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Opinioni

Qualcuno fermi gli incidenti sul lavoro all’Ilva di Taranto

Continua la serie di incidenti all’Ilva di Taranto: in 4 anni sono 4 i morti sul lavoro e numerosi anche i feriti.
A cura di Michele Azzu
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Il 17 marzo, a distanza di poche ore, si sono verificati due incidenti sul lavoro all’Ilva di Taranto. Si è trattato di due esplosioni. La prima è avvenuta nella sera del 17, nel reparto Gfr (gestione dei rottami ferrosi): un operaio di 42 anni si è ustionato la mano mentre fuggiva spaventato dall’esplosione, avvenuta mentre manovrava un escavatore.

L’esplosione sarebbe stata causata da una reazione chimica dovuta alla pioggia. Poche ore dopo, nella mattina del 18 marzo nel reparto Acciaieria 2 è avvenuta una seconda esplosione, e altri due operai sono rimasti contusi nella confusione dovuta alla fuga.

Questo il bilancio di una semplice giornata di lavoro all’Ilva. Un bilancio che va avanti inesorabile da anni: quello degli incidenti sul lavoro nell’acciaieria più grande d’Europa, ormai commissariata da tre anni. Dal 2012 ad oggi nello stabilimento fra operai e lavoratori delle ditte in appalto sono morte quattro persone in incidenti che sono costati loro la vita.

La media degli incidenti fatali fa spavento: un morto all’anno dal 2012 ad oggi, quattro morti in quattro anni. Claudio Marsella, di 29 anni, è morto nel 2012 dopo essere caduto da una motrice. Francesco Zaccaria, anche lui di 29 anni, è morto nel 2012 quando una tromba d’aria ha causato il crollo della gru che stava manovrando. L’ultimo a morire nello stabilimento è stato Cosimo Martucci, operaio della ditta in appalto Pitrelli, di 49 anni, schiacciato da un tubo d’acciaio nel reparto Agglomerato solo lo scorso novembre.

Nel 2013 era morto anche Ciro Moccia, 43 anni, precipitato da una passerella a 10 metri d’altezza (mentre l’operaio Antonio Liddi rimase ferito). Per questa morte, nei giorni scorsi il giudice preliminare Valeria Ingenito ha mandato a processo 11 persone per omicidio colposo e lesioni personali. Fra questi l’ex direttore dello stabilimento, capireparto e responsabili della sicurezza. Solo un imputato ha scelto il rito abbreviato, il responsabile sicurezza della ditta che doveva eseguire i lavori nel reparto, condannato a due anni e mezzo di reclusione.

Il processo inizierà il prossimo 6 giugno. Ma intanto gli incidenti continuano: “La situazione non è più sostenibile”, ha affermato il sindacalista Uilm Pietro Verniel, commentando le esplosioni degli ultimi giorni. “Nessuno si prende le responsabilità di un impianto che deve essere completamente rivoluzionato”. Aggiunge: “Non ci sono condizioni di visibilità e percorsi idonei con vie di fuga (…) I lavoratori sono costretti ad affrontare rischi frequenti”.

Dopo l’ultimo incidente mortale dello scorso novembre, in cui perse la vita Cosimo Martucci, i sindacati Fim, Fiom, Uilm e Flmu affermarono: “La sicurezza in fabbrica viene messa in discussione da una serie di ritardi e carenze organizzative, più volte denunciati”. Francesco Rizzo, del sindacato di base Usb, prima sigla fra i lavoratori del siderurgico, affermava: “Nel momento in cui giungeva la notizia del decesso del povero collega Cosimo eravamo intenti a segnalare agli enti competenti la mancanza di DPI, cioè i dispositivi di protezione all’interno dello stabilimento: questa è la situazione in cui viviamo tutti i giorni”.

Nel macabro elenco sono numerosi anche i feriti: Teodoro Tamburriello è rimasto gravemente ferito nell’aprile 2014 cadendo dal pianale di un tir. Sempre nel 2014 Andrea Incalza, di 22 anni, ha perso entrambe le gambe dopo essere stato travolto da un carrello elevatore. Mentre Gabriele Scialpi, di anni 28, si è fratturato le gambe cadendo da un cestello durante un’operazione di manutenzione.

Gli incidenti che provocano feriti e morti, poi, si ripetono spesso quasi identici, e a distanza di poco tempo. Come è avvenuto in questi ultimi giorni, con due esplosioni simili a distanza di poche ore, e dopo che c’era già un ferito. Ma anche a gennaio nello stabilimento c’era stata un’esplosione – probabilmente causata dal corto circuito di una macchina del caffé – che ha causato un incendio in cui quattro operai sono rimasti ustionati. Lo scorso novembre, invece, il giorno dopo l’incidente che causò la morte di Cosimo Martucci, c’è stata un’esplosione con una fuoriuscita di un quantitativo di acciaio fuso, che fortunatamente non ha causato feriti.

Nel dicembre 2014, invece, nella banchina dello stabilimento crollò una gru ferendo due operai. Questo crollo è avvenuto nel IV sporgente, lo stesso in cui nel 2012 era crollata la gru che uccise Francesco Zaccaria. In quell’occasione se l’incidente fosse avvenuto solo un’ora dopo, la gru si sarebbe schiantata sulla mensa uccidendo 70 lavoratori.

La situazione della sicurezza all’Ilva di Taranto sembra davvero grave. Troppi i feriti, troppi gli incidenti, troppi i morti, e dai sindacati chiedono l’intervento del governo dato che l’azienda è commissariata. Il recente decreto del governo punta nei prossimi anni alla vendita dello stabilimento, mettendo 800 milioni per le bonifiche ma è tutto ancora in alto mare.

Così come la situazione sulla sicurezza. Non è un caso, forse, che il 2015 sia stato un anno record per le morti sul lavoro in Italia, e che né governo né il Presidente della Repubblica ne abbiano parlato. Dopotutto non si contano neanche più le procedure d’infrazione europea in materia di sicurezza sul lavoro per l’Italia. E l’Ilva è solo un pezzo di questo paese.

Ma quanto mancherà al prossimo incidente fatale nello stabilimento tarantino, se nessuno provvederà ad un piano straordinario per la sicurezza?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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