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Rimini, il branco nega gli stupri. Butungu: “Mai sfiorato una donna, neanche con un dito”

Ad incastrare il 20enne congolese ci sono però le testimonianze delle vittime e le immagini delle telecamere, ma soprattutto l’ammissione dei due fratelli marocchini, che però negano di aver partecipato concretamente allo stupro. “Era lui che ci dava ordini”, dicono.
A cura di Biagio Chiariello
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Gli altri membri, tutti minorenni, del branco che ha violentato una 26enne polacca e una prostituta peruviana a Rimini lo considerano il “capo”; ma il 20enne congolese Guerlin Butungu, nega ogni accusa: c’è però da dire che alle testimonianze delle vittime, ai movimenti registrati dal telefono e alle immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona – la spiaggia di Miramare – si è aggiunta l'ammissione fatta da almeno due complici. In particolare, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni che sabato pomeriggio si sono presentati spontaneamente nella caserma dei carabinieri di Montecchio di Pesaro per costituirsi. Il terzo componente della gang è un nigeriano di 17 anni, bloccato dalla squadra Mobile di Rimini.

Butungu nega le accuse di stupro

I fatti risalgono alla notte tra venerdì 25 e sabato 26 agosto, a Miramare (Rimini): i quattro hanno picchiato selvaggiamente un turista polacco, stuprato la sua compagna di 26 anni e, un'ora più tardi, violentato, derubato e picchiato una transessuale peruviana lungo la statale adriatica. Ieri, il Butungu è stato sentito a lunga dalla procura romagnola che ha riconvocato in questura la transessuale per il riconoscimento ufficiale: avrebbe detto di non aver neanche "mai sfiorato con un dito una donna".

I due fratelli marocchini avevano problemi in famiglia

I tre minorenni, invece, si trovano nel carcere minorile del Pratello di Bologna: tutti hanno negato di aver partecipato attivamente alle violenze sessuali, mentre ammetterebbero le percosse. I due fratelli sono immigrati di seconda generazione, nati in Italia da genitori marocchini, e avevano precedenti con la giustizia per furti e minacce. Vivono a Vallefoglia, in provincia di Pesaro e Urbino, e la loro famiglia è seguita dagli assistenti sociali. Il padre, secondo Il Messaggero, era stato ai domiciliari per una serie di risse, la madre era stata richiamata pubblicamente per alcune aggressioni ai vicini.

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