinante è l’altezza dell’impatto: si considera un grave fallo di gioco un intervento fatto all’altezza dello stinco quando il pallone si trova – ad esempio – a terra. In quel caso ad essere punito è il gesto, non giustificato, di alzare la gamba nella contesa del pallone. Per conferma chiedere a Petriccione del Crotone, espulso dopo on field review nel match contro il Napoli. E proprio il “punto di impatto” ha scagionato invece Immobile nel contrasto con Bakayoko nell’ultimo Lazio-Napoli, con il biancoceleste che era stato anticipato dall’azzurro e gli ha rifilato un pestone proprio sul piede, cosa che gli ha permesso di cavarsela soltanto con un’ammonizione.

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Variabile simile a quella appena citata consiste nell’effettiva possibilità di giocare il pallone al momento dell’intervento. Chiesa su Cigarini a Crotone, oppure il ben più famoso Vecino su Mandzukic a San Siro sono stati espulsi per la gratuità del gesto, ritenuto “non necessario” per riprendere il possesso della sfera, che in entrambi i casi era ormai stata allontanata. Attenzione però: gli interventi sono comunque avvenuti in un’azione di contesa del pallone, altrimenti non si parlerebbe di “grave fallo di gioco” bensì di “condotta violenta”, punita sempre con l’espulsione ma che potrebbe comportare più di una giornata di squalifica da parte del giudice sportivo.

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In ultimo c’è da tener conto della velocità dell’impatto: se il tackle avviene rapidamente, è molto probabile che la violenza sia maggiore e che quindi il colore del cartellino sia più tendente al rosso. Per questo motivo Obiang ha rischiato seriamente di essere espulso per l’entrata su Pellegrini della Roma. Anche se si tratta di un colpo “basso”, che avviene all’altezza della caviglia, l’impatto è fortissimo e causa anche un infortunio al giallorosso, cosa che – come detto – non è indispensabile affinché venga mostrato il cartellino rosso, ma che dovrebbe indurre a riflettere circa la “vigoria sproporzionata” dell’entrata.

La velocità rientra nella categoria più allargata di “controllo del proprio corpo”, che un calciatore deve sempre avere quando contende il pallone a un avversario. Se ciò non avviene si può arrivare a episodi eclatanti e “scenici” come la scarpata sulla spalla di Biglia inferta da Felipe Melo nel 2015, o ancora il famosissimo colpo da “kung fu” di De Jong su Xabi Alonso ai Mondiali 2010 oppure la più recente espulsione di Rebic in Coppa Italia contro la Juventus per la “pedata” sul petto di Danilo. Tutte entrate da rosso perché gli autori dell’intervento hanno evidentemente perso il controllo del proprio corpo, saltando a peso morto sull’avversario, rischiando certamente di fargli molto male.

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Il discorso non può che tornare proprio lì, al regolamento. Ogni volta che si giudica un’entrata da rosso la domanda da porsi è: “Ci sono gli elementi per sostenere che questo fallo abbia messo in pericolo l’incolumità dell’avversario?”. Se la risposta è affermativa, il rosso è automatico, ma non basta che il piede sia “a martello” per stabilirlo.

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