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La Coppa Italia sfugge ancora ma il modello Atalanta è ormai una realtà

L’Atalanta vede sfuggire per la seconda volta in tre anni la Coppa Italia in finale ma il ciclo di Gian Piero Gasperini sulla panchina bergamasca resta qualcosa di unico. La Dea dieci anni fa era in Serie B e pochi giorni fa ha raggiunto la terza qualificazione di fila in Champions League: un vero e proprio ‘modello’, che avrebbe meritato la consacrazione definitiva con un trofeo importante ma per vincere manca ancora qualche dettaglio.
A cura di Vito Lamorte
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È mancato l'ultimo miglio. Se dovessimo paragonare la Coppa Italia ad una corsa, l'Atalanta ha mollato a pochi km dal traguardo. Alla seconda finale in tre anni, la prima l'aveva persa con la Lazio nel 2019, la Dea questa volta si è dovuta arrendere alla Juventus e non è riuscita a portare il trofeo in bacheca per la seconda volta nella storia. La gara del Mapei Stadium sembrava arrivata nel momento in cui i nerazzurri avevano acquisito una consapevolezza maggiore rispetto a due anni fa ma, nonostante la vittoria non sia arrivata, il lavoro fatto dalla Dea deriva da un percorso che viene da lontano, frutto idee, passione e grande dedizione alla causa.

Ci sono viaggi diversi rispetto ad altri per come sono nati, per come si sono trasformati e per come vengono portati avanti. Uno di questi, in ambito calcistico, è senza dubbio quello dell'Atalanta. La società nerazzurra si è qualificata nell'ultimo turno di campionato per la terza volta consecutiva in Champions League, che ormai sembra qualcosa di assolutamente normale ma non è né dovuto né scontato, e domenica potrebbe centrare un secondo posto che per Bergamo sarebbe qualcosa di storico.

La squadra di Gian Piero Gasperini, artefice tecnico di questa straordinaria storia, non ha avuto paura di misurarsi contro le big d'Europa in questi due anni di Champions League e contro la Juve ha giocato così come ha fatto ad Anfield Road o all'Amsterdam Arena, senza snaturarsi e sempre con la stessa mentalità: nel primo tempo ha spadroneggiato in lungo e in largo e avrebbe meritato ben più di un gol ma nella ripresa i bergamaschi hanno mostrato qualche difficoltà e la buona prova dei bianconeri ha fatto il resto. Non sono tante le squadre che riescono a seguire la loro idea senza cambiare in base agli avversari e questo permette alla squadra orobica di essere quella più vicina, tra le italiane, ai migliori club d'Europa.

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Il viaggio che ha visto protagonista questa società da quando è arrivato Antonio Percassi al timone è stato lungo e sarebbe il caso di riavvolgere il nastro più spesso per comprendere quello a cui stiamo assistendo: nel 2010 la Dea giocava in Serie B e nella stagione 2015/2016 concludeva al 13° posto in Serie A. In questo lasso di tempo non era mai andata oltre l'undicesima piazza del massimo campionato italiano. L'anno dopo cambiò la musica: con l'arrivo del Gasp l'Atalanta fu protagonista di un torneo pazzesco, che la portava al quarto posto e ad una storica qualificazione per l'Europa League. Il club tornava a disputare un torneo continentale dopo 26 anni.

In quel momento tutto sembrava essere già al massimo della sua espressione ma quello che stava per accadere avrebbe cambiato le gerarchie del calcio italiano: i bergamaschi sono migliorati di stagione in stagione e sono entrati nella "top 4" della Serie A per quattro volte in cinque anni, hanno raggiunto i quarti di finale di Champions League da debuttante e ormai puntano a migliorare ogni loro record di anno in anno.

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La Dea non è riuscita a vincere la seconda Coppa Italia della sua storia perché si è imbattuta nella Juventus, squadra che nell'ultimo decennio ha cannibalizzato il calcio italiano e ha dimostrato ancora una volta di essere in grado di giocarsi questi match come pochi: una lotta impari sotto tanti punti di vista (inutile elencare fatturati, ingaggi, etc etc) ma a dire l'ultima parola è stato il campo ed è proprio lì che i bergamaschi se la sono giocata così come hanno fatto per tutte le gare affrontate finora. Adesso non sono loro più a doversi adattare agli avversari ma il contrario, e dietro quella che può sembrare una banale considerazione di campo in realtà nasconde una vera e propria filosofia e un modo di interpretare il gioco di cui ormai si parla in tutta Europa. Adesso è proprio questa la differenza tra gli orobici e tutti gli altri ma ieri sera è mancata l'ultima pennellata per completare il quadro.

Il decennio condotto in maniera eccellente da Percassi non verrà cancellato da due finali di Coppa Italia perse ma, dopo aver centrato il terzo posto lo scorso anno, adesso Gasperini non vuole perdere la seconda piazza in campionato che sarebbe storica per il club di Bergamo. Vincere aiuta a vincere, accresce l'autostima e apre prospettive inimmaginabili ma, come spesso accade in questo gioco, sono i dettagli a fare la differenza. E i ragazzi in nerazzurro lo stanno toccando con le loro mani ad ogni sconfitta.

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Il valore del lavoro fatto non si conta solo in base alle vittorie raggiunte, perché bisogna considerare sempre da che basi si è partiti e analizzare ciò che si è costruito nel tempo: un'affermazione a livello nazionale sarebbe stato il meritato premio per una società che ha dimostrato di essere un esempio sia per il reparto dirigenziale che per la pianificazione sportiva ma la sconfitta di Reggio Emilia è soltanto l'ennesima pietra della costruzione orobica. Dalle giovanili allo scouting fino alla prima squadra: ormai possiamo parlare di "modello Atalanta" e a dimostrarlo non ci vogliono solo i titoli, perché basterebbe analizzare il percorso fatto dalla Serie B per arrivare tra le migliori squadre d'Europa. Mica male.

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